La storia è notissima. 11 settembre 2001, New York, un gruppo di terroristi prende il controllo di due aerei di linea scagliandoli contro le torri del World Trade Center. Nel successivo crollo moriranno circa 3000 innocenti, aprendo nella psicologia collettiva statunitense una ferita non ancora rimarginata.
“Sully” non racconta le Torri Gemelle, ma ne accenna negli incubi del protagonista e in un'unica battuta, a volere evocare la tragedia e nasconderla insieme. La storia è egualmente vera. Gennaio 2009, New York, un aereo civile, appena decollato con 155 persone a bordo, impatta uno stormo di uccelli subendo la distruzione dei due motori. Il pilota, invece di seguire la procedura tentando l’atterraggio d’emergenza nell’aeroporto più vicino, seguirà l’istinto rischiando un disperato ammaraggio nell’Hudson. Nonostante gl’infausti precedenti, l’impossibile manovra riuscirà e tutti saranno tratti in salvo.
Per una curiosa coincidenza l’aereo della United Airlines plana sul fiume proprio davanti Ground Zero. La cronaca serve a Clint Eastwood gli elementi perfetti per raccontare di nuovo la Torri Gemelle con un finale diverso. C’è New York, c’è un aereo, c’è un nemico cieco (uno stormo nero di uccelli non è male come sinistra metafora del terrorismo) e naturalmente c’è un eroe, stavolta vincente, al posto dei pompieri travolti dal crollo delle torri. La differenza la fa uno solo: il comandante Chesley Sullenberger, affettuosamente chiamato Sully, ex pilota della U.S. Navy.
La riscrittura di una tragedia precedente in chiave salvifica poteva finire qui. Eastwood è sempre all’altezza, con una regia che non cede alla spettacolarizzazione prediligendo la dimensione intima del soggetto. Ottima sceneggiatura con un buon uso dei salti temporali che vivacizza il racconto senza togliere chiarezza. Bravo Tom Hanks nella parte dell’eroe tranquillo, equilibrato nei suoi comportamenti ma interiormente tormentato e dubitativo. Da segnalare anche Aaron Eckhart, il copilota che nei momenti critici risolve la tensione con le sue battute. Moderati accenti patriottici, con i soccorritori a rappresentare su battelli e elicotteri l’anima migliore di New York.
La vera storia di “Sully” comincia dopo. Mentre i media celebrano l’eroe, i tassisti gli stringono la mano e i baristi s’inventano cocktail col suo nome, ai piani alti comincia la caccia alla responsabilità. Sullenberger dovrà affrontare un nemico più subdolo e disonesto del caso. L’Agenzia di Sicurezza dei Trasporti gli rimprovera il fattore umano: aver corso gli enormi rischi dell’ammaraggio, mentre tutte le simulazioni computerizzate dimostrano che aveva velocità e quota sufficienti per raggiungere almeno due aeroporti.
Sullo sfondo ci sono gl’interessi assicurativi e le battaglie giudiziarie che verranno, ma la difesa che il comandante è costretto a fare del suo successo investe questioni più fondamentali: le ragioni formali contro quelle sostanziali e morali, la perversione legalistica che minaccia ogni mestiere, la marginalizzazione della libertà umana a favore dell’approccio procedurale tipico delle macchine, la svalutazione di esperienza, intuizione e creatività verso la definitiva sostituzione delle persone con i sistemi automatizzati.
Al di là della retorica, il fattore umano è sempre più un peso, non solo economico, ma anche ai fini della controllabilità. Chiunque sia esposto ormai ne tiene conto, non solo in cabina di pilotaggio. Un consulente finanziario si preoccupa prima di tutto di avere le carte in ordine; magari evitando investimenti promettenti, ma contestabili, a favore dei portafogli standard preconfezionati dalla sua banca. Un medico pratica la cosiddetta medicina difensiva, prescrivendo analisi inutili, e quindi implicitamente dannose, pur di potersi difendere nel caso qualcosa vada storto. In ogni campo gli esempi non mancano.
Come spesso nei film di Eastwood il tema è l’eroismo ordinario. I suoi personaggi prediletti sono uomini isolati e anacronistici nei loro valori non più condivisi.
L’eroismo di Chesley Sullenberger ha delle sfumature particolari. Essendo la sua salvezza inscindibile da quella degli altri passeggeri, con l’abilità di pilota in fondo ha solo salvato se stesso. La sua eccezionalità sta nell’aver salvato per tutti il fattore umano. Ha trovato una soluzione fuori dal manuale e l’ha coraggiosamente difesa contro l’autorità superiore della Commissione e il potere ancora più schiacciante della presunta scienza.
Riuscirà a dimostrare che le simulazioni algoritmiche e anche quelle con piloti umani erano aggiustate su condizioni di contorno irrealistiche.Un volta corrette, risulterà oltre ogni dubbio che ha fatto l’unica scelta vincente, mentre le procedure standard avrebbero fatto precipitare l’aereo sull’abitato.
Il comandanteSullenberger ne uscirà testa alta. Ma lui è un eroe. La maggior parte di noi invece si adatta al manuale, magari provando a raggiungere l’aeroporto più vicino fino allo schianto.
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