
Dov'è l'orrore? La memoria del genocidio degli ebrei non è qualcosa di museale ma un aspetto che interroga le nostre coscienze in un momento storico in cui le guerre, i conflitti, sono molto vicini a noi. La curiosità per il film di Jonathan Glazer continua così a crescere e per il suo terzo weekend arriva ad avere a disposizione 469 cinema.
di Pedro Armocida
Iniziamo dai numeri. La zona d'interesse di Jonathan Glazer esordiva giovedì 22 febbraio al quarto posto con 66.706 euro e 10.397 spettatori con una media per copia di 266 euro in 251 cinema. Già nel suo primo fine settimana raggiungeva la seconda posizione con un totale di 795mila euro, 114.406 presenze e la migliore media per copia di 2.632 euro in 294 cinema, appena dopo il primo in classifica Bob Marley - One Love. L’iniziale forte interesse del pubblico per il film dal primo giorno di distribuzione viene confermato nei giorni di maggior affluenza nelle sale del fine settimana facendo anche capire che stava già iniziando un passaparola molto positivo.
In questi casi, ovviamente, una gran parte del merito va al lavoro di chi distribuisce il film, nello specifico I Wonder Pictures, per essere riuscito a comunicarlo al meglio.
Certo, il film di Glazer è anche uno dei favoriti agli Oscar, dove concorre in cinque categorie, tra cui quella per il miglior film internazionale in cui c’è anche il nostro Matteo Garrone con Io Capitano, ed era dunque uno dei film più attesi dell’anno, almeno per quanto riguarda quelli cosiddetti d’essai.
Però è successo qualcosa che è difficile da spiegare con i parametri abituali. Perché riuscire a portare al cinema nel secondo fine settimana più spettatori del primo, con un +5 per cento e un allargamento delle sale, arrivando infine in queste ore a un totale di 2,2 milioni di euro e più di 320 mila presenze (uno dei migliori risultati internazionali), è qualcosa di non prevedibile anche in una stagione cinematografica in cui molti film d’autore, come quelli di Wim Wenders, Aki Kaurismäki, Celine Song, Yorgos Lanthimos, sono andati molto bene. Tutto questo pure in attesa dell’imminente notte degli Oscar che potrebbe, in caso di vittoria, servire da volano per la buona tenitura di La zona d'interesse che, per questo suo terzo weekend, arriverà ad avere a disposizione 469 cinema.
Certo rimane il fatto che, sulla carta, un film ambientato nel campo di concentramento di Auschwitz e ispirato alla figura del gerarca nazista Rudolf Ho?ss, un uomo che faceva a gara per rendere la ‘sua’ struttura la più efficiente possibile nell’eliminazione fisica degli ebrei, poteva anche tenere un po’ alla larga il pubblico il cui richiamo del film non può neanche essere attribuito al cast nonostante la presenza di Sandra Huller, magnifica interprete anche del recente e pluripremiato Anatomia di una caduta, e nemmeno al romanzo omonimo di Martin Amis scomparso nel maggio scorso.
E non è neanche del tutto valido il discorso della mancanza dei film forti americani perché lo scorso fine settimana, nonostante il debutto di Dune - Parte 2 in prima posizione, La zona d'interesse rimaneva secondo con la terza media per cinema della Top Ten. È vero che, con una brutta locuzione, il combinato disposto di tutto questo può aver aiutato il successo di un film, diciamo così per intenderci, ‘difficile’, anche per il tema trattato e per la forma con cui il regista britannico sceglie di rappresentarlo con il calore umano restituito unicamente dalle macchine da presa termiche di notte, però forse possiamo trovare delle motivazioni ancora più profonde.
Una delle cartine al tornasole possono essere i commenti sui social che restituiscono una delle possibili interpretazioni del film perché, magari a differenza di altri sulla Shoah, ci troviamo di fronte a una messa in scena che, più che volerci far pensare al passato, chiede di prestare attenzione al presente. Molti pensieri sparsi, in genere parecchio elaborati, puntano proprio a sottolineare come questa volta la memoria del genocidio degli ebrei non sia qualcosa di museale ma un aspetto che interroga le nostre coscienze in un momento storico in cui le guerre, i conflitti, sono molto vicini a noi. Il timore che la banalità del male rappresentata dal giardino, così ben concimato dalla perfetta famiglia nazista, che confina con i forni crematori, possa essere quello di casa nostra è un punto di vista abbastanza condiviso. Così come gli spettatori sono ben consapevoli che l’orrore nel film non sia tanto nel fuoricampo, ossia nei rumori che sentiamo con le azioni che immaginiamo, ma in campo (in sala?), nella normale famiglia nazista. E proprio quest’aspetto, che interroga lo spettatore su questioni etiche e morali, è probabilmente quello che lo coinvolge di più e che lo porta a consigliare la visione del film.