Jason Biggs non è un comico. Nelle interviste seriali, quando accompagna i suoi film, o nelle interviste performance come quelle del David Letterman Show appare, naturalmente, sotto tono, quasi imbarazzato, al limite del disagio. Non dice battute per accattivarsi gli spettatori televisivi o la compagnia di giro dei giornalisti che stancamente aspetta qualche parola da mettere tra virgolette. La sua non è la classica timidezza dell’intrattenitore che si trasforma sul palco o sul set. Potrebbe sembrare l’understatement di un potenziale talento che ha la fisionomia da ragazzo comune nato nell’epoca sbagliata. Se fossero gli anni Settanta, il suo amico-modello sarebbe stato Dustin Hoffman (e Biggs, non a caso, è stato chiamato da lungimiranti produttori a interpretare una buona versione teatrale de Il laureato con Kathleen Turner e Alicia Silverstone) e se esistessero veri sceneggiatori e registi di commedie agrodolci potrebbe ispirarsi a Jack Lemmon. Nei primi anni del terzo millennio il venticinquenne attore originario del New Jersey, star assoluta dei teen movie confezionati per un pubblico di adolescenti di fatto e tardivi, con il successo del marchio American Pje (il terzo episodio, diretto da Jesse Dylan, figlio di Bob, si chiude con Il matrimonio di Jim con Michelle, interpretata da Alyson Hannigan), è a un bivio: tra Adam Sandier e Steve Cuttenberg. Il primo continua a essere poco apprezzato dal pubblico italiano, ma è il giovane attore brillante più popolare d’America, mentre Cuttenberg è una delle vittime professionali delle Scuole di polizia. Un “sequel man” triturato (e non riciclabile dal cinema franchise che ha isterilito e impoverito il cinema hollywoodiano di massa. Biggs non esclude che, chiusa la trilogia, “siamo le Guerre stellari della commedia”, si possano realizzare altre puntate e altri episodi sulle avventure di Jim e soci, e si diverte a proporre titoli:“American Puberty, American Past Life, American Reincarnation”. Nello stesso tempo ammette che non bisogna farsi stritolare dal meccanismo e di non finire nelle sabbie mobili di un filone. “Sicuramente è un onore (questa parola suona troppo impegnativa e pomposa?) essere stato coinvolto in una serie di film che sono piaciuti così tanto e che, in un certo senso, sono entrati nella storia del cinema o, se non altro, nella storia del box office. So bene che i giovani scanzonati di American Pie sono molto diversi dal personaggio di Benjamin interpretato da Hoffman ne Il laureato. Benjaniin è un classico della solitudine e dell’inquietudine che precede la maturità. Jim e i suoi demenziali compagni appartengono a un’altra epoca e si rivolgono a un altro pubblico”. Jason ha appena cinque anni, quando, sulla scia della sorella maggiore, comincia a lavorare nel mondo dello spettacolo: pubblicità, sfilate di moda, serie Tv, teatro. Racconta: “Ero a Broadway a 13 anni ed ero consapevole che non sarebbe stato per sempre. Che cosa può esserlo in questo mestiere? A differenza di altri attori che hanno cominciato a lavorare in quest’industria da bambini, non ho perso la testa e non mi sono fatto prendere dal gioco. Dopo l’esperienza di Broadway sono stato disoccupato per un anno e mezzo, ho frequentato il college e poi è arrivata l’opportunità di American Pie”. Un’opportunità feconda e ingombrante con la quale Biggs tenta di scendere a patti e dalla quale spera di divincolarsi per ragioni anagrafiche: “Anch’io sto crescendo, sto “invecchiando” e non potrò tutta la vita recitare in questo genere di film”. Altre sue pellicole come Loser (“tradotto” per il circuito italiano in American School), Saving Silverman, Prozac Nation e Jersey Girl di Kevin Smith con Affleck-Lopez (“Ho un ruolo minore: sono l’assistente di Ben, che è un produttore musicale), in cui indossa i panni di personaggi diversi dal Jim del tempo delle torte di mele, non hanno segnato un sensibile cambio di marcia e di immagine. Cosa che potrebbe accadere con l’ingresso nella famiglia cinematografica di Woody Allen. che lo ha voluto con Christina Ricci, Danny DeVito e Stockard Channing in Anything Else. Biggs è Jerry Falk, un aspirante scrittore di New York che trova il suo mentore in uno scrittore più anziano, interpretato dallo stesso Woody. “Allen è un regista brillante ed esigente. Può essere onestamente brusco e molto preciso nelle indicazioni. Pretende dai suoi attori un’interpretazione fluida, realistica, e se ha l’impressione che qualcuno stia recitando”, che sia “finto”, interrompe le riprese e fa ripetere la scena. Non esita a dirti frasi come: “In questa inquadratura mi hai fatto addormentare . Far addormentare Allen e una bella responsabilità! Si aspetta da tutti la perfezione. È unico.
Da Film Tv, 5 ottobre 2003