Titolo originale | De Regenmakers |
Anno | 2010 |
Genere | Documentario |
Produzione | Paesi Bassi |
Durata | 73 minuti |
Regia di | Floris-Jan van Luyn |
Tag | Da vedere 2010 |
MYmonetro | 3,25 su 1 recensioni tra critica, pubblico e dizionari. |
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Ultimo aggiornamento lunedì 3 dicembre 2012
Ritratto di quattro coraggiosi attivisti cinesi che ingaggiano una lotta quotidiana per migliorare la condizione ecologica del Paese.
CONSIGLIATO SÌ
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Un paese in cui, per far piovere, sparano alle nuvole. È con questa immagine che il regista olandese Floris-Jan van Luyn cattura l'essenza della Cina contemporanea, trasformandola in fotogramma. Un'immagine, tanto metaforica quanto calzante, che fa da prologo al racconto in quattro atti di un paese in bilico sulle contraddizioni. Un paese dove le emergenze hanno tanti volti, ma quella dell'ambiente ha il volto più sfigurato. A mostrarcelo, in tutta la sua deturpata bellezza, sono i quattro capitoli di un documentario che ha il ritmo del diario di guerra. Una guerra condotta da quattro piccoli eroi, identificati con i quattro elementi per cui si battono: acqua, fuoco, aria e terra.
A combattere per l'acqua è la contadina Wei Dongying, abitante di un piccolo villaggio di Zhejiang, nella Cina meridionale. Una manciata di povere case, poco più che baracche, dove si sopravvive con lavoretti occasionali. Il fiume, che una volta dava da bere e da mangiare, è adesso avvelenato. Responsabili sono gli sversamenti delle fabbriche installate a pochi metri di distanza, in spregio del diritto ma in accordo col governo.
Il regista ci mostra le conseguenze di una politica che ha puntato tutto su un'industrializzazione massiccia e aggressiva, mentre risuona uno dei tanti proclami confezionati dal marketing governativo: «La nostra economia in espansione ci dà nuove opportunità di migliorare la nostra salute». Peccato che nel villaggio di Wei il pesce sappia di naftalina, i giovani risultino non idonei alla leva e gli adulti siano sterminati dai tumori. Van Luyn spinge sulla poetica del contrasto, per raccontarci una realtà in cui la ricchezza dei pochi vale molto più della salute dei tanti. A gridare ingiustizia sono le immagini, montate con una consapevolezza autoriale, capaci di denunciare e sconvolgere più delle parole.
Se a Zhejiang c'è la testarda Wei a portare avanti una battaglia infinita e solitaria contro i veleni delle industrie, a Hunan, nella Cina centrale, c'è un'altra eroina, Chen Lifang, che pungola le autorità locali affinché revochino i permessi alle fabbriche che appestano l'aria e ammazzano le coltivazioni. A Pechino, invece, la giovane Zhao Lei ha scelto la strada della denuncia sul blog e delle manifestazioni di piazza per protestare contro i fumi dell'inceneritore, che costringono un intero quartiere a stare in casa con le finestre sbarrate e le mascherine sul volto. E ha una donna accanto a sé il pastore della Mongolia che lotta contro la sabbia delle fabbriche di mattoni che ha divorato la prateria, un tempo rigogliosa, costringendo alla fuga coloro che vivevano di e su quella terra da secoli.
Sono, quindi, le donne a sopportare il peso della battaglia. Pasionarie caparbie e idealiste, che si fanno carico, da sole, dei problemi di comunità aggredite. Donne che neppure il carcere e le minacce delle autorità hanno fiaccato. Donne che hanno sacrificato la propria vita privata, consapevoli di lottare contro i mulini a vento, ma incapaci per costituzione di restare a guardare mentre la loro terra muore. Donne protagoniste di piccoli ritratti sinceri e toccanti, dove basta il dettaglio di uno sguardo, sovrapposto al quadro desolato di un paesaggio in rapida dissoluzione, per trasmettere il senso di una battaglia necessaria. Anche se forse non saranno loro a cantare vittoria.
Nel 1990 il regista russo Belikov realizzò il film "Raspad" ("Disfacimento" fu una delle 2papabili" traduzioni in Italiano), opera in concorso a Venezia, dove oltretutto si aggiudicò la medaglia del Senato per il film che maggiormente tutelava valori come il progresso dei popoli. belikov dichiarò che un film "a soggetto" avrebbe potuto meglio rendere una certa situazione rispettoa d un documentario. [...] Vai alla recensione »
C'è poco da dire e molto da fare. La Cina, la grande immensa Cina sta perdendo pezzi. Sfido qualsiasi economista mondiale a dire che il modello Cinese è da prendere come esempio per creare una società giusta. Il film documentario di Floris-Jan van Luyn, ci mostra un paese non solo a pezzi ma che ti fa a pezzi. E' una storia triste, molto triste che andrebbe divulgata nei [...] Vai alla recensione »