Anno | 2018 |
Genere | Commedia, |
Produzione | Italia |
Durata | 90 minuti |
Regia di | Fabio Gravina |
Attori | Fabio Gravina, Roberta Garzia, Ivano Marescotti, Paola Riolo, Maurizio Mattioli Stefano Masciarelli, Angelo Di Gennaro, Gianni Ciardo, Emanuela Tittocchia, Beppe Convertini, Alessandra Carrillo, Giovanni Carta, Gino Cogliandro, Miriam Loddo, Laura Monaco. |
Uscita | giovedì 1 marzo 2018 |
Distribuzione | Easy Cinema |
Rating | Consigli per la visione di bambini e ragazzi: |
MYmonetro | 2,56 su 3 recensioni tra critica, pubblico e dizionari. |
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Ultimo aggiornamento venerdì 9 marzo 2018
La difficoltà di due coniugi ultraquarantenni ad avere figli a fronte del loro forte desiderio di diventare genitori. In Italia al Box Office Un figlio a tutti i costi ha incassato 19,6 mila euro .
CONSIGLIATO NÌ
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Orazio Pettine è un commercialista di Roma, quartiere altoborghese Prati, con un bell’ufficio e una segretaria dai nervi fragili. Anna, la moglie di Orazio, è ossessionata dal desiderio di un figlio: la “colpa” della sua infertilità non è sua, asserisce il ginecologo, ma degli spermatozoi stressati del marito. Inizia così un giro di viste specialistiche (con medici che hanno sempre la stessa faccia, quella di Maurizio Mattioli) che non sembra portare ad alcun risultato. Nel tentativo di celebrare un rituale propiziatorio Orazio entra nel mirino di un commissario di polizia che ha un’idea cinematografica del proprio lavoro e l’ossessione per una setta satanica. A completare il quadro mancano un prete pugliese, un gigolò, l’amico medico di Orazio e l’amica intraprendente di Anna, più una moglie abbandonata eccessivamente attratta dal commercialista. Riuscirà la coppia al centro di questa giostra a coronare il sogno della genitorialità?
Fabio Gravina, attore, autore e regista teatrale di consumata abilità (è il direttore artistico del Teatro Prati a Roma) esordisce alla regia cinematografica con un soggetto e una sceneggiatura a sua firma, interpretando anche il ruolo centrale di Orazio, e commette l’errore classico di fare troppe cose da solo, senza riuscire a dare al suo lungometraggio una compattezza narrativa o un senso prettamente cinematografico.
Gravina non sviluppa mai la sua storia ma la frammenta ripetutamente in scenette comiche i cui personaggi (con l’eccezione di Orazio) compaiono e scompaiono come se entrassero e uscissero da quinte teatrali, senza mai dare l’illusione cinematografica di esistere anche fuori dai singoli sketch a loro assegnati. Anche le musiche di accompagnamento, firmate nientemeno che da Gigi D’Alessio, commentano le sequenze in modo random, spesso contrastando a livello acustico ciò che sta succedendo all’interno della scena, e non riuscendo a conferire un tono univoco alla narrazione.
Il montaggio non sa bene quando e dove interrompere la scena, e insiste nelle inquadrature di raccordo diluendo la (già scarsa) tensione narrativa. Numerosi gli errori di continuità, numerose le ripetizioni: ad esempio Orazio si esprime per domande, chiedendo continuamente e a chiunque “ma chi?”, “ma cosa?”, “ma dove?” e “ma perché?”. Il suo straniamento è giusto per il personaggio ma sbagliato per lo spettatore che ha di solito capito le cose molto prima di lui.
E dire che una commedia ambientata fra professionisti altoborghesi avrebbe potuto fornire mille spunti comici, e anche un pizzico di satira sociale. Invece Un figlio a tutti i costi opta per la mancanza assoluta di realismo, senza farci sentire la verità e il dolore dietro alla ricerca di un figlio da parte di due persone che hanno tutto, meno quello che desiderano davvero.
La scena finale, ambientata al parco giochi, è l’unica a darci l’idea di quello che questo film avrebbe potuto essere e a rappresentare una vera intuizione cinematografica. Il rammarico, oltre che per Gravina che anche in questo contesto non perde la sua grande abilità di interprete, è per il cast di prim’ordine: da Roberta Garzia, costretta a recitare la moglie arpia senza sfumature empatiche, a Ivano Marescotti, poliziotto da barzelletta; da Stefano Masciarelli medico dell’anima a Gianni Ciardo prete inconcludente. Tutte facce (e talenti) che siamo felici di rivedere sul grande schermo, ma cui vorremmo fossero assegnati ruoli più credibili e più umanamente sfaccettati.
La situazione in cui vengono a trovarsi Orazio (Fabio Gravina) e Anna (Roberta Garzia) è di stretta attualità: la coppia può cominciare a costruire una famiglia soltanto in un'età in cui concepire un figlio comincia a risultare problematico. Per inseguire questo sogno, i protagonisti si troveranno, come accade nella vita di tutti i giorni, a seguire strade diverse, a volte anche poco ortodosse, sino a ricorrere a metodi "alternativi" collegati a credenze popolari e superstizioni. Moglie e marito si imbatteranno in personaggi molto particolari, dal commissario implacabile (Ivano Marescotti) alla stalker (Paola Riolo) paziente dell'amico psicanalista (Stefano Masciarelli); c'è anche la partecipazione straordinaria di Maurizio Mattioli nel ruolo di medico "terapeuta" e l'"inseminatore professionista" Beppe Convertini. Quando Anna decide di rivolgersi ad un sedicente professionista del settore, nonostante il secco rifiuto di Orazio, il destino riserva ad entrambi la sorpresa per un gustoso finale.
Un film scritto male e recitato peggio nonostante i nomi. L’ora e mezza più lunga della mia vita che il Tristano e Isotta di Wagner sembra più scorrevole! Tutti comici di altissimo livello costretti a recitare battute che avranno fatto ridere solo l’autore. Tra l’altro la scena del cimitero quasi con le stesse battute del film con Totò e Ignazio il Torchio (un omaggio? Mah.
W Orazio (Fabio Gravina) e Anna (Roberta Garzia) vogliono avere un figlio. Il problema è che sono ultraquarantenni e il desiderio deve fare i conti con le evidenti difficoltà nel realizzarlo. Tanto da ricercare delle «alternative» poco ortodosse che finiranno per mettere nei guai il recalcitrante marito, tra commissari che lo braccano e «inseminatori» professionisti.