Maria Denis (Maria Ester Beomonte) è un'attrice argentina, è nata il 22 novembre 1916 a San Lorenzo (Argentina) ed è morta il 15 aprile 2004 all'età di 87 anni a Roma (Italia).
Era la diva dei telefoni bianchi, anche se non amava essere definita così: «Non ho fatto solo quei film leggeri e un po’ stupidini, - diceva - e soprattutto non mi sono mai sentita una diva... Piuttosto, ero la fidanzata d’Italia». Fidanzata, ma anche maestrina, commessa, sartina e figlia di papà, Maria Denis era un volto popolarissimo degli anni Trenta e Quaranta. E a quell’epoca è rimasta indissolubilmente legata. Si era ritirata dalle scene mezzo secolo fa. Viveva in una villa sull'Appia antica con un vecchio cane. Si occupava di arte, letteratura e psicologia. «Nella vita sono sempre stata sola», raccontava, senza però piangersi troppo addosso. Confessava di essersi sentita sola anche quando era sposata con un marito molto occupato e assente, che le aveva dato un figlio nato con una grave malformazione.
Dei suoi 50 film ne salvava una decina, tra cui Seconda B di Alessandrini, La maestrina di Giorgio Bianchi e La Bohème di Marcel L'Herbier. Ricordava che decise di interrompere la sua carriera, iniziata per caso nel 1933, per la cattiva accoglienza che nel 1949 a Venezia fu riservata alla «Fiamma che non si spegne» di Vittorio Cottafavi: fu quello il suo ultimo film, se si esclude un’isolata ricomparsa in Tempi nostri (1953) per far piacere all’amico Blasetti.
La Denis non è mai uscita dal cinema leggero dei telefoni bianchi. Le sarebbe piaciuto, però, fare qualcosa di più, per esempio recitare in teatro, o avere una parte in Quattro passi tra le nuvole o, magari, in Ossessione, per cui fece anche un provino. Ma non aveva rimpianti o rimorsi e candidamente affermava che durante il fascismo non si era neppure accorta dell’esistenza della politica.
Nonostante ciò, una ventina di anni fa svelò un episodio oscuro della sua vita che la segnò profondamente, tanto da indurla a entrare addirittura in analisi. Negli ultimi mesi della guerra aveva una infatuazione per Luchino Visconti, che militava nella Resistenza, mentre lei era una attrice gradita al regime fascista. Quando Visconti cadde nelle mani della famigerata banda Koch, fu la Denis a farlo uscire incolume dalla pensione Iaccarino, dove era rinchiuso, dopo un colloquio molto privato con lo stesso Koch, suo fervente ammiratore.
Dopo l’arrivo delle truppe Usa e la Liberazione, la Denis fu arrestata con l' accusa di collaborazionismo, da cui fu poi definitivamente scagionata senza che Visconti, pare, si fosse dato granché da fare per restituirle il favore.
Nella sua vita, raccontata in un libro autobiografico, Intorno ad Addio Giovinezza, ha incrociato buona parte del cinema italiano, da De Sica a Giachetti, da Cervi a Alida Valli e Elsa De Giorgi, con cui rimase amica anche fuori dal set.
Da Il Mattino, 16 aprile 2004
È morta ieri mattina all'ospadale San Camillo di Roma, dopo una grave crisi respiratoria, l'attrice Maria Denis (nome d'arte di Maria Esther Belmonte), diva del cinema italiano degli anni 30 e 40. Soffriva dei postumi di un ictus.Nata in Argentina il 22 novembre 1916 arrivò in Italia da bambina con la famiglia. Piero Francisci nel 1932 la nota e le propone di partecipare a un breve film a passo ridotto. Fu l'inizio di una carriera straordinaria sotto la direzione dei più noti registi dell'epoca fra cui Alessandro Blasetti, Goffredo Alessandrini, Mario Camerini, Augusto Genina (che le affidò per la prima volta un ruolo drammatico ne L'assedio dell'Alcazar), Ferdinando Maria Poggioli nel ruolo di protagonista in Addio giovinezza! ('40) e Sissignora ('41) che erano i film preferiti della Denis. Non amava sentirsi chiamare «diva dei telefoni bianchi». Sono almeno 40 i film interpretati in 20 anni di carriera. «La fidanzatina d'Italia» o «la Mary Pikford» nostrale, si diceva di questa diva, che vantava una miriade di ammiratori. Mussolini, in occasione di una visita a Cinecittà, non si decideva più ad allontanarsi dal set, ha raccontato la Denis, quando era in lavorazione I due misantropi di Amleto Novelli e dove si doveva esibire in una scena che richiedeva particolare concentrazione. Resisté anche all'insistente corte di Galeazzo Ciano. Ma in quell'ambito di figure di spicco un altro ammiratore di triste memoria fu il famigerato Pietro Koch, nel cui studio sembra abbondassero, alle pareti, foto-ritratto della bella Maria. Quando Luchino Visconti