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Rassegna stampa di Albert Camus

Albert Camus ha lavorato come scrittore, sceneggiatore, assistente alla regia, è nato il 7 novembre 1913 a Drean (Algeria) ed è morto il 4 gennaio 1960 all'età di 46 anni a Villeblevin (Francia).

MARCO CICALA
Il Venerdì di Repubblica

Dal terrorismo alla globalizzazione, le intuizioni precoci del premio Nobel, quand'era giovane editorialista di «Combat». Ora una scelta di quei suoi scritti esce in Italia. Inediti compresi.
Whisky, Pupe, Jazz, e - nella nebbia delle senza filtro - quattro filosofemi da night su quant'è amara la vita, diciamo assurda, va'. L'industria del souvenir ce lo vende ancora così Albert Camus, quello anni Quaranta con cicca dietro il bavero immenso nell'eponima foto-cartolina di Henri Cartier-Bresson. Ce lo vende in versione Fred Buscaglione: non morirono forse entrambi in un incidente d'auto? E - da Jimmy Dean a Jayne Mansfield - la matassa di lamiere non è stata forse, insieme alla siringa, l'altare sacrificale per guadagnarsi i galloni di icone merceologiche del turbo-Novecento? Epperò, proprio oggi che, suo malgrado, Camus è diventato «un santino rassicurante, la sua immagine va rimessa in discussione, ribaltata», perché le sue pagine migliori sono quanto di più irriducibile al cliché. «Sono esortazioni sovversive, inviti - carichi di urgenza ma senza false garanzie, senza ricette - a una ribellione necessaria» dice Vittorio Giacopini nella prefazione a Mi rivolto dunque siamoraccolta di scritti politici camusiani, piccola quanto indispensabile. Se non altro perché contiene interventi inediti o da decenni introvabili in traduzione italiana. Sono gli editoriali pubblicati nel novembre 1946 sul quotidiano Combat e poi riuniti sotto il titolo Né vittime né carnefici. Articoli fitti di intuizioni anticipatrici. Esempio: «Il diciassettesimo è stato il secolo delle scienze matematiche, il diciottesimo delle scienze fisiche, il diciannovesimo della biologia. Il nostro ventesimo secolo è il secolo della paura». Paura atomica, certo, da prodromi di Guerra fredda. Ma non solo. Anche paura da ideologie assassine: «Viviamo in mezzo al terrore (...) perché l'uomo è stato consegnato tutto intero alla storia e non può volgersi verso quella parte di sé, altrettanto vera quanto quella storica, che egli ritrova davanti alla bellezza del mondo e dei volti; perché viviamo nel mondo dell'astrazione, il mondo degli uffici e delle macchine, delle idee assolute e del messianismo senza futuro». Altro esempio: la prefigurazione dell'orizzonte globalizzato: «Molti americani vorrebbero vivere rinchiusi nella loro società che considerano buona. Forse molti russi vorrebbero proseguire nell'esperienza statalista separati dal mondo capitalista. Non possono, non lo potranno mai. Nessun problema economico (...) è rïsolvïbile oggi al di fuori delta solidarietà tra le nazioni. Il pane dell'Europa è a Buenos Aires, le macchine utensili della Siberia sono fabbricate a Detroit. Oggi la tragedia è collettiva».

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