Uno degli elementi stilistici che balza subito agli occhi - e alle orecchie - dello spettatore che assiste alla proiezione di Marie Antoinette - il terzo film di Sofia Coppola - è la scelta musicale: insieme alla scenografia e ai costumi è il tratto decisivo nel costruire le emozioni, i sentimenti e i pensieri della futura regina.
Non a caso la regista americana ha scelto la storia di una ragazza di 14 anni, costretta ad abbandonare la propria casa e i propri affetti per sposare il Delfino di Francia, imprigionata in un matrimonio senza amore e, per sette lunghi anni, anche senza sesso.
Obbligata dal suo ruolo a dare un erede al futuro regno del marito e obiettivo preferito delle malelingue di Versailles, Maria Antonietta fu cosciente della troppo giovane età alla quale fu chiamata a regnare su una delle più importanti nazioni europee del XVIII secolo, esperienza interrotta tragicamente dalla Rivoluzione e dalla ghigliottina.

La musica dà l'opportunità di comprendere una figura così complessa interpretando l'animo della protagonista in termini "moderni", creando una immediata connessione con noi, uomini e donne del XXI secolo: non è un caso che Sofia Coppola scelga un immaginario musicale che attinge soprattutto agli Anni Ottanta, all'epopea New Romantic, probabilmente proprio la musica con cui lei stessa è cresciuta, ma anche a brani più contemporanei, come quelli della band del suo compagno, i francesi Phoenix.
Giovanissima figlia di uno dei più grandi registi della storia del cinema, Sofia ha vissuto una vita scandita dal ritmo dei film paterni, costretta ogni volta a nuovi ambienti, nuove scuole, nuovi amici, per spostarsi da un set all'altro; il parallelo fra lo spaesamento di Maria Antonietta e quello della giovane regista però finisce qui.

La storia della principessa austriaca - e poi regina di Francia - è l'occasione per intraprendere ancora una volta un viaggio nell'animo umano.
Ne viene fuori un film sulla superficialità ma certo non superficiale, in cui la musica è una delle mappe che ci possono aiutare a trovare la giusta direzione.
Fin dall'apertura del film, quando gli splendidi titoli rosa sono inframmezzati da una conturbante immagine di Kirsten Dunst, nuda su una dormeuse, con calze autoreggenti tenute su solo da un fiocco rosa e il seno nascosto da un ventaglio, la musica ci dà il senso della pellicola che andremo a vedere: viaggiamo sulle note di Gang of four, "Natural's Not In It", band funk - rock nata in piena esplosione punk e che ha attraversato tutti gli anni Ottanta con le sue liriche decisamente sinistroidi e di aspra critica sociale all'edonismo e al rampantismo che iniziava a dilagare.

La pellicola è un tourbillon di colori vivaci, dolci, torte, bon bon glassati, feste, giochi, vizio e virtù, acconciature alla Marge Simpson, scarpe Manolo Blahnik, il tutto al ritmo di "I Want Candy" dei Bow Wow Wow, brano di giocoso gusto fanciullesco, oppure della ribellione edonistica di Adam Ant ("Kings of the Wild Frontier"), o sulle corde del rock oscuro dei Cure e quello indisciplinato dei giorni nostri interpretato dagli Strokes. Un collage di generi ed epoche diverse in cui la chiave contemporanea è prevalente, il tutto per spiegare le diverse emozioni della protagonista: la voglia di stordimento dei sensi attraverso il divertimento, il bisogno di dimenticare il peso delle responsabilità ma in cui c'è anche il tentativo di liberarsi dall'etichetta e dai manierismi che imprigionavano la vita di corte; insomma una Maria Antonietta edonistica amante del glamour stile anni Ottanta ma anche ribelle punk in stile anni Settanta, spaesata come una rappresentante della Generazione X.
Nessun altro, prima di Sofia Coppola, era mai riuscito a renderci così vicino un personaggio temporalmente tanto lontano da noi... forse perché, come scrisse Jules Michelet, "Ciascun uomo è un'umanità, una storia universale" ed è l'unica cosa che interessa alla Coppola.