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Rassegna stampa di Ernst Lubitsch

Ernst Lubitsch. Data di nascita 28 gennaio 1892 a Berlino (Germania) ed è morto il 30 novembre 1947 all'età di 55 anni a Los Angeles, California (USA).

A CURA DELLA REDAZIONE
MYmovies.it

Regista tedesco attivo negli Stati Uniti dopo il 1923. Allievo di Max Reinhardt, iniziò la sua carriera come attore. Esordì nella regia nel 1917 e si rivelò ben presto come un grosso uomo dello spettacolo, capace di allestire film nel gusto delle colossali messinscene di Reinhardt. In questo spirito Lubitsch realizzò, fra l'altro, La principessa delle ostriche, Madame Dubarry e Carmen, tre fra i maggiori film prodotti dalla UFA in quegli anni. Secondo Georges Sadoul, il regista "seppe adattare al cinema il comico tradizionale delle operette tedesche. La sua verve fu volgare, ma travolgente, robusta...". Tuttavia, la strada maestra del cinema tedesco fu, in quegli anni, segnata dalla esperienza espressionista. Lubitsch portò con sé negli Stati Uniti, oltre al gusto per le messinscene sfarzose, le sue tipiche predilezioni per la commedia operettistica, con quel tanto di falso che era proprio del genere, e che, alla resa cinematografica, risultava più spiccatamente, facendo spesso dei film lubitschiani girandole d'una allegria un po' a vuoto, un po' opaca. I successi comunque furono molti, e qualcuno durevole, perfino clamoroso: da Matrimonio in quattro, 1923, a Il ventaglio di Lady Windermere di Oscar Wilde, 1925, da Il principe studente a L'allegro tenente, 1931. L'incontro di Lubitsch con Maurice Chevalier, protagonista di quest'ultimo film, ebbe un altro buon esito con La vedova allegra, 1934. Un altro grande successo di Lubitsch fu Partita a quattro, 1933, da una commedia di Noel Coward: non minore simpatia riscosse Angelo, 1936, con la Dietrich, da un testo di Melchior Lengyel. Tutti i film di questo spiritoso regista diedero comunque l'impressione di durare lo spazio d'un mattino, di essere frizzanti ma fatui come coppe di champagne. Un altro successo fu colto da Ninotchka, che presentò Greta Garbo per la prima volta in una commedia, nei panni di un'austera emissaria bolscevica conquistata da un viveur ingenuo e domestico come Melvyn Douglas (1939). Nel 1941, con Vogliamo vivere, Lubitsch diresse Carole Lombard, e spezzò una lancia in favore dell'antinazismo: naturalmente in chiave comica, ma non senza una certa ironica vitalità. L'ultimo attraente prodotto lubitschiano fu Il cielo può attendere..., 1943: un garbato film, in cui l'autore ripiegava su se stesso riconoscendo amabilmente il tramonto di un modo d'essere frivoli, e negandosi, con simpatico disincanto, il fastidio delle nostalgie.

