FERNALDO DI GIAMMATTEO
Gli anni '50 sono burrascosi in Grecia. Anghelopoulos, figlio di piccoli commercianti, si laurea in legge, emigra a Parigi (ci arriva quando è da poco scoppiato il fenomeno della nouvelle vague), frequenta l'IDHEC*, avvicina Jean Rouch e sperimenta il cinéma direct, torna in patria, pratica la critica cinematografica in un giornale di sinistra, vive con difficoltà l'esperienza della dittatura dei colonnelli, tenta finalmente la strada del cinema con scarso successo. Solo nel 1970, a 34 anni, coglie la giusta occasione e realizza Ricostruzione di un delitto, dove recupera il mito degli Atridi per narrare una storia di adulteri e di squallidi intrighi paesani. Due anni dopo, favorito dall'interesse suscitato dal primo film al festival di Berlino, apre un meditato, severo discorso sulla storia greca, che dal 1936 (la dittatura di Metaxas) giunge agli anni '70, attraverso tre film: comincia con I giorni del '36, continua con La recita (1975) e finisce con I cacciatori (1977). Una vera e propria trilogia, che costituisce insieme un trattato politico e una riflessione sulla cultura e sulla antropologia greche (classi in conflitto, presenza oppressiva dei militari, debolezza delle strutture sociali, immaturità delle sinistre). Ed è, soprattutto, l'invenzione di una forma narrativa imperniata sull'accoppiamento e la sovrapposizione dei segmenti temporali (ieri, oggi, ieri l'altro, oggi, ieri, ecc.) nel corso di lunghi e foltissimi piani sequenza. In tal modo la realtà politica, le sofferenze e le crudeltà umane, i conflitti familiari, le (inevitabili) analogie con i miti classici si fondono perfettamente, creando una sorta di sospensione allucinata, efficace soprattutto nella storia dei poveri attori girovaghi (La recita).
Meno incisiva si rivela questa tecnica nei successivi Alessandro il Grande (1980), con uno stranito Omero Antonutti nella parte di un bandito capopopolo, Il volo (1986), storia di un apicoltore interpretato da Mastroianni e Paesaggio nella nebbia (1988), divagazione intorno alle vicende patetiche di due bambini, in un clima che vuol essere poetico (nell'accezione zuccherosa che dà alla poesia Tonino Guerra, sceneggiatore di questo e del film precedente). Di straordinaria, quasi surreale suggestione è il documentario che il regista dedica, nel 1982, ad Atene. Nel 1995 presenta a Cannes Lo sguardo di Ulisse - un lungo viaggio nei Balcani alla ricerca della memoria e del cinema - e ottiene il gran premio della giuria.
*Institut Des Hautes Etudes Cinématographiques
Fernaldo di Giammatteo, Dizionario del cinema. Cento grandi registi,
Roma, Newton Compton, 1995