cadde nelle sue mani accusato di attività antifasciste fu lei a far sì che, sfruttando questa debolezza del torturatore di partigiani, il regista di Ossessione uscisse incolume dal carcere. E solo poco prima che gli Alleati liberassero Roma e che Koch fuggisse con la sua banda a nord: dove, dopo la liberazione, processato, pagò con la fucilazione alla schiena i suoi misfatti. La vicenda di Visconti fu una prova di come la Denis intendeva il rapporto di amicizia al punto tale da mettere a rischio la propria vita essendo stata, anche lei, accusata di attività contro il regime: un esempio, il suo, leale e schietto comportamento nei difficili rapporti con le vicende umane. Il grande rispetto per gli altri, la dedizione totale per la difesa delle cause giuste non le giovò, certo, professionalmente, una volta passata la bufera. Nel 1953, dopo provvisori e occasionali rientri (fu protagonista anche nel 1949 di Private Angelo di e con Peter Ustinov, scomparso in questi giorni), decise di lasciare definitivamente il cinema, delusa e amareggiata, per dedicarsi alla famiglia. Tuttavia Maria Denis, la fidanzatina d'Italia dei tempi che furono, non si è mai rassegnata a starsene isolata nella sua bella residenza sull'Appia Antica, confortata solo dai ricordi. Si è occupata di pittura (una ventina di pregevoli ritratti sul tema delle debolezze umane) ed è sempre stata contenta di accompagnare i suoi vecchi film in occasione di festival e retrospettive. Una donna che con la sua sensibilità e la sua arte è stata capace di allietare e di appagare chi ha mostrato disponibilità ad abbandonarsi a quelle nobili sensazioni che appartengono all'universo culturale e artistico comunque grondanti profonda umanità.
Da Il Manifesto, 16 aprile 2004
Maria Denis è stata, negli anni Trenta e Quaranta, la star di una sessantina di film dai titoli leggendari (Gli uomini che mascalzoni, Addio Giovinezza, Belle o brutte si sposan tutte, Seconda B, Le due orfanelle, L’ultima nemica, Sissignora, Nessuno torna indietro, La fiamma che non si spegne), soprattutto commedie che venivano incoraggiate dal regime fascista perché rappresentavano l’antidoto all’osservazione della realtà e opportunamente distoglievano l’attenzione del pubblico dalla politica, dai problemi sociali, dalla tutt’altro che eccitante quotidianità nazionale. Una quotidianità esorcizzata sullo schermo proprio dall’abbondanza di telefoni bianchi, simbolo ingenuo e provinciale di lusso e signorilità.
Maria Denis si chiamava in realtà Maria Esther Beomonte ed era nata in Argentina da genitori italiani: il padre era un capitano dei carabinieri, la mamma una cantante lirica mancata. Approdata a Roma giovanissima, la futura diva esordì nel cinema a 16 anni, per caso e per gioco, nel film L’arcobaleno . Lanciata poi dal produttore Amleto Palermi, costretta dalla famiglia a trovarsi un nome d’arte, Maria conquistò in breve tempo le platee fino a diventare la “fidanzata ideale” degli italiani. Nei suoi film incarnava la tipica ragazza borghese romana, una brunetta piccante e capricciosa, esuberante ma con la testa sulle spalle, capace di tenere in scacco tanti innamorati in una volta per sposare, alla fine, il più affidabile e posato di tutti.
Tra il 1934 e il ’48 lavorò senza sosta, girò un film dietro l’altro. La cattiva accoglienza ricevuta a Venezia nel ’49 da La fiamma che non si spegne di Cottafavi la spinse ad abbandonare il set. Vi sarebbe fugacemente ritornata solo nel ’53, per le insistenze del vecchio amico Alessandro Blasetti che le offrì una parte in Tempi nostri. Negli anni d’oro della sua carriera, Maria Denis fu una diva indiscutibilmente gradita al Regime. «Ma del fascismo io non mi ero nemmeno accorta», avrebbe confessato poi con candore. Accusata di collaborazionismo e arrestata dopo la Liberazione, quindi prosciolta «per palese equivoco», aspettò fino agli anni Settanta per scrivere l’autobiografia, Intorno ad Addio Giovinezza , nella quale avrebbe rivelato un episodio sconosciuto della sua vita, talmente sconvolgente da spingerla ad entrare in analisi. Negli ultimi mesi della guerra, Maria si era innamorata follemente di Luchino Visconti che militava nella Resistenza. Quando il regista fu catturato dalla famigerata banda Koch, lei riuscì a farlo liberare dalla Pensione Jaccarino di via Romagna, dov’era segregato: l’attrice aveva investito tutta la sua seduttività per convincere lo stesso Pietro Koch, incapricciato di lei, a rilasciare Visconti.
