RAFFAELLA GIANCRISTOFARO
Se abbiamo nell'orecchio il nome di Bela Lugosi non è solo grazie a Ed Wood di Tim Burton. Delizioso film metacinemarografico in cui era interpretato da un truccatissimo, esausto, tossico Martin Landau. Ungherese di nascita, Bela Blasko prese il nome d'arte dalla sua città. Perse l'accento (a differenza degli omonimi, connazionali Béla Bartok o Béla Tarr) e diventò Bela Lugosi. In realtà, lui che veniva dal teatro ungherese, e che nel '20 emigrò negli Usa, l'accento non lo perderà mai. Anzi, ne farà una cifra stilistica. Si dice addirittura che imparasse le parti mandando a memoria i suoni delle parole. II testo di Bram Stoker lo conosceva bene, avendolo replicato per tre anni a teatro. Sarebbe noioso riportare per l'ennesima volta la sterminata aneddotica della vita di un attore schiacciato dal peso di quel primo ruolo, e che addirittura si fece seppellire con il mantello del Conte. Anche se la sua fortuna cinematografica iniziò effettivamente sotto un segno infausto: quello della morte di Lon Chaney, che Browning, con il quale Lugosi aveva già lavorato in The Thirteenth Chair alla Mgm, avrebbe voluto come Primo vampiro. E invece toccò a lui, brillantina nei capelli, trucco pesante, matita negli occhi e soprattutto, accento suadente, vellutato da magiaro («I bid you welcome»), ad accogliere i suoi ospiti da quella scala curva, ricoperta da quella ragnatela drappeggiata e ripresa dall'abilissimo Karl Freund come il peggiore degli incubi. Vittima della politica schiacciante degli studios, proprio lui che veniva da un passato di attivista di sinistra ed era stato tra i fondatori del sindacato degli attori, si ritrovò ad accettare tutta l'exploitation possibile. L'aura divistica, la recitazione affinata dal gusto del monologo e dalla gestualità estenuata si farà presto parodia di se stessa. Una parabola da rockstar: splendore e fango, divismo ed eccesso. Decine di pellicole, molte delle quali inedite da noi, lo videro spesso, oltre che in quella del nobile straniero, o dell'ufficiale supercilioso (vedi lo splendido Razinin di Ninotchka) nella parte del mad doctor, lo scienziato pazzo, dagli occhi fissi e ipnotici, che sperimenta su se stesso (in L'uomo scimmia è ricoperto di pelo) o su altri, magari complici, manipolazioni genetiche e identitarie. Gli esiti migliori sono Island of Lost Souls, tratto da H.G. Wells, con Charles Laughton, o il dottore haitiano di White Zombie, o ancora il Raggio invisibile, con Karloff nel ruolo di un altro scienziato pazzo "contaminato", sul volto del quale opera come chirurgo plastico in The Raven. Perfetto per le atmosfere di Edgar Allan Poe, è un "dottor Miracold" nell'ononimo freak-show del '32 e, sempre con Karloff, in The Black Cat di Ulmer (dove cerca vendetta per la moglie morta). Altrimenti, licantropo (nell'Uomo lupo morde Chaney jr.) o, Igor, assistente dello scienziato pazzo (nel Figlio di Frankenstein e nel Terrore di Frankenstein, rispettivamente con Rathbone e Chaney jr.). Il mantello da Conte lo rimetterà solo nel comico Il cervello di Frankenstein, nel '48, con Gianni e Pinotto. Se la parafrasi è segno di indiscutibile successo, è da qui che il gioco mostra la corda. I cinefili non dimenticheranno mai la prima star dell'horror: non solo Tim Burton, ma anche Landis lo omaggia in Amore all'ultimo morso. In Miriam si sveglia a mezzanotte, i dark Bauhaus gli dedicano addirittura una hit (Bela Lugosi Is Dead). Che non fa altro che ripetere: Undead! Undead) Undead!
Da Film Tv, 8 agosto 2006