Swordsmen

Liu conduce una vita tranquilla con la sua famiglia in un piccolo villaggio cinese degli inizi del secolo scorso. Ha portato anche nuovo sviluppo alla vita degli abitanti con la creazione di una piccola ma apprezzata cartiera. Un giorno però due malviventi aggrediscono un negoziante e Liu interviene uccidendoli entrambi. Giunge in paese Xu, incaricato di indagare sull'uccisione dei due. Costui, esperto di arti marziali, scopre che la morte non è stata causata da armi giungendo alla conclusione che Liu non sia ciò che vuol far credere di essere. È infatti il capo di un clan composto da 72 demoni.
Wu Xia non è solo il titolo originale del film ma la denominazione di un genere cinematografico cinese che fonde arti marziali e acrobazie, azione e tradizione. L'intento dichiarato di Peter Ho-Sun Chan è quello di rivisitare un genere apprezzato in patria offrendogli quel po' di realismo che gli è da sempre mancato. Lo fa confermando in gran parte gli eccessi coreografici che il genere impone ma innervandoli con una sorta di riflessione sulla fisicità necessariamente implicata dal genere.
Ecco allora che sin dall'inizio ci viene proposto un viaggio all'interno del corpo umano che si fa fluidi, sangue, cavità da penetrare. Il tentativo sembra riuscire perché il film diverte gli appassionati che, in Occidente, conservano quel tanto di distacco che permette loro di sorridere a quanto finisce con l'andare sopra le righe non perdendo però il piacere di una vicenda che nella sua matrice di base finisce con il ricordare il cronenberghiano A History of Violence per poi affrontare senza falsi pudori una spericolata incursione in un genere che vede sullo schermo, nei ruoli principali, Donnie Yen e Takeshi Kaneshiro, due conclamate star del Wu Xia. 