La Denis ha passato gli ultimi anni da sola con un vecchio cane, nella grande villa sull’Appia Antica arredata con tappezzerie preziose e nature morte del Seicento. Fino a qualche anno fa giocava a golf. Leggeva molto, si occupava di psicologia e di cultura spirituale. «Mi sono sempre sentita desiderata e mai amata», rivelava con un sospiro. Nel ’53 aveva sposato l’industriale Ermanno Guani, un uomo molto occupato, spesso assente. Due anni dopo, il loro unico figlio, Filippo, venne al mondo con una grave malformazione cardiaca dalla quale sarebbe stato salvato dal celebre professor Denton Cooley.
L’attrice ha vissuto una vecchiaia serena, senza rimpianti né rimorsi. Unico cruccio, avrebbe voluto recitare in teatro o avere un ruolo in Quattro passi tra le nuvole , magari in Ossessione . Ma non uscì mai dal cinema dei Telefoni Bianchi, una prigione dorata nella quale si era autorinchiusa perché, ammetteva, «al cinema ho dato solo un quarto di quello che avrei voluto».
Da Il Messaggero, 16 aprile 2004
Nell’autobiografia intitolata «Il gioco della verità», uscita nel 1995, aveva scritto: «Sono stata un'attrice famosa e, dicono, bella, col nome d'arte di Maria Denis. Il mio vero nome è Maria Ester Beomonte. Sono cresciuta in una famiglia borghese con pochissimo denaro e una morale rigida. Il mio patrigno era ufficiale dei carabinieri. Un giorno, frequentavo la quinta ginnasio, venni catapultata, come Alice, in un nuovo Paese delle meraviglie: il cinema». E fu il cinema, il cinema degli anni del fascismo, fra il 1933 (quando esordì in un paio di film diretti da Amleto Palermi, Non c'è bisogno di denaro e Creature della notte) e il 1943 (quando interpretò la parte di Anna in Nessuno torna indietro di Alessandro Blasetti, tratto dal romanzo omonimo di Alba De Cespedes), a farne una diva. Una diva discreta, gentile, un poco appartata, dai modi eleganti, dal fascino sottile, d'una bellezza splendente ma non aggressiva, che dimostrò anche buone doti d'attrice, non sfigurando, anzi imponendosi, nel gruppo di quelle attrici che costituirono in quegli anni la struttura portante del cinema italiano e che comparvero, quasi tutte, nel film citato di Blasetti: da Elisa Cegani a Valentina Cortese, Doris Duranti, Mariella Lotti, Maria Mercader, Dina Sassoli, e soprattutto Assia Noris, Alida Valli e Isa Miranda. Era nata, Maria Denis, a Buenos Aires il 22 novembre 1916 da genitori italiani, figlia di un ufficiale. Come scrisse lei stessa, la strada del cinema le si aprì per caso, e i primi film furono alquanto modesti, sebbene già dimostrasse quelle qualità che si riveleranno vincenti. La sua bellezza, più ancora la sua grazia, si coniugava perfettamente con l'ambiente borghese, più spesso piccolo-borghese, in cui erano ambientati i film da lei interpretati. E questa sua presenza familiare, casalinga, la faceva amare dal pubblico, che le decretò un gran successo. I suoi personaggi - studentessa, impiegata, commessa, sartina - sono personaggi quotidiani, realistici, di quel realismo minore che si ritrova in molto cinema italiano di quegli anni. Si pensi a Seconda B (1934) di Goffredo Alessandrini, o al gruppo di film che la vede al fianco di Vittorio De Sica, da Hanno rapito un uomo (1937) di Gennaro Righelli a Napoli d'altri tempi, Partire e Le due madri, diretti nel 1938 da Palermi, a Pazza di gioia (1940) di Carlo Ludovico Bragaglia. Ma si pensi, oltre a Documento (1939) di Mario Camerini, ai film girati durante la guerra, come Addio giovinezza (1940), diretto da Ferdinando M. Poggioli, delicata versione cinematografica della commedia di Camasio e Oxilia, L'assedio dell'Alcazar (1940) di Augusto Genina, L'amore canta e Sissignora, ambedue del 1941, ancora di Poggioli, Le due orfanelle (1942) di Carmine Gallone, al fianco di Alida Valli, o infine La maestrina (1942) di Giorgio Bianchi. Non grandi film, forse, ma opere riuscite, che bene riflettono il clima dell'epoca, in cui la Denis mostra il meglio di sé, come attrice e come donna. Poi ci fu la storia, travagliata e in parte oscura, con Luchino Visconti (di cui lei ci ha dato una versione accurata e documentata nella sua autobiografia) e gli anni bui della fine della guerra. Il neorealismo è alle porte: difficile per la Denis inserirsi nel nuovo cinema. Ancora qualche sporadica apparizione (la si vide in un episodio di Tempi nostri, 1953, di Blasetti), poi il silenzio. Dopo quel film si è ritirata a vita privata.
Da La Stampa, 16 aprile 2004