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Fenomeno 'Everything Everywhere All at Once': gli appunti sulla vita, l’universo e tutto quanto

Torna al cinema il 2 febbraio il film dei Daniels vincitore di 2 Golden Globe e candidato a 11 premi Oscar. Con l’occasione, approfondiamo il significato di alphaverse e multiverso, partendo da alcuni punti di vista insoliti.
di Luigi Coluccio

Ke Huy Quan (Jonathan Ke Quan) (53 anni) 20 agosto 1971, Saigon (Vietnam) - Leone. Interpreta Waymond Wang nel film di Dan Kwan, Daniel Scheinert Everything Everywhere all At Once.
mercoledì 1 febbraio 2023 - Focus

Torna nelle sale Everything Everywhere All at Once, successo arraffa premi e incassi dei The Daniels (al secolo Daniel Kwan e Daniel Scheinert), fresco dell’investitura di undici nomination agli Oscar del prossimo 12 marzo.

Prodotto dai fratelli Russo, il film è un continuo andirivieni tra gli universi paralleli delle infinite vite di Evelyn Quan (Michelle Yeoh), che da proprietaria di una lavanderia a gettoni si ritrova a dover difendere il Multiverso da una minaccia oscura e terribile che presto potrebbe divorarlo.

Approfittiamo della riproposizione nei cinema per mettere mano agli appunti sulla vita, l’universo e tutto quanto presi a margine di Everything Everywhere All at Once. Si comincia.

Parte 1: Everything
Nella tavoletta VAT 6505 del Museo del Vicino Oriente di Berlino c’è scritto questo: “Il numero è 4;10. Qual è il suo inverso? Procedi come segue”. E, alla fine di una breve lista di operazioni, “Questo è il modo di procedere”. Già, questo era il modo di procedere delle civiltà mesopotamiche, che a partire dal 2.000 a.C. circa già tentavano di addomesticare i terreni trapezoidali, le eredità multiple e la costruzione di clessidre con una forma inconsapevole ma efficace di algoritmi. E cosa è un algoritmo? Una sequenza di calcoli precisi ed eseguibili, possibilmente con una fine, questo è un algoritmo.

Chissà quando hanno iniziato a buttare giù la lista di operazioni trans-universali gli abitanti dell’Alphaverse, l’universo che per primo ha scoperto l’esistenza dei suoi infiniti gemelli paralleli. È da qui che proviene Alpha Waymond (Jonathan Ke Quan), la versione homo superior di quel Waymond Wang (Jonathan Ke Quan, sempre lui) sempliciotto e dal cuore grande che da tanti anni è sposato con Evelyn.

Alpha Waymond e tutti gli altri Alpha del suo universo non sono la versione definitiva di noi stessi, ma il risultato di quel tentativo di canalizzare il senso del Multiverso – qualunque esso sia, anche soltanto la storia d’amore fra due persone – all’interno di una formula che tutti possono leggere, seguire ed eseguire. Questo è il modo di procedere per, a volte, non avere paura.


CONTINUA A LEGGERE - PARTE 2
La famiglia Wang alle prese con l'inflessibile funzionaria dell'Agenzia delle Entrate (interpretata da Jamie Lee Curtis) in una scena del film Everything Everywhere All at Once.

Parte 2: Everywhere
C’era una volta un uomo che credeva nel Multiverso, e quell’uomo era Hugh Everett III. Iniziatore dell’Interpretazione a Molti Mondi della meccanica quantistica, una lettura vertiginosa del classico paradosso di Schrödinger, quello dove il gatto è sia morto che vivo nella scatola, Everett III pensava che il gatto è sia vivo che morto perché l’universo, nel momento di scegliere, si divide in due, esplorando contemporaneamente la diade di possibilità. Da qui alla formulazione dell’immortalità quantistica il passo è perversamente breve, perché ogni cosa, la scatola, il gatto, noi stessi, non siamo altro che il riflesso della totalità di tutte le scatole, i gatti e noi stessi presenti nello sterminato e affollato Multiverso.

Lo ha capito Joy (Stephanie Hsu), la figlia di Evelyn e Waymond, o meglio lo hanno capito tutte le Joy possibili fuse in un unico essere, ora alle prese con l’infinito peso filosofico del che fare una volta raggiunta la conoscenza assoluta. Perché è questo che significa essere ovunque – aver visto, vissuto e pesato ogni singola esperienza possibile. E quindi non hai più bisogno di nessun algoritmo, perché non hai più paura.


CONTINUA A LEGGERE - PARTE 3
Michelle Yeoh e Jamie Lee Curtis in una scena del film Everything Everywhere All at Once. Le due sono protagoniste di una bizzarra storia d'amore in uno dei tanti universi immaginati dal film.

Parte 3: All at Once
Nella vecchia casa di Carlos Argentino Daneri, in via Garay a Buenos Aires, se ti sdrai sul pavimento di mattonelle della cantina e fissi il diciannovesimo gradino della scala che ti ha portato lì, vedrai un Aleph – un punto che contiene tutti i punti del mondo, visti da tutti gli angoli. Lo riporta Borges nel racconto L’Aleph, e lo spiega così: “Nella parte inferiore della scala, sulla destra, vidi una piccola sfera cangiante, di quasi intollerabile fulgore. Dapprima credetti ruotasse; poi compresi che quel movimento era un’illusione prodotta dai vertiginosi spettacoli che essa racchiudeva. Il diametro dell’Aleph sarà stato di due o tre centimetri, ma lo spazio cosmico vi era contenuto, senza che la vastità ne soffrisse”.

L’Aleph è tutto quello che vedono Evelyn e Joy, l’Aleph è il cinema dei The Daniels. Fondo del pozzo dove si specchiano tutte le lune possibili e spioncino che nell’incredibilmente piccolo rivela l’infinitamente grande, Everything Everywhere All at Once diventa un simulacro che rimanda solo ad altri simulacri: costruito su rifrazioni e riflessioni di specchi, CCTV, sguardi in macchina, formati cinematografici, questo labirinto di sfolgorii ad ogni angolo ti fa incontrare tutto il cinema che c’è, c’è stato e ci sarà mai, dalle arti marziali all’horror, dall’avventura alla fantascienza, dal dramma familiare alla critica sociale, passando per Wong Kar-wai, la Marvel, Grosso guaio a Chinatown, Bollywood, Alan Yang e tutti i bambini interpretati da Jonathan Ke Quan. Il Multiverso e l’Aleph sono il cinema e il cinema è tutto, ovunque e allo stesso momento.


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Michelle Yeoh e Jamie Lee Curtis in una scena del film Everything Everywhere All at Once. Tutto è bene quel che finisce bene (forse).

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