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Rassegna stampa di Marcel Carné

Marcel Carné è un attore francese, regista, assistente alla regia, è nato il 18 agosto 1906 a Parigi (Francia) ed è morto il 31 ottobre 1996 all'età di 90 anni a Clamart (Francia).

LIETTA TORNABUONI
La Stampa

Marcel Carné se n'è andato ieri, grande regista e grande fabbricante del mito del cinema, autore di alcuni tra i film più belli del secolo, quand'era di buon umore faceva notare che il suo cognome, anagrammato, dava Ecran, schermo: come a dire che sin dal nome era segnato da una sorte di cineasta per sempre. Non gli capitava spesso d'essere di buon umore. Molto vecchio, non poteva rassegnarsi a non lavorare. Inseguiva, affastellava progetti, tentativi, proposte, trattative: dopo un documentario sui mosaici della basilica di Monreale in Sicilia girato per la televisione vent'anni fa, La Bible, si batteva per realizzare un film-biografia della santa Bernadette Soubirous o Mouche, film tratto da Maupassant per il quale voleva Juliette Binoche come protagonista. Non combinava, s'arrabbiava, non capiva, s'indignava, protestava. L'amarezza lasciava intatti spirito battagliero ed energia: bisogna aver visto con quale forza e foga difendeva Querelle di Fassbinder alla Mostra di Venezia. Ma la grandezza di Carné s'era persa nel mondo cambiato con la fine della seconda guerra mondiale, con il meraviglioso Les enfants du paradis (Amanti perduti, 1943- 1945): rappresentazione della rappresentazione, quattro uomini e una donna, finzione e spettacolo, intensità romantica, Arletty col suo fermo sguardo incantato, Jean-Louis Barrault con la faccia candida di biacca, Maria Casares come un idolo, lo strazio elegante dell'amore impossibile, il mistero affascinante del cinema di poesia. Bancario, giornalista e redattore capo di Cinemagazine, realizzatore di filmetti pubblicitari (per i vetri Securit, per le poltrone Levitan), assistente di Jacques Feyder, di René Clair e di Jean Renoir (per La vie est à nous girò l'immensa manifestazione unitaria della sinistra francese del 14 luglio 1935), regista debuttante nel 1936 con Jenny, leader d'un gruppo comprendente Jacques Prevert sceneggiatore, Kosma musicista e Alexandre Trauner scenografo, Marcel Carné è tra i creatori di quel realismo poetico degli Anni Trenta che rese il cinema francese leggendario, amato nel mondo, studiato da ogni cineasta. Quai des brumes (Il porto delle nebbie, 1938), Hotel du Nord (1938), Le jour se leve (Alba tragica, 1939) sono i film esemplari d'una raffinatezza figurativa inimitabile, d'un verismo apparente, d'un populismo romantico: idealismo pessimista, amore fatale, la forza del destino, Jean Gabin coi suoi berretti proletari, gli occhi ipnotici di Michele Morgan, Pierre Brasseur e Jules Berry, Arletty, Louis Jouvet. Grandi attori, grande cinema. L'aria del tempo, con le speranze e le lotte del Fronte popolare e con le minacce del peggio, certo influenzava Carné, simpatizzante comunista, iscritto nel 1934 alla Associazione scrittori e artisti rivoluzionari, sempre di sinistra: ma era il legame d'epoca tra cinema e letteratura, cinema e altre arti, cinema e cultura, a dare ai film intensità, spessore, struggimento. Il regista scherzava, chiacchierando con l'amico Roland Lesaffre: “Bisogna riconoscere che Quai des brumes era una specie di film rivoluzionario, nello spirito e nella forma. Gli schermi traboccavano di commedie, musicali e non, brillanti, luminose, affollate di comparse chic. E io arrivavo con le nebbie, il grigiore, il selciato lucido di pioggia, il lampione... Aveva diretto film prima di quel momento (Drole de drame, Lo strano dramma del dottor Molyneux, 1937), avrebbe diretto film dopo (Les visiteurs du soir, L'amore e il diavolo, 1942; Les portes de la nuit, Mentre Parigi dorme, 1946; Les tricheurs, Peccatori in blue jeans, 1958; Les assassins de l'ordre, Inchiesta su un delitto di polizia, 1970- '71). Ma è quel momento a rimanere nella storia del cinema: e anche se alcuni critici hanno ironizzato sul fatalismo ingenuo, sul realismo artificiale, sulla schematicità dei personaggi o la facilità dei simboli, quei film di Carné hanno rappresentato per generazioni di spettatori non soltanto la magia del cinema, anche l'amore della cultura, le passioni della vita. In Alba tragica, l'operaio Jean Gabin, barricato nella sua stanza, resiste per tutta la notte all'assedio della polizia, ricordando; all'alba, quando la polizia fa irruzione, si uccide. Sul cassettone suona la sveglia. è giorno. Tutto è finito: adesso, anche per Marcel Carné.

ANDRé BAZIN

II existe un cas Marcel Carné. Envers aucun metteur en scène français de premier plan, on ne se montre aussi exigeant. Il semble avoir le don de cristalliser toute la sévérité diffuse de la critique parlée et écrite. Aucun d'ailleurs n'a été aussi souvent calomnié; une sorte de légende maudite le fait passer pour l'ogre des producteurs, un mégalomane du décor, un sadique du dépassement de devis. Lui a-t-on assez reproché le métro Barbès-Rochechouart pour Les Portes de la nuit, sans se demander si le tournage en décors réels, avec toutes les complications qui en découlaient, n'aurait pas coûté aussi cher. Il lui a fallu tourner La Marie du port pour prouver qu'il était capable de réaliser le film de tout le monde: pas plus cher et tout de même mieux. Mais voici Juliette ou la clef des songes, et s'il est vrai que Carné a raté son virage, avouons qu'on l'y attendait pour l'un des plus sensationnels éreintements de l'histoire du cinéma. La projection au Festival de Cannes a pris des proportions de catastrophe, de deuil national. Au point que la publicité de la sortie parisienne a dû se faire sur le mythe de l'erreur judiciaire, voire de la cabale. Mais il n'existe pas de cabale contre Carné. Pris un à un, chacun des critiques qui ont dit du mal de Juliette affirme, en son âme et conscience, qu'il aurait plus volontiers médit de sa propre mère, et que sa vérité est à la mesure des espoirs qu'il mettait dans le film. Le même critique aura sans doute dit du bien de La Beauté du Diable ou, s'il en a pensé du mal, ses reproches auront été modérés: «une simple erreur», mais pour Carné, «un échec». Pourtant je me demande ce qui resterait de La Beauté du Diable sans Michel Simon. Le symbolisme ne m'y paraît pas moins gratuit que dans Juliette, et il s'en faut que la réalisation formelle en ait les qualités. René Clair n'est pas un metteur en scène moins glorieux que Carné, il représente même mieux le cinéma français dans l'esprit du public et de la critique. Quoi qu'il en soit, la disproportion est évidente entre l'importance objective d'une nouvelle réalisation de Carné et l'émotion passionnée qu'elle suscite. Ce phénomène mérite réflexion.
J'en verrais volontiers l'origine dans la conjoncture assez particulière qui a fait le succès de Marcel Carné. Ses films, à tort ou à raison, s'identifient dans le souvenir du public avec l'idéal cinématographique d'avant-guerre. Quai des brumes et Le Jour se lève jouissent d'un prestige qui dépasse du reste le succès commercial qu'ils connurent à leur sortie (pour Le Jour se lève surtout, dont la guerre vint interrompre la carrière). Au souvenir de ces films sont liées les images les plus émouvantes des deux seules véritables «stars» du cinéma parlant français: Jean Gabin et Michèle Morgan. Leur mythologie personnelle coïncidait merveilleusement avec celle des scénarios et des dialogues de Prévert. Tout se conjuguait pour faire de ces deux films l'expression la plus achevée d'une tendance assez caractéristique de la production française entre 1934 et 1939: «le film noir». Il est d'ailleurs intéressant de constater que pour une fois, l'optique de l'étranger confirme ce jugement national: de la Suède à l'Italie, Le Jour se lève et Quai des brumes sont certainement les deux films français les plus populaires.

PIETRO BIANCHI

Molti si sono chiesti, non senza malizia, come mai Jacques Prévert sia stato buon sceneggiatore con Marcel Carné e non con il fratello Pierre de L’affaire est dans le sac. In verità Carné e Prévert si somigliano, si completano l’uno con l’altro; Marcel Carné è un visivo mosso da una sensibilità romantica e un po’ decadente, Prévert è lo scrittore, il poeta che dà corpo e sostanza alle immagini del regista.
Tutti sanno cosa rappresenti nella cultura francese Jacques Prévert. È un poeta, ora sui cinquant’anni, ,che ama passare la più gran parte dell’anno sulla Costa, a Saint-Paul de Vence, che ha sempre vissuto in un’amabile anarchia sociale, biografica e spirituale, uno scrittore vivo ma privo di doppio fondo e per così dire al seltz. Tutto il suo mondo consiste in una concezione visionaria delle cose reali. Prévert infatti è tutt’altro che lo scrittore francese tradizionale, classico, un po’ «sec», che procede dritto dritto dai grandi avi, dal razionalismo di Cartesio, dal misticismo di Pascal, dal sottile scetticismo di Montaigne: tutta gente provvista di profondità, di stile, di classica contenutezza. Prévert, in parole povere, è un romantico, è un uomo del 1830 smarrito nelle periferie delle moderne città industriali, alquanto stupito delle ciminiere fumanti che si intravvedono nella nebbia del mattino, un po’ spaurito dai treni che passano sferragliando sulle massicciate, dai grossi camion che paiono precipitarvisi addosso all’improvviso; ma che presto trova il suo compenso nei caffeucci stinti, nei bistrò colmi di amabili compagnoni, dove il vino è buono e la roba è cucinata con cura, e dove s’incontrano fanciulle belle e irreali che assomigliano, come una goccia d’acqua assomiglia a un’altra goccia, alle eroine di Gérard de Nerval.

FERNALDO DI GIAMMATTEO

Lavora con il padre mobiliere prima di trovare un impiego in una società di assicurazioni. L'operatore Georges Périnal, poi René Clair e infine Jacques Feyder lo assumono come assistente. E sarà il regista di La kermesse eroica a procurargli il suo primo impegno, Jenny regina della notte (1936). Sarà tuttavia l'incontro con il poeta Jacques Prévert che gli permetterà di affrontare il cinema con la sicurezza dell'autore pronto a cimentarsi con temi congeniali. Dalla collaborazione fra i due nasceranno alcuni capolavori, imperniati sul desolato pessimismo indotto non solo dalla crisi incombente sull'Europa ma anche dalla ideologia diffusa nella letteratura popolare cui i due si ispirano.

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