PIERO DI DOMENICO
MYmovies.it

Il 29 gennaio 1892 fa nasceva a Berlino Ernst Lubitsch, destinato ad entrare nella storia del cinema quale maestro inarrivabile della commedia brillante e della satira sofisticata. Figlio di un sarto, il giovane Ernst è un appassionato di teatro e recita nel gruppo teatrale della scuola.
A sedici anni abbandona la scuola e inizia a lavorare come contabile nel negozio del padre. Successivamente entra a far parte del teatro tedesco di Max Reinhardt, all'interno del quale ottiene ruoli di sempre maggiore importanza. A partire dal 1912 lavora come apprendista negli studi cinemaografici Bioscope di Berlino. L'anno successivo recita in una serie di commedie grazie alle quali ottiene un discreto successo. Gradualmente Lubitsch inizia a scrivere sceneggiature e nel 1918 esordisce come regista con Gli occhi della mummia, una storia tragica interpretata da Pola Negri.
Nello stesso anno esce Carmen, sempre con Pola Negri, che ottiene un discreto riconoscimento anche all'estero. Ma il successo vero e proprio arriva con La principessa delle ostriche (1919), una satira pungente delle abitudini americane.
A partire da La principessa delle ostriche l'humour sottile e l'ironico cinismo diventeranno il tratto distintivo dei film di Lubitsch. Dopo due trammi storici come Madame Dubarry e Anna Bolena, nel 1921 Lubitsch si reca per la prima volta negli Stati Uniti per promuovere il suo film Das Weib des Pharao, e l'anno successivo vi ritorna per girarvi Rosita (1923) con Mary Pickford e Matrimonio in quattro (1924), che ottennero un grande successo di critica e di pubblico. Fondati sulla descrizione corrosiva di ambienti aristocratici o alto-borghesi, i film di Lubitsch sono il risultato di un'intelligenza che si fa beffe di tabù e convenzioni, trasgredisce divieti e sa anche essere crudele. I suoi maggiori successi - Il principe consorte (1929), L'allegro tenente (1931), La vedova allegra (1934), L'ottava moglie di Barbablù (1938) - confermano Lubitsch come maestro indiscusso della cosiddetta 'commedia sofisticata hollywoodiana', densa di allusioni, metafore e toni satirici, una delle espressioni più felici di una sensibilità europea nel sistema cinematografico americano.
Nel 1939 Lubitsch firma un altro capolavoro: Ninotchka, storia di una commissaria comunista russa (magistralmente interpretata da Greta Garbo) inviata in missione a Parigi per controllare l'operato di tre agenti sovietici. Dopo Vogliamo vivere! (1942) e Il cielo può attendere (1943), nel 1944 Lubitsch si trova costretto ad affidare la regia di Scandalo a corte a Otto Preminger per problemi di salute. Lubitsch muore nel 1947 per un infarto e il suo ultimo film, La signora in ermellino (1948), viene terminato ancora da Otto Preminger.
CURIOSITA'
Lubitsch nacque a Berlino da una famiglia ebraica. La sua esistenza si condusse squallidamente in una delle tante bottegucce del ghetto, dove le meraviglie dell'epoca guglielmina arrivavano sotto forma di leggenda. A sedici anni cominciò a bazzicare il music-hall, a diciassette entrò nel mondo del cinema come generico, a diciannove passò nell'entourage di Max Reinhardt, il quale lo forma come attore. Parallelamente mette al servizio del cinema il personaggio comico che aveva inventato per il varietà: un ebreo ottuso e sordido, una macchietta caricaturale pregna di antisemitismo. Con queste comiche, iniziate nel 1913 e proseguite fino al 1919, Lubitsch diventa un attore celebre e abbandona così il varietà.
Lubitsch scelse una comicità borghese, distaccata e qualunquista, elegante e superficiale. Il cliché dell'intrigo, dell'equivoco, dell'inseguimento, calati in ambienti da cartolina, come la Parigi della belle époque e la Vienna dell'operetta, sottendono al meglio l'atmosfera delle commedie di Lubitsch.
Lubitsch si trasferisce nell'autunno del 1922 a Hollywood, assunto dall'America come rievocatore ufficiale del mondo mitteleuropeo elegante e raffinato; mentre von Stroheim, realmente vissuto a Vienna, non può separare la leggenda dalla turpe verità di una società in via di putrefazione, Lubitsch, che nel suo ghetto è stato anch'egli soggetto al mito, può facilmente raccontare Vienna e Parigi agli americani come essi vogliono che siano. Attenuando l'impeto tedesco che ha sino ad allora animato le sue allucinazioni comiche, Lubitsch può distillare una commedia sofisticata, senza sesso e senza brutalità, senza offendere i puritani, più consona inoltre alla nuova sensibilità del cinema. La stilizzazione comica (imposta da Chaplin) prevede recitazioni germaniche (fino all'auto-parodia), ambientazioni in immaginari reami di cartapesta, tipizzazione da music-hall (il marito, la vamp, il viveur...). Frivole e briose, le prime commedie americane di Lubitsch sono mosaici di dettagli allusivi, dove ogni nuovo dettaglio svela un altro po' della vicenda, di per sé piuttosto scarna..
I film di Lubitsch, costruiti sui molteplici registri del vaudeville, della commedia e dell'operetta, si basano su un canovaccio amoroso geometricamente compiuto, con una struttura binaria e con ruoli standard affidati ai due sessi. Il primo ordine di ambiguità nasce proprio dall'esito della lotta fra il maschio e la femmina, laddove non si capisce più se la sconfitta non sia una vittoria e la vittoria una sconfitta. Il secondo ordine di ambiguità riposa nel labile confine che separa il bene dal male, per cui Lubitsch riesce a far amare i vizi dei suoi personaggi (donnaioli o ladri) visto che il vizio è uno dei due cardini della società moderna (sesso e denaro). La misura del suo genio comico è data dalle gag e dalle battute, sovente metaforiche, sempre nitide, essenziali ed eleganti, che costituiscono il tratto più personale dei suoi film e dai sottintesi, che formano la gran parte delle sue sceneggiature.

FRANçOIS TRUFFAUT

C’è soprattutto un’immagine, particolarmente luminosa, dei film di prima della guerra che mi piace molto. I personaggi sono piccole sagome scure sullo schermo. Entrano in scena da porte alte tre volte loro. Non c’era crisi degli alloggi allora e per le vie di Parigi, alle facciate degli immobili, grazie alle strisce con la scritta “Affittasi”, era sempre il 14 luglio.
Le imponenti scenografie dei film di quel periodo facevano concorrenza alle vedette, i produttori le pagavano care e volevano che si vedessero; era il minimo che chi sborsava il denaro potesse pretendere e sono sicuro che avrebbe messo alla porta quel regista che avesse avuto il fegato di girare un film tutto di primi piani.
Erano tempi in cui non si sapeva ancora collocare la cinepresa alla giusta distanza: la si metteva troppo lontana. È vero anche che oggi la si sbatte fin sotto i buchi del naso degli attori… Si è passati da un’insufficienza modesta a un’insufficienza pretenziosa.
Questa premessa nostalgica non è fuori luogo per introdurre Lubitsch che era fermamente convinto che è meglio ridere in un palazzo che piangere in un retrobottega all’angolo della via. Mi rendo ben conto, come diceva André Bazin, che non potrò cavarmela in fretta.
Come tutti i maestri della stilizzazione, Lubitsch, coscientemente o no, riscopre la narrazione dei grandi autori di racconti per ragazzi. In Angel (Angelo, 1937), una cena penosa e imbarazzante unisce Marlène Dietrich, Herbert Marshall, suo marito, e Melwyn Douglas, suo amante per una sera, che lei pensava di non rivedere mai più e che suo marito ha casualmente invitato a cena. Come accade spesso in Lubitsch, la cinepresa abbandona il lato giardino non appena la situazione si fa scottante e ci intrattiene sul lato cortile dove potremo ancor meglio goderci le conseguenze. Siamo in cucina. Il maitre va e viene. Riporta indietro prima il piatto di Madame: “Strano, Madame, non ha nemmeno toccato la sua cotoletta”. Poi il piatto dell’invitato: “Toh, nemmeno lui!” (infatti questa seconda cotoletta è tagliata in cento pezzettini ma ancora tutta li). Arriva il terzo piatto, vuoto: “E tuttavia il Signore sembra aver apprezzato la cotoletta”. Si è riconosciuto “Ricciolo d’oro” nella casa dei tre orsi: la pappa di Papà Orso era troppo calda, quella di Mamma Orsa troppo fredda, quella del Piccolo Orso andava bene. Conoscete una letteratura più utile di questa?

FERNALDO DI GIAMMATTEO

Personaggio inimitabile più di chiunque altro. Attraversa il cinema dal 1918 (Gli occhi della mummia, con Pola Negri) al 1947 (La signora in ermellino, completato e montato dopo la sua morte da Otto Preminger), oscillando fra due generi: l'affresco storico e la commedia. Durante il muto non mostra preferenze spiccate, ora coltiva l'uno (Madame Dubarry, 1919; Anna Bolena, 1920), ora l'altro (La principessa delle ostriche, 1919; Matrimonio in quattro, 1924; Baciami ancora, 1925). Poi, a poco a poco - lui che, figlio di un sarto, era stato attore comico alla scuola di Max Reinhardt - piega verso le soavi sciocchezze delle operette, perché gli sembrano le più adatte per satireggiare le inclinazioni della borghesia senza affondare nella carne la lama della riprovazione ideologica. Ci ricorre esplicitamente ( Il principe studente, 1927, Il principe consorte, 1929, L'allegro tenente, 1931, La vedova allegra, 1934, tutte tranne la prima affidate al brio irresistibile di Maurice Chevalier) o se ne serve per disegnare personaggi e creare lievi atmosfere di scherzo: (Mancia competente, 1932, Partita a quattro, 1933, persino L'ottava moglie di Barbablù, 1938, senza delitti, con i gentili Gary Cooper e Claudette Colbert).

UGO CASIRAGHI

A cent'anni dalla sua nascita a Berlino (28 gennaio 1892, esattamente come Genina) ci si può legittimamente domandare: chi era Emst Lubitsch, e perché si è parlato alternativamente tanto male e tanto bene di lui? Come mai ebbe tanto successo ai tempi suoi e fu popolare quanto Chaplin, e poi dopo la morte (a Hollywood il 30 novembre 1947, al sesto infarto) è stato dimenticato, quasi che la gente si vergognasse di essersi troppo divertita ai suoi film?
Se ne è parlato male da chi riteneva il suo cinema effimero, epidermico, lontano dalla realtà. Un mondo ridotto al rango di operetta. Un professionismo eccellente, ma senza spessore di pensiero né di sentimento. Un autore pronto a scherzare su tutto, a non rispettare, anzi a non riconoscere alcun valore. Lubitsch bazzicava troppo coi ricchi, poneva i suoi personaggi in ambienti fastosi, fingeva di cantare d'amore (La vedova allegra del 1934, che ha inaugurato su Rai Tre l'ultima personale ogni domenica a mezzanotte) e cantava invece di danaro. Insomma un formalista e un cinico, attratto esclusivamente dalle battute spassose, ma sostanzialmente vuoto, senza ideali e senza coscienza, e per il quale i fenomeni sociali e i drammi della storia erano al massimo oggetti di commedia.
Ma se ne è parlato bene, e se ne parlerà sempre meglio, da chi entra nel suo universo immaginario comprendendo che è volutamente artificioso soltanto per risultare artisticamente più vero. Si scopre allora un cineasta grande e complesso, assolutamente autonomo e anticipatore, uno che prima di Hitchcock (Il ventaglio di Lady Windermere,1925) spiegava la situazione al pubblico e poi lo coinvolgeva nell'attesa e nel mistero, senza barare al gioco e mettendo in campo le ambiguità e le contraddizioni della natura umana, indagata ben oltre la superficie. E nella struttura del film, nella cura intensa portata alla sceneggiatura (e non solo alla scenografia!), nella volontà di cavarne l'essenziale e di affidare il resto alla fantasia dello spettatore, c'è già il fascino discreto di Buñuel, la sua aerea leggerezza.

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