Titolo originale | Looking for Kadija |
Anno | 2014 |
Genere | Documentario |
Produzione | Italia |
Durata | 60 minuti |
Regia di | Francesco G. Raganato |
MYmonetro | 3,00 su 1 recensioni tra critica, pubblico e dizionari. |
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Ultimo aggiornamento giovedì 6 aprile 2017
Looking for Kadija è il resoconto di un viaggio straordinario in uno dei paesi più affascinanti e sconosciuti dell'Africa. Il film è stato premiato a Roma Film Festival, Il film è stato premiato a Cinema Africano,
CONSIGLIATO SÌ
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Una troupe italiana parte a fine 2013 per L'Eritrea: ha due settimane per la cercare le location e la protagonista di un film ispirato alla vera storia d'amore, durante la Seconda Guerra Mondiale, tra Kadija, 16enne figlia del capo di un villaggio locale, e Amedeo Guillet, aristocratico piemontese, ufficiale dell'Esercito Italiano alla guida di uno speciale battaglione di guerrieri eritrei a cavallo e poi unitosi alla resistenza nazionale contro l'esercito britannico.
Il regista Andrea Patierno, lo sceneggiatore Alessandro Caruso e il regista Francesco Raganato, con l'aiuto di Francesco Sardello, organizzatore sul posto, pianificano i provini per trovare l'attrice principale, esplorano i possibili set, chiedono alle maestranze di costruire un carrello per il dolly. In questo lavoro si spostano tra le città di Asmara, Massaua e i villaggi di Agada, Cheren, Cheru, ricostruendo questa vicenda poco nota e molto avventurosa (raccontata da Vittorio Dan Segre in "La guerra privata del tenente Guillet. La resistenza italiana in Eritrea durante la seconda guerra mondiale", Corbaccio 2008). La chiamata ai casting presso i vecchi cinema riscuote successo e le candidate che si presentano fanno emergere, in modi diversi, la storia recente della prima colonia italiana in Africa.
Sono giovani donne che raccontano del servizio militare obbligatorio, o civile, di congiunti emigrati o in cerca di un posto su un barcone verso le coste italiane, di amori finiti, di famiglie divise dall'emigrazione, in Sudan o negli Stati Uniti. Il genere del "backstage di produzione" abbraccia così un mondo più ampio, facendo largo all'immagine di uno stato fortemente militarizzato e a una penosa assenza di democrazia, forse poco sotto osservazione dei media, come se la caduta di Menghistu avesse significato libertà reale. Gli scorci delle città, dove ancora molti esercizi e sale cinematografiche imponenti portano la doppia insegna Tigrit e italiana, rievocano un passato coloniale defunto, che ha lasciato molte tracce architettoniche ma poca solidarietà con quel Paese in cui, come dice uno degli intervistati, nuovo proprietario dell'ex consolato italiano, «gli italiani qui non sono venuti per colonizzare, ma per restare».
Lo sguardo sulle prospettive cittadine e su paesaggi naturali sfuocati ai lati non è né nostalgico né ricerca l'esotico, ma è l'occhio attento e oggettivo di chi scopre un set pieno di tragica bellezza e ne immagina le potenzialità narrative, tra la rievocazione di un amore storico e le implicazioni pratiche di scene d'azione bellica con guerrieri su cammelli. In un processo contrario al normale ordine di fruizione, un bel "dietro le quinte" che mette molta voglia di vedere presto realizzato un film così ambizioso e peculiare.