Stupore, bellezza, orrore e una forte componente drammatica su cui vince l’amore tra diversi, tra ultimi e diversi; così si può riassumere in poche paroleShape of Water, vincitore del Leone d’oro al Festival del Cinema di Venezia quest’anno.
Un film originale, visivamente potente ed emozionalmente legato alle vecchie favole dark del “mostro della laguna nera” cui il regista, Guillermo Del Toro, volutamente si ispira.
Siamo nella Baltimora della metà degli anni cinquanta in piena Guerra Fredda. In un laboratorio scientifico lavora Elisa (Sally Hawkins) con l’afroamericana Zelda (impegnata nei diritti delle donne contro la discriminazione razziale), come donna delle pulizie. Elisa è affetta da una grave forma di mutismo a causa di un trauma (di cui conserva sul collo diversi graffi come cicatrici dell’anima) che la rassegna a un muto silenzio dal quale osserva la realtà assai poco cristallina degli anni ’50.
Nel laboratorio, il colonnello Strickland (un efficace Michael Shannon) nasconde una “essere” anfibio dalle sembianze antropomorfe allo scopo di poterlo sfruttare come “arma” contro i russi. Il dottor Hoffstetler, segreta spia russa, mandato in incognito per studiare le mosse del nemico vorrebbe invece “impiegare” la creatura per esperimenti spaziali, avendo questa eccezionali capacità superiori per resistenza e fisicità ad un normale essere umano.
Elisa scopre per caso “il mostro” dentro delle antesignane vasche criogeniche e ne comprende la sua intelligenza e sensibilità, la sua natura “umana”. Di nascosto, in un silenzio asettico, la giovane quanto solitaria donna si innamorerà della creatura, ricambiata da quel mistero chiamato amore, che la porterà alla pericolosa decisione di far evadere “l’essere” dal laboratorio con l’aiuto di un altro “diverso”, Giles, (l’artista vicino di casa omosessuale, discriminato sul lavoro) e liberarlo nell’Oceano, salvaguardandone il segreto.
Ma il dispotico Strickland, emblema di ogni ambizione guerrafondaia subodora l’inganno e si mette, come segugio affamato di sangue, sulle tracce di Elisa.
Uomo e acqua, ci ricorda un pò Shyamalan in Lady in the water ma Shape of water che di acqua mantiene l’essenza, esula dal semplice simbolismo per mostrarci una verità di fondo: l’amore tra reietti, freaks, per dirla come un vecchio film muto degli anni ’20 (Elephant man doveva ancora nascere). Freaks è Elisa con la sua malformazione e lo è la creatura con la sua apparente natura mostruosa. Freaks è Zelda, impegnata in una lotta che nell’America degli anni ’50 suonava come una bestemmia: quella per il diritto ad una vita normale anche con la “pelle nera”. Freaks infine è tutto ciò che non appartiene al conformismo americano, al benpensare borghese, Freaks è l’omosessualità che non si può palesare perché non ammissibile.
Non è un caso quindi che tutti protagonisti della pellicola siano “alternativi” al crudele realismo storico di Strickland, alla sua sete di potere. Dicotomicamente il mondo di Del Toro si schiera a favore del diverso, elogiandone le debolezze e rendendolo un punto di forza contro il bieco fattore umano. La bestia nasconde intelligenza, la bella immagine di Strickland, cinico biondastro, marciume.
Gioca di ossimori, Shape of water: l’inquietudine dell’uomo nei confronti dell’ignoto, nascosto nella profondità dei fondali, si scontra con la nevrosi della guerra e della conquista di un nuovo continente, tra mare e terra, “la Luna” per sottolineare la potenza dell’uomo moderno.
Un uomo che per il “bene” della scienza è pronto a sacrificare il diverso, non a studiarlo. Lo vuole dissezionare, violentare con scariche elettriche, vederlo vomitar sangue godendo. Eppure se da una parte l’oscuro meccanismo storico permea la pellicola con un’inquietudine di fondo capace di creare tensione all’intera narrazione, dall’altro lato, pervicace è la lingua del silenzio. Silenzio nell’acqua dove la pulsione sessuale si libera senza gravezza metaforica, tra realtà e doppio quello dell'immaginario mitologico (l'incontro con la creatura) e quello del presente che irrompe a rovinare ogni poesia.
Come già nel Labirinto del Fauno, Del Toro torna a sfruttare l’immaginario onirico per raccontare la realtà. Là dove c’era la Spagna franchista, qui c’e’ la guerra fredda ma la carica d’odio e l’uscita da quello mondo attraverso lo specchio che è la realtà, portano a incubi della ragione diversi, a forme ibride di mostri acquatici.
La natura umana è esplorata sino in fondo in Shape of Water: ogni personaggio risulta ben caratterizzato grazie a una fotografia che predilige una scelta cromatica a tinte blu, in cui la luce bianca pian piano si scava un reticolo sino a permeare questo effetto notte, in un unione tra uomo e creatura, inno alla vita in tutte le sue forme contro ogni totalitarismo militare.
Estetico e barocco, con qualche spruzzata di sangue rosso (perché è sempre quello checchè siamo anfibi o mammiferi), Shape of water, è forse il miglior film di Del Toro, mai asservito alla logica dell’effetto speciale, privo di retorica capace di scaldare occhi e cuore.
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giuliacanova
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domenica 4 febbraio 2018
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condivido ogni parola.
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Mi è piaciuto davvero tanto questo film e volevo commentarlo visto che è da tanto che non partecipo al forum. Ma dopo aver letto la tua bella recensione non mi sento di aggiungere nulla :-)
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antoniomontefalcone
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venerdì 23 febbraio 2018
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lo struggimento d'amore e libertà tra diversi
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'The Shape of Water', Leone d'Oro a Venezia, è uno dei più interessanti film del 2017. Raffinata e visivamente carica di fascino e impatto emozionale, l'opera richiama il cinema anni '50, lo stile onirico e poetico di Del Toro, il tono fantasy di pellicole come 'Il mostro della laguna nera', la dimensione fiabesca de 'Il labirinto del Fauno'. Il regista messicano ci coinvolge in una tenera e commovente storia romantica che, pur omaggiando il passato ci parla dell'oggi (vedi gli immigrati e la politica di Trump), e in atmosfere dark che riflettono la dolente ma sognante intimità dei suoi protagonisti; una donna chiusa nel suo mutismo, un anfibio imprigionato in un laboratorio; entrambi soli, sensibili, emarginati e contro una società irrispettosa e ambiziosa che ha allontanato la mente dal cuore.
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'The Shape of Water', Leone d'Oro a Venezia, è uno dei più interessanti film del 2017. Raffinata e visivamente carica di fascino e impatto emozionale, l'opera richiama il cinema anni '50, lo stile onirico e poetico di Del Toro, il tono fantasy di pellicole come 'Il mostro della laguna nera', la dimensione fiabesca de 'Il labirinto del Fauno'. Il regista messicano ci coinvolge in una tenera e commovente storia romantica che, pur omaggiando il passato ci parla dell'oggi (vedi gli immigrati e la politica di Trump), e in atmosfere dark che riflettono la dolente ma sognante intimità dei suoi protagonisti; una donna chiusa nel suo mutismo, un anfibio imprigionato in un laboratorio; entrambi soli, sensibili, emarginati e contro una società irrispettosa e ambiziosa che ha allontanato la mente dal cuore. Un'opera evocativa che, nella potente costruzione di immagini perfette e caratteri visti 'imperfetti', dà la migliore FORMA al DESIDERIO umano (e non) di ciò che è impossibile e meraviglioso...
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