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Ultimo aggiornamento lunedì 31 marzo 2014
La storia di tre amici d'infanzia e di una giovane donna fatti a pezzi per via della loro lotta per la libertà. Il film ha ottenuto 1 candidatura a Premi Oscar,
CONSIGLIATO SÌ
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Omar è un giovane fornaio palestinese abituato a scavalcare il muro della separazione, schivando proiettili e sorveglianti, per far visita alla ragazza di cui è innamorato, la liceale Nadia. Con il fratello di Nadia, Tarek, e un terzo compagno, Amjad, Omar condivide un'amicizia decennale e un'attività clandestina di addestramento per la causa della liberazione della Palestina. Caduto prigioniero, dopo aver partecipato all'uccisione di un soldato, Omar resiste alla tortura e viene invitato a scegliere tra il carcere a vita o la collaborazione con la polizia israeliana.
Il regista di Paradise Now torna in Palestina e gira tra Nablus, Nazareth e Bisan con una troupe esclusivamente di locali, molti dei quali alla prima esperienza. Eppure il risultato è solido, il ritmo incalzante, le performances dei quattro protagonisti (tutti esordienti) non meno che sorprendenti. Il risultato più alto, in tutti i casi, è la mescolanza riuscita di veridicità delle immagini e delle storie raccontate con lo spettacolo del ritmo e della tensione che la regia sa assicurare.
Hany Abu-Assad non giudica, non esalta né demonizza: nel racconto di un amore confidente e tragico trova tutti gli ingredienti che gli bastano per assicurarsi un fondo sicuro ed emotivo sul quale innestare elementi di genere (spie, tradimenti, doppiogiochismo), sempre e comunque aderenti al contesto e umanamente credibili. La sensazione di trappola autodistruttiva in cui si ritrova in breve il protagonista è chiaramente una metafora della situazione palestinese sotto l'occupazione, ma l'intelligenza del regista sta nel non presentarla come una premessa, bensì di seguire passo passo l'avvilupparsi su se stesso del destino di Omar e della sua Giulietta, fino alla scena emblematica in cui scalare il muro non è più un gioco da "ragazzi", perché certe energie sono state spente per sempre.
Forse Omar non possiede il miglior finale possibile, ma è nell'immagine iniziale della barriera divisoria che sta il senso di quel che racconta per tutti i minuti a venire: i palestinesi sono separati tra loro (amici, amanti, famigliari) da un atto di forza a cui non hanno i mezzi per opporsi. Per questo, pur mantenendo la sospensione del giudizio e mostrando luci e ombre della gioventù che ritrae, la posizione di Abu-Assad è meno imperscrutabile rispetto a quanto accadeva in Paradise Now e il film ne guadagna, apparendo meno mirato a dividere e più interessato a raccontare.
Nel film “Omar” il regista approfondisce il tema della sua più celebre pellicola “Paradise now” - 2005. Il soggetto della frustrazione dei giovani palestinesi nati e cresciuti sotto occupazione è sviluppato ora in una chiave più sfumata e complessa, che evidenzia le conseguenze irreversibili del contesto degradato dal quale a nessuno è [...] Vai alla recensione »
Giovane palestinese, Omar (Adam Bakri) ha un amore segreto, due amici e il progetto di attaccare i soldati israeliani: missione compiