Anno | 2023 |
Genere | Documentario |
Produzione | Tunisia, Francia, Italia |
Durata | 153 minuti |
Regia di | Yosr Guesmi, Mauro Mazzocchi |
MYmonetro |
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Ultimo aggiornamento venerdì 27 gennaio 2023
La storia di un uomo che è fuggito dalla Libia ed è in attesa del permesso di soggiorno italiano.
CONSIGLIATO N.D.
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Sconnesso e lirico viaggio che vede l'intrecciarsi di varie storie di immigrati, a partire da un centro di accoglienza di Sondrio, dove risiede Abderhaman, un giovane richiedente asilo libico, fino ai disperati tentativi di due profughi di varcare il confine italo-francese a piedi. Il film riflette sul senso dei processi migratori e sull'impossibilità di integrazione in maniera del tutto antinarrativa.
Un coraggioso documentario sul senso più profondo dell'immigrazione, ma che si perde in preda a un lirismo troppo calcato.
A partire dal concetto di Pangea primordiale, attraverso il processo espresso programmaticamente dal titolo, i due registi Yosri Gasmi e Mauro Mazzocco ricostruiscono a ritroso la geologia della separazione, unendo i temi sociali alla geopolitica in un'opera che poi prenderà una deriva più lirica ed estetizzante, nonostante le premesse. Ma andiamo con ordine. Geology of Separation parte dalle storie dei migranti, dalle loro sofferenze senza fine e dall'impossibilità per loro di integrarsi in una società che non li vuole accettare né valorizzare. In questa prima parte l'andamento sconnesso della narrazione è del tutto giustificato: i due registi procedono infatti a espungere ogni punto di riferimento narrativo con l'obbiettivo di mescolare le carte, finendo per sovrapporre le storie di migranti diversi, come ad indicare che la sorte ontologica del migrante è univoca. Alla luce di questa prospettiva assurgono a un significato superiore alcune lunghissime e provanti sequenze, che riescono a rendere appieno la noia dei migranti incastrati nei centri di accoglienza, così come la tendenza a bighellonare senza metà ne scopo. Poi però qualcosa si sfilaccia: nel passaggio da un capitolo dal titolo altisonante all'altro il film si fa via via più rarefatto, più fumoso, più estetizzante e quel sentimento e quell'emotività che avevano animato la prima parte di Geology of Separation si perde, come soffocata da un lirismo forse eccessivo. Il risultato, dunque, per quanto pregevole dal punto di vista estetico, e infuso di una forza poetico-metaforica non da poco (attraverso la voce fuori campo della stessa Yosr Gasmi) viene espunto da tutto quel materiale emotivo che ne aveva illuminato l'incipit.
Anche sulla regia ci sono delle interessanti annotazioni da fare. In certe sequenze troviamo una meravigliosa compenetrazione tra forma e sentimento: per esempio la scena in cui il nostro protagonista solitario è immerso in uno whiteout, che esprime meglio di qualsiasi perifrasi la condizione di totale isolamento in cui versano gli immigrati in Italia. C'è poi anche da dire che lo stile registico sembra vivificato da due anime profondamente diverse, che corrispondono verosimilmente ai rispettivi stili dei due registi. Al formalismo estetizzante, con derive liriche e poetiche si contrappone un'anima più sporca, che fa della macchina a mano e del decadrage i suoi stilemi più ricorrenti. In armonia con il titolo, questa regia così discontinua e contraddittoria dona al film una morfologia visiva complessa e composita.
Tanto è già stato raccontato sui traumi della migrazione verso l'Occidente alla ricerca della "vita migliore", a volte mitica. Con grande pathos, questo film esplora un'altra rotta, costruendo un filo narrativo dall'esperienza quotidiana di Abderhaman, un migrante fuggito dalla violenza in Libia e in attesa del permesso per rimanere in Italia.
Sconnesso e lirico viaggio che vede l’intrecciarsi di varie storie di immigrati. Il film riflette sul senso dei processi migratori e sull’impossibilità di integrazione in maniera del tutto antinarrativa. A partire dal concetto di Pangea primordiale, attraverso il processo espresso programmaticamente dal titolo, i due registi Yosri Gasmi e Mauro Mazzocco ricostruiscono a ritroso la geologia della separazione, unendo i temi sociali alla geopolitica in un’opera che poi prenderà una deriva più lirica ed estetizzante, nonostante le premesse.
Geology of Separation parte dalle storie dei migranti, dalle loro sofferenze senza fine e dall’impossibilità per loro di integrarsi in una società che non li vuole accettare né valorizzare. Nel passaggio da un capitolo dal titolo altisonante all’altro il film si fa via via più rarefatto, più fumoso, più estetizzante e quel sentimento e quell’emotività che avevano animato la prima parte si perde, come soffocata da un lirismo forse eccessivo.