Critico d’arte, chansonnier, polemista e soprattutto sceneggiatore, poi regista. Anzi, dietro la macchina da presa Lucio Fulci esordì nel 1959 con I ladri, di malavoglia quasi, chiamato alla regia dal Principe. «Mi ritengo un errore di Totò» dice il cineasta nella definitiva videointervista che nel 1994 gli fecero Marcello Garofalo e Antonietta De Lillo (La notte americana del dott. Pulci). Un errore che ha però strappato Fulci a un destino da mediano, da rifinitore della settima arte e della cultura di massa, una figura che un copione già scritto avrebbe relegato dietro le quinte a scrivere gag, dialoghi o canzoni (sua e di Piero Vivarelli è per esempio Il tuo bacio è come un rock, per dirne una che ne vale mille) senza apparire, senza disturbare. Ma Totò ci ha messo lo zampino, e il dottor Fulci di disturbo ne ha creato parecchio. Si fa per dire, ma è un dato di fatto che nessun regista come lui abbia suscitato nel pubblico e soprattutto nella critica viscerali passioni e apodittiche stigmatizzazioni. Del resto, era inevitabile. Parliamo dell’uomo che in un certo senso ha inventato - o inguaiato, per dirla alla Ciprì e Maresco - il cinema italiano popolare, a partire dall’americano a Roma Nando Moriconi, creato insieme a Sandro Continenza, fino ad alcune delle pagine migliori di Totò, come Totò a colori diretto da Steno, per arrivare a certi film con Franchi & Ingrassia - uno su tutti 00-2 Operazione Luna - che persino mai pentiti denigratori annoverano tra le “perle” della comicità nostrana. Eppure, rispetto a Mario Bava, Riccardo Freda, Fernando di Leo, Mario Mattoli e altri illustri “artigiani”, Fulci non gode dell’unanimità neppure in epoca di rivalutazioni. Chi lo apprezza lo fa senza condizioni, trasformando la giusta riconsiderazione della sua opera in agiografia militante, all’interno della quale l’inguardabile Un gatto nel cervello vale quanto l’eccellente Non si sevizia un paperino. Così facendo l’autore è imprigionato in un’altra torre d’avorio, diversa da quella degli intoccabili Mostri Sacri (Fellini, Antonioni, Rossellini, De Sica, ultimamente Leone...) ma lo stesso inespugnabile da chi voglia esercitare una critica reale. Dall’altra ci sono quelli come Tullio Kezich che si ostinano a trattarlo appunto da mediino, senza accorgersi dell’energia, a volte dirompente, di alcune sue invenzioni. Il problema con Fulci è forse di prospettiva. Ha capito prima di altri che il racconto di genere in Italia aveva bisogno di trascendere i propri limiti, e ha quindi favorito la trasformazione, persino l’ammodernamento, di certi stereotipi. Nando Moriconi è la prova più lampante: il romanaccio becero che tenta un’impossibile metamorfosi “americanizzandosi”; ma non dimentichiamoci che attraverso I ragazzi del juke-box e Urlatori alla sbarra Fulci contribuisce a creare il fenomeno Celentano, anche qui mescolando la tipologia provinciale dell’italiano che “va in tramvai" a quella (pseudo)internazionale tutta “roccherroll” e “awanagana”. Stessa cosa nell’horror, la cui declinazione fulciana manda in visibilio i lettori di “Fangoria” e Quentin Tarantino, che in Kill Bill 2 omaggia Paura nella città dei morti viventi con la scena di Urna Thurman sepolta viva. Qui Lucio, oltre a firmare alcuni dei suoi lavori migliori, come E tu vivrai nel terrore! L’Aldilà, dimostra una fantasia visionaria che ha radici ben precise, molto consapevoli, senza dubbio influenzata dalla frequentazione con la storia dell’arte, in particolare le avanguardie.
Il suo è un cinema di serie B (C, D...) che, se valutato alla distanza, è ancora oggi considerato un imprescindibile punto di riferimento, quando non spudoratamente imitato. Scrivere di Lucio Fulci è anche omaggiare un carattere irriducibile. Parliamo di una persona che quando sostenne l’esame di ammissione al Centro Sperimentale rinfacciò a Luchino Visconti, che lo interrogava, di aver copiato Renojr per Ossessione. Parliamo di un «comunista così» che definisce il poliziottesco “fasciopoliziesco”, e quando ne gira uno, l’orrido Luca il contrabbandiere, fa comunque di tutto per farlo sembrare altro: un western, una sceneggiata, un horror... Parliamo di un uomo che la Democrazia Cristiana mise all’indice per le allusioni di All’onorevole piacciono le donne, fatte pensando a Emilio Colombo. Insomma, parliamo di un uomo straordinario che per indole e talento non era fatto per piacere a tutti.
Da Film Tv, 28 febbraio 2006