Baciami ancora

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Un film di Gabriele Muccino. Con Stefano Accorsi, Vittoria Puccini, Pierfrancesco Favino, Claudio Santamaria, Giorgio Pasotti.
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Drammatico, durata 130 min. - Italia 2010. - Medusa uscita venerdì 29 gennaio 2010. MYMONETRO Baciami ancora * 1/2 - - - valutazione media: 1,98 su -1 recensioni di critica, pubblico e dizionari.
   
   
   

La generazione Muccino è tornata

di Paolo D'Agostini La Repubblica

Il modo giusto di guardare un film dovrebbe tenere in conto due cose. La prima: un film è un film, non cambia il mondo. La seconda: non cambia il mondo ma può dare grandi emozioni, e allora non bisogna mai perdere la disponibilità a emozionarsi. Qui si parla di Gabriele Muccino e del suo Baciami ancora. Di un regista che fa larghissimo appello, altrove e anche in questo film, alla forza dei sentimenti e delle emozioni. E fa bene, se questa è la sua vocazione. Anzi: è ammirevole il suo lanciarsi senza paracadute, il suo esporsi senza pudore, il suo sfidare anche il ridicolo. Così si fa, se si vuole prendere di petto i sentimenti, che fanno battere il cuore ma sono anche ridicoli. È un suo tratto distintivo, ed è rispettabile. Non ha paura, come non ne avevano i romanzi d' appendice ottocenteschi. Forse non possiede l' astuzia e la finezza di un Peter Weir, formidabile giocoliere dei sentimenti, quello di L' attimo fuggente, ma è un bravissimo regista che si serve dello strumento del cinema con molta sapienza. Baciami ancora ripresenta il gruppo di amici di L' ultimo bacio circa dieci anni dopo. I suoi personaggi alludono, ieri come oggi, alla sua autobiografia generazionale. Avevano trent' anni quando li ha raccontati la prima volta mentre lo stesso Gabriele aveva da poco passato quell' età, e ne hanno oggi quaranta proprio come Gabriele che li ha da poco compiuti. Ritroviamo tutto il gruppo maschile, nucleo d' acciaio della storia: Stefano Accorsi, Pier Francesco Favino, Claudio Santamaria, Giorgio Pasotti, Marco Cocci. E bisogna aggiungere che quello che allora parve un gruppo compatto di esordienti o quasi, poi in parte confermati in Romanzo criminale di Placido, sulla distanza rivelano i diversi spessori. Ritroviamo anche alcuni personaggi femminili, anche se non tutti interpretati dalla stessa attrice di allora: Sabrina Impacciatore sì, mentre Vittoria Puccini prende il posto che era stato di Giovanna Mezzogiorno. E con onore. Il decennio chiave delle loro vite è andato abbastanza male a tutti. Muccino lo racconta saltando in modo convulso, come gli è sempre piaciuto fare, da una vicenda e da un personaggio all' altro, senza respiro, per tutta la durata del film, che è lungo. La posta in gioco è praticamente per tutti quella di riparare agli sbagli fatti, diventare finalmente persone più mature. Che riconoscono il resistente dall' effimero, l' essenziale dalla zavorra, l' autenticità dall' avventura. Non sappiamo con certezza, alla fine, chi e quanto ci riuscirà. Il lutto (ecco: pur matematicamente prevedibile, che più stereotipo non si può, ci trascina emotivamente, forse ci commuove) intorno al quale tutti insieme si raccolgono sarà uno spartiacque per tutti. Dunque un po' inventario di luoghi comuni, arcilogori ma anche veri, dell' amicizia e dell' amore. Ma va bene, Muccinoè un po' così: non racconterà Grandi Cose ma le ovvietà che racconta le sa raccontare. Trasmettendo una smania contagiosa di fare i conti con la preziosa banalità del vivere, di immergersi dentro al clima un po' puerile o un po' ipocrita, dopo aver alzato il gomito, delle chiacchiere da bar tra amici che non sono più tanto pischelli ma non vogliono ammetterlo. E, sulla distanza, Gabriele si rivela sempre più affezionato frequentatore dei cliché melodrammatici più che di quelli della commedia. Anche se qui c' è una scena che evidentissimamente cita C' eravamo tanto amati di Ettore Scola. Difficile non notare che, consumata la freschezza della prima volta, il compito - sia pur brillantemente svolto, e con il conforto di tutte le astuzie musicali del caso - è quello un po' forzato di serializzare ciò che era stato un prototipo.
Da La Repubblica, 27 gennaio 2010


di Paolo D'Agostini, 27 gennaio 2010

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