Colpa di comunismo

Micaela, Ana ed Elena sono tre donne rumene che dalla zona di Fabriano nelle Marche raggiungono Polesella nel Polesine in cerca di lavoro. Le accolgono Mariana e suo marito e una piccola ma unita comunità di connazionali.
È un film sulla dignità quello che Elisabetta Sgarbi ci presenta. Quella dignità dell'arte, dello sguardo, del gesto e della parola che da sempre sta al centro delle sue opere. In questa occasione essa è dipinta sui volti delle donne che divengono protagoniste quasi inavvertitamente. Perché la regista si avvicina loro con grande rispetto registrandone gli umori anche solo attraverso primi e primissimi piani che dicono di più di un saggio sull'immigrazione. Dicono del bisogno ma anche della fierezza (di cui Micaela è la vivace portabandiera). Dicono del processo di integrazione ma anche della nostalgia per una terra lontana che si fa un po' più vicina con quei canali televisivi che trasmettono programmi di stile naif.
Sgarbi non ci propone il solito documentario 'di denuncia' con cui suscitare sensi di colpa nello spettatore italiano 'che non fa abbastanza' per aiutare chi viene dall'Est Europa in cerca di un lavoro. Ci mostra una solidarietà tra persone provenienti dalle stesse radici e, a differenza di quello che il titolo potrebbe far pensare, non poi così dispiaciute per quello che hanno vissuto nel passato. Uno di loro ricorda, esagerando, che dopo un terremoto Ceausescu in brevissimo tempo aveva fatto ricostruire una città. Oggi invece ... Oggi invece c'è un liberismo globalizzato che domina incontrastato e che ha eretto il dio mercato a nuovo nume da adorare. Ana, Micaela ed Elena invece vanno ancora in chiesa ad adorare il Dio dei loro vecchi mentre passano da una cooperativa ad una associazione per sentirsi ripetere le solite rituali promesse da persone ben intenzionate ma impotenti a soddisfare le loro richieste.
Una di loro è sposata, un'altra rivendica il fatto di essere single. Anche perché non è facile farsi comprendere nell'intimo da uomini italiani che sono ancora legati a un maschilismo non rude ma comunque difficile da sradicare. Sgarbi racconta tutto ciò con il pudore di chi sa che una musica o un silenzio possono restare nella memoria ed essere significativi più di uno slogan gridato a piena voce. 