| Titolo originale | Adolescence |
| Anno | 2025 |
| Genere | Drammatico |
| Produzione | Gran Bretagna |
| Durata | 60 minuti |
| Regia di | Philip Barantini |
| Attori | Ashley Walters, Stephen Graham, Owen Cooper, Faye Marsay, Christine Tremarco Jo Hartley, Austin Haynes, Amelie Pease, Noah Mason, Mark Stanley, Erin Doherty, Hannah Walters. |
| Tag | Da vedere 2025 |
| MYmonetro | 3,85 su 1 recensioni tra critica, pubblico e dizionari. |
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Ultimo aggiornamento venerdì 14 marzo 2025
Una serie che vede una famiglia precipitare in un incubo quando il figlio tredicenne viene arrestato per l'omicidio di una sua compagna di scuola.
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CONSIGLIATO SÌ
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È l'alba, e nella cittadina inglese dove vivono i Miller la polizia irrompe in casa, sconvolgendo la famiglia. Gli agenti non cercano il padre, Eddie, ma il figlio tredicenne Jamie, arrestato per omicidio. Portato in centrale, il ragazzo subisce un duro interrogatorio, via via scoprendo una serie di eventi impensabili, mentre una psicologa incaricata di valutarlo scopre i lati inquietanti della sua personalità e le influenze tossiche che ne hanno segnato la crescita, facendo emergere un quadro oscuro sull'adolescenza e sulle insidie digitali.
Il piano sequenza è stato al centro di molti dibattiti teorici, da André Bazin che lo considerava un mezzo per preservare l'integrità della realtà filmica, alla scelta estetica fatta dal Neorealismo prima, poi dalla Nouvelle Vague e da molti autori nella storia del cinema come strumento espressivo peculiare.
Pasolini lo definiva una soggettiva, un mezzo che trasforma la narrazione in un'esperienza percettiva quasi antropomorfizzata; Antonioni e Angelopoulos l'hanno sfruttato per creare una dimensione temporale sospesa, in cui passato e presente coesistono. Tuttavia, il piano sequenza, se da un lato permette un'immersione totale, dall'altro può diventare un vincolo espressivo, un'operazione di montaggio intrinseco della realtà, nonché un marchio stilistico che rischia di soffocare il potenziale emotivo della narrazione. Questo in Adolescence non accade: nella serie Netflix il piano sequenza è una scelta che trascende la sperimentazione tecnica - che ha visto esercitarsi nel one-shot film già Hitchcock nel 1948 (Nodo alla gola), poi Aleksandr Sokurov (Arca russa, 2002) e più recentemente ancora Alejandro González Iñárritu (Birdman, 2014).
Il long take diventa qui una chiave di lettura ottimale, un dispositivo che elimina le distanze tra lo spettatore e gli eventi narrati, richiamandone le possibilità espressive esplorate nel passato e raccontando una "realtà più reale", da sempre nascosta e oggi con conseguenze assai più subdole e meno evidenti nella costruzione psicologica delle nuove generazioni. L'assenza di stacchi amplifica il senso di claustrofobia, impedendo qualsiasi sollievo narrativo e costringendo il pubblico a condividere il tempo e lo spazio con i personaggi. È una tecnica, che come spesso accade nel cinema d'autore, diventa un modo per interrogarsi sul rapporto tra autore e realtà, mettendo in discussione l'illusione della finzione e accentuando l'autenticità emotiva della storia raccontata.
Dietro Adolescence si cela una squadra creativa di altissimo livello, ovviamente: Jack Thorne (National Treasure, The Virtues), co-crea la serie insieme a Stephen Graham (This Is England, Public Enemies), attore e produttore che qui interpreta il padre del protagonista. La regia è affidata a Philip Barantini, che riprende lo stile del piano sequenza già sperimentato in Boiling Point (2021), portandolo a un nuovo livello di intensità e soprattutto aggiungendo alla complessità realizzativa anche il lavoro svolto con una squadra di attori e attrici non professionisti corale e, soprattutto, adolescenziale, certamente non facile da gestire in un'intera ora senza stacchi per episodio.
Completa il tutto un buon casting professionale, di cui va sottolineata l'ottima resa interpretativa di Erin Doherty (The Crown), nei panni della psicologa chiamata ad analizzare la mente del giovane accusato, e nella cui espressione - interagendo col ragazzo, traspaiono le cicatrici di secoli di soprusi e discriminazioni di genere. Ferite che vengono riaperte (accoltellate) da un giovane che, sebbene colpevole, è innocente per via della sua età, mentre la vittima di questa interazione è in assoluto innocente, eppure, amaramente, un'adulta colpevole di aver ereditato un sistema che, nel tentativo di comprendere e riabilitare, finisce per rivelare le sue stesse contraddizioni.
La serie affronta temi di grande rilevanza sociale e psicologica, ponendo interrogativi profondi sulla radicalizzazione maschile, sul potere pervasivo dei social media nella formazione dell'identità giovanile - a prescindere dal background e dalle stesse possibilità educative (buone di base) di una coppia di genitori allibiti - e sull'incapacità degli adulti di comprendere la nuova realtà generazionale. La narrazione oscilla tra momenti di tensione insostenibile e segmenti più riflessivi, esplorando il concetto di colpevolezza non solo da un punto di vista giuridico, ma anche morale e sociale.
Meglio riusciti il primo episodio - un vero pugno nello stomaco per l'intensità della messa in scena - e il terzo, in cui la serie si spinge verso una dimensione che interroga la natura stessa del suo linguaggio. Qui Adolescence si avvicina a una riflessione ontologica sull'immagine e sul tempo, evocando, quasi inconsciamente, un principio fondativo del realismo: la fiducia nella capacità dello sguardo di catturare la realtà nel suo divenire, senza il filtro di un montaggio che seleziona e ordina. Perciò la serie adotta il piano sequenza: non come mero virtuosismo, ma come necessità espressiva. Ogni inquadratura diventa un campo di tensione morale in cui lo spettatore è lasciato a confrontarsi con l'ambiguità degli eventi, senza il conforto di stacchi che ne determinino una lettura univoca. Esattamente come accadeva nel quinto episodio (The Hurt Man) di Monsters: La storia di Lyle ed Erik Menendez, il terzo di Adolescence ci trascina in un flusso ininterrotto, dove la realtà sembra esistere solo nel momento in cui viene mostrata, per poi sfuggire, ricordandoci che la verità non è mai un'immagine fissa, ma un continuo processo di svelamento e riscrittura.
Adolescence è una miniserie da vedere, forse da portare nelle scuole, ma non per gli studenti, bensì per i loro insegnanti. Così come il piano sequenza impedisce di distogliere lo sguardo dagli eventi, la miniserie costringe lo spettatore adulto (e soprattutto lo spettatore maschio) a confrontarsi con domande scomode e prive di risposte facili, con una piccola storia che è il riflesso di una Storia più grande, mettendo in discussione il ruolo della società nell'educazione e nella formazione delle nuove generazioni.
La miniserie Adolescence finisce inevitabilmente per diventare occasione per dibattiti, interventi, pensate su un intero spettro di tematiche più o meno salottiere. Ma, se posso dire la mia, questo è forse l'aspetto meno significativo e conturbante di un lavoro che si offre, in termini di resa complessiva, sovrumano. A offrircelo come tale non è tanto l'impiego del piano [...] Vai alla recensione »
Pochi episodi, ciascuno con un tema diverso e con un punto di vista diverso. Primo episodio: un crimine è provato da immagini, gli investigatori iniziano seguendo metodi tradizionali. Fatti e comportamenti devono avere un significato, quello che darebbero persone adulte. L’ambientazione è nei locali della Polizia, il punto di vista è dell’adulto-investigatore e il [...] Vai alla recensione »
Serie disturbante, ma non è un complimento, è la sensazione che si prova assistendo a dialoghi interminabili e a piani sequenza infastidenti. Alcuni pezzi sono capolavori al contrario: la puntata con il dialogo tra la psicologa e il ragazzo, la chiacchierata tra moglie e marito sul VAN. Tale fastidiosissima e martirizzante ripetizione non da 'angoscia per immedimazione nei panni degli [...] Vai alla recensione »