Dal terrorismo alla globalizzazione, le intuizioni precoci del premio Nobel, quand'era giovane editorialista di «Combat». Ora una scelta di quei suoi scritti esce in Italia. Inediti compresi.
Whisky, Pupe, Jazz, e - nella nebbia delle senza filtro - quattro filosofemi da night su quant'è amara la vita, diciamo assurda, va'. L'industria del souvenir ce lo vende ancora così Albert Camus, quello anni Quaranta con cicca dietro il bavero immenso nell'eponima foto-cartolina di Henri Cartier-Bresson. Ce lo vende in versione Fred Buscaglione: non morirono forse entrambi in un incidente d'auto? E - da Jimmy Dean a Jayne Mansfield - la matassa di lamiere non è stata forse, insieme alla siringa, l'altare sacrificale per guadagnarsi i galloni di icone merceologiche del turbo-Novecento? Epperò, proprio oggi che, suo malgrado, Camus è diventato «un santino rassicurante, la sua immagine va rimessa in discussione, ribaltata», perché le sue pagine migliori sono quanto di più irriducibile al cliché. «Sono esortazioni sovversive, inviti - carichi di urgenza ma senza false garanzie, senza ricette - a una ribellione necessaria» dice Vittorio Giacopini nella prefazione a Mi rivolto dunque siamoraccolta di scritti politici camusiani, piccola quanto indispensabile. Se non altro perché contiene interventi inediti o da decenni introvabili in traduzione italiana. Sono gli editoriali pubblicati nel novembre 1946 sul quotidiano Combat e poi riuniti sotto il titolo Né vittime né carnefici. Articoli fitti di intuizioni anticipatrici. Esempio: «Il diciassettesimo è stato il secolo delle scienze matematiche, il diciottesimo delle scienze fisiche, il diciannovesimo della biologia. Il nostro ventesimo secolo è il secolo della paura». Paura atomica, certo, da prodromi di Guerra fredda. Ma non solo. Anche paura da ideologie assassine: «Viviamo in mezzo al terrore (...) perché l'uomo è stato consegnato tutto intero alla storia e non può volgersi verso quella parte di sé, altrettanto vera quanto quella storica, che egli ritrova davanti alla bellezza del mondo e dei volti; perché viviamo nel mondo dell'astrazione, il mondo degli uffici e delle macchine, delle idee assolute e del messianismo senza futuro». Altro esempio: la prefigurazione dell'orizzonte globalizzato: «Molti americani vorrebbero vivere rinchiusi nella loro società che considerano buona. Forse molti russi vorrebbero proseguire nell'esperienza statalista separati dal mondo capitalista. Non possono, non lo potranno mai. Nessun problema economico (...) è rïsolvïbile oggi al di fuori delta solidarietà tra le nazioni. Il pane dell'Europa è a Buenos Aires, le macchine utensili della Siberia sono fabbricate a Detroit. Oggi la tragedia è collettiva».
Posizioni che avrebbero fatto di Camus un paria della sinistra (la rottura con Sartre è dei '51). E che oggi gli valgono un surrettizio recupero a destra. O da parte di un post-laburismo versione Terza Via, asservito al mercato e alle guerre dell'America. Mentre il ceppo politico della riflessione camusiana resta quello radicale del socialismo libertarío non violento. Maturato anche negli anni di Combat, foglio clandestino della Resistenza che, alla Liberazïone, sarebbe diventato uno dei giornali più letti, originali e giocoforza scomodi del Novecento francese. Con firme del rango di Raymond Aron, Sartre, Malraux. Trentenne, Camus ne fu caporedattore ed editorialista. Opinionista operaio. Uno che se ne stava soprattutto a discutere coi tipografi.
Installato negli stessi locali della Rue Réaumur che avevano ospitato la Pariser Zeitung, bollettino della Wehrmacht - Combat cerca politicamente una (impossibile) alternativa agli schieramenti ïn campo nella Francia liberata. Smarcandosi dall'aggressivo comunismo filosovietico come dalia nascente religione gaullista. È una testata dall'organizzazione democratico-assembleare. «Quasi non esiste una gerarchia. Impagïnatorî, linotipisti, zincografi, tipografi, questo ambiente di aristocrazia operaia, corporativista, consapevole delle sue qualità e dei suoi privilegi, stabilisce una sorta di parità fra giornalisti e operai» racconta Olivier Todd in Albert Camus. Una vita, la migliore delle biografie (Bompiani,1997, mai più ripubblicata. Perché?). «'Negli uffici, i correttori di bozze, letterati, puristi, difensori della sïntassî, anarchici la maggior parte, sgridano spesso î redattori. Quasi una casta, i correttori ostentano le proprie manie, ghiribizzi di virgole o teorie dei puntini: "Camus, sì dice vi prego di scusarmi, non mi scuso, non invece ma in compenso. E meno male che lei ha studiato!"». Tra discussioni sanguigne ed esalazioni di piombo, antimonio, inchiostro, grasso, petrolio, si carbura a «bianco secco, seguito dal bianco dolce e dal rosso. 5i prosegue con l'aperitivo, il brouiily del ganzo e poi il rosso algerino pomeridiano. Dopo arriva l'ora di fuoco» del bouclage, la chiusura. Ma alla fine (o nelle pause) «alcuni vanno a puttane in Rue Saint Denis, a due passi».
Camus arriva in redazione verso le 16. Se ne va coi buio. Dall'amante, l'attrice di origini spagnole Maria Casarès (sua moglie è bloccata in Algeria). O a ballare il jitterbug nei locali del Quartiere Latino. La danza gli piace solo un po' meno del sesso. Gira dentro uno sdrucito impermeabile alla Bogart. In tasca confezioni di Alka Seltzer, per addolcire le sbronze, e di Vicks Vaporub, contro le violente influenze (è gravemente tisico e sottoposto a insufflazioni). Ha fama di tipo alla mano ma incazzoso, di meridionale suscettibilità. Non solo gli avversari, gli rimproverano - talvolta a ragione - il tono cabotin, un po' altisonante e sentenzioso dei discorsi come degli articoli. Albert ha già scritto Lo straniero, R Mito di Sisifo e, per il teatro, Caligola e Il Malinteso, tutta roba conosciuta ancora solo da un'esigua élite. A lanciarlo sono gli editoriali di Combat, che tira 180 mila copie. Ma avrà vita breve. Causa problemi economici e dissensi interni. Soprattutto perché, Come diagnosticò uno dei suoi animatori, Pascal Pia: «In questo mondo assurdo, un giornale ragionevole è destinato al fallimento». Come Camus, che morirà nel 1960 (però non era lui al volante, odiava la velocità). Senza amici a destra ma, in compenso, molti nemici a sinistra.
Da Il Venerdì di Repubblica, 21 novembre 2008