Anno | 2022 |
Genere | Sperimentale |
Produzione | USA |
Durata | 78 minuti |
Regia di | Andres Serrano |
Tag | Da vedere 2022 |
MYmonetro | Valutazione: 3,50 Stelle, sulla base di 1 recensione. |
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Ultimo aggiornamento mercoledì 16 novembre 2022
Una libera compilation di vari materiali visivi sull'assalto a Capitol Hill a Washington il 6 gennaio 2021.
CONSIGLIATO SÌ
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Verso le 13 del 6 gennaio 2021 una folla oceanica di manifestanti repubblicani inizia a marciare verso il Campidoglio per protestare contro l'imminente elezione di Joe Biden. Dopo aver accerchiato l'edificio, i facinorosi cercano di piegare la resistenza della polizia per entrare nel Campidoglio. Dopo un braccio di ferro su vari lati dell'edificio i repubblicani hanno la meglio sulle forze dell'ordine e si introducono all'interno del Campidoglio saccheggiandolo e vandalizzandolo. I tweet e i discorsi sobillatori di Trump nelle ore precedenti all'assalto, e la mancata presa di distanza da questi eventi, addossano sulla sua persona gravissime responsabilità politiche.
La confusionaria e straziante cronaca dell'assalto a Capitol Hill, una lucida ricostruzione tra giornalismo e arte di una delle pagine più nere della storia americana.
Andres Serrano approda al cinema con un'opera iper-attuale, che si muove in un perimetro di realismo così esasperato da risultare conturbante. Serrano non ha bisogno di inventarsi niente per mostrarci la sua verità, non deve girare neanche una scena per "sbattere il mostro in prima pagina". 75 minuti di puro montaggio: le testimonianze e le immagini di una delle pagine più nere della storia statunitense recente sono state semplicemente scaricate dai social. Il super collage che Serrano ci propina è tanto lineare e semplice quanto puntale e crudo: gli eventi vengono ricostruiti cronologicamente in una climax raccapricciante giocata sul binomio humanitas-feritas. E un film che descrive la bestialità dell'umano non poteva che prendere le mosse dall'opera più razzista di sempre (soprattutto se consideriamo Insurrection come la naturale evoluzione dell'arte visiva di Serrano, che si è sempre collocata nel perimetro della questione razziale): Birth of a Nation di D. W. Griffith; in particolare Serrano ne riprende i cartigli in bianco e nero e una specchiata divisione in capitoli. Ma il rapporto con L'opera omnia di Griffith è in realtà più profondo e più evocativo: Insurrection, a più di cento anni di distanza da Birth of a Nation, vuole essere un bilancio, un punto di arrivo, la cronaca di un fatto esemplare che dimostra come gli USA siano, oggi più che mai, ad un punto morto: forse sarebbe stato più accurato nominarlo Death of a Nation.
Ma la cosa più sconvolgente delle immagini è la facilità con cui i facinorosi entrano nel Campidoglio, senza che la polizia ricorra a lacrimogeni, proiettili di gomma o armi di alcun tipo. Ed è proprio qui che il leitmotiv del Serrano artista entra a gamba tesa nel documentario: ciò che rimane fuori dall'inquadratura, il controcampo sociale oserei dire, sono le immagini dell'assassinio di Malcolm X, di George Floyd, di Emmet Till e di centinaia di altri neri innocenti uccisi negli USA per abusi di potere e razzismo sistemico, mentre un'orda di bianchi repubblicani può entrare indisturbata in Campidoglio. Acme drammatica è la morte di Ashli Babbitt: un agente in borghese fa fuoco da dietro una finestra rotta e il proiettile la centra in pieno petto. La scena, ripresa interamente con uno smartphone, è semplicemente desolante: il volto della donna è coperto da una maschera di sangue, gli agenti, spiazzati, palesano la loro totale incapacità di prestarle alcun tipo di soccorso e, dulcis in fundo, sentiamo la martirizzazione che Trump ne fa in un videomessaggio di condoglianze indirizzato alla famiglia. Serrano ha l'incredibile capacità di raccontare il totale dal particolare, di fare una prognosi completa a partire da un singolo sintomo. Ed ecco spiegata l'esigenza di fare di cinema: assodato che Insurrection non parla dell'assalto a Capitol Hill ma è piuttosto l'assalto a Capitol Hill, è altrettanto vero che quest'evento/film possiede lo scatto in avanti necessario per scuotersi di dosso lo storicismo, entrando così a gamba tesa nell'immaginario. Ecco il cortocircuito che Serrano cercava, quel tanto bramato detonatore che l'arte visiva non gli aveva mai concesso: quella capacità squisitamente cinematografica di dare origine a un'opera che sia cinema, ma anche politica, sociologia, arte e attualità, tutto allo stesso momento.
La confusionaria e straziante cronaca dell’assalto a Capitol Hill, una lucida ricostruzione tra giornalismo e arte di una delle pagine più nere della storia americana. 75 minuti di puro montaggio: le testimonianze e le immagini sono state semplicemente scaricate dai social. Il super collage che Serrano ci propina è tanto lineare e semplice quanto puntale e crudo.
Ma la cosa più sconvolgente delle immagini è la facilità con cui i facinorosi entrano nel Campidoglio, senza che la polizia ricorra a lacrimogeni, proiettili di gomma o armi di alcun tipo. Ed è proprio qui che il leitmotiv del Serrano artista entra a gamba tesa nel documentario: ciò che rimane fuori dall’inquadratura, il controcampo sociale oserei dire, sono le immagini dell’assassinio di Malcolm X, di George Floyd, di Emmet Till e di centinaia di altri neri innocenti uccisi negli USA per abusi di potere e razzismo sistemico, mentre un’orda di bianchi repubblicani può entrare indisturbata in Campidoglio.
Serrano ha l’incredibile capacità di raccontare il totale dal particolare, di fare una prognosi completa a partire da un singolo sintomo.