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Veltroni e i suoi bambini

ONDA&FUORIONDA di Pino Farinotti.
di Pino Farinotti

In foto una scena di I bambini sanno.

domenica 3 maggio 2015 - Focus

I dizionari lo definiscono "politico, giornalista, scrittore e regista italiano". In questa epoca prevale l'ultima definizione e credo che a Walter Veltroni... non dispiaccia. Un segnale arriva da come si tiene fuori dalle vicende complicate, magari grottesche della sua parte politica (e di tutte le parti, attenzione). Fare un film gli deve sembrare un opportuno aventino e un magnifico rifugio. La passione per il cinema, per questo "comunista americano", arriva da lontano, è nella sua prima cultura così come la dichiarata propensione per Hollywood. Un altro segnale in questo senso arriva dalla Fondazione Italia USA, che nel 2009 gli ha conferito il Premio America. Poi c'è tutto il resto che lo riguarda, come non-politico: la letteratura, saggistica e fiction, e l'azione su una piattaforma impegnativa che era l'Unità di cui è stato direttore. Questa premessa è utile, e strumentale, proprio per arrivare a capire il suo film I bambini sanno, che alla fine è un intelligente, divertente, appassionato film politico, ma benevolmente politico. Con molti difetti. Ho conosciuto Veltroni a Roma, a un Roma-Milan (vittoria del Milan due a zero). In un'intervista si era dichiarato "farinottiano" nel senso del "Dizionario". E ho rilevato dal vivo una competenza sul cinema davvero profonda e appassionata, appunto. Credo che I bambini sia un modello perfetto ad accreditare un mio assunto: niente è più discrezionale del cinema. Puoi essere positivo su un film, portare argomenti inconfutabili e puoi essere negativo con argomenti altrettanto inconfutabili. La storia: Veltroni ha fatto parlare 39 bambini e adolescenti da una rosa di 350. Alcuni soggetti: un prodigio matematico, un filippino di famiglia poverissima, una piccola nigeriana che il padre ha abbandonato, una musulmana che si confronta con le altre religioni, il piccolo zingaro che sogna il mare, il giovane fenomeno circense, il malato di leucemia tenuto lontano dai compagni, due gemelle di cui una con sindrome di Down, l'adottata da una coppia di lesbiche, i figli orfani di un padre ebreo omosessuale e il nipote di vittima del terrorismo. Fra gli altri. Qualche virgolettato: "Cosa serve per essere felice?" "Sognare". "In questa società siamo tutti che non capiamo nessuno". "I musulmani sono come noi, siamo tutti uguali". "Qual è la cosa più bella che potrebbe accaderti?"
"Che dio ci salvi" risponde il piccolo zingaro. Dunque: benevolmente politico, appunto. Scrive Goffredo Fofi, firma accreditata del cinema: «I bambini intervistati sono quelli appartenenti a quel ceto medio dominante da cui provengono gli adulti del film, anche se per Veltroni c'è l'aggravante antropologica della provenienza, diciamo, dalla borghesia togliattiana, un'area privilegiata che continua a contare molto, almeno a Roma. Di essa Veltroni è stato ed è il virgulto più "americano" di tutti... e il più bulimico di tutti, una sorta di americano a Roma diverso da Sordi perché cresciuto nella bambagia e nel culto di Kennedy. Non abbiamo niente contro gli eclettici, ma va purtroppo constatato che il nostro uomo è sempre uguale in tutti i campi. Noioso, cinematograficamente primario, I bambini sanno può suscitare interesse solo come documento del modo in cui gli adulti al potere considerano l'infanzia: primi piani con sfondo di camerette libri e peluche».

Radicale
È il punto di vista di un recensore politico radicale, figlio della corrente critica prevalente soprattutto fra le due guerre, quando nelle classifiche assolute del cinema metà dei titoli erano russi. Una firma, importante, del Corriere, Porro, è invece entusiasta di Veltroni, gli attribuisce il massimo delle stellette. Ecco la discrezionalità di cui ho detto sopra. Io sto nel mezzo. Naturalmente ho colto i "trucchi" dell'autore, che poi sono i trucchi del cinema: il patinato, qualche tocco di mélo troppo dichiarato, la voce sempre presente del regista che indirizza i bambini secondo convenienza. Qualcosa, certo, è di troppo, come quando le domande riguardano Dio e gli omosessuali. Senti il disagio, la titubanza del piccolo che si sforza di dire quello che il "grande" vuol sentirsi dire. Vogliamo chiamarli cliché? Poi c'è il cinema senza il fardello dell'impegno e della politica. E allora, semplicemente, i bambini dicono spesso cose intelligenti, danno lezioni a noi adulti, e ci fanno riflettere sul loro destino e sul nostro. Certo, sono messi lì, in studio, con scenografie organizzate, con regia studiata. Non sono i cellulari che colgono l'istante in strada. Ma... non c'è niente di male. Ribadisco: cinema significa anche trucco. Io sto, senza esagerare, con Walter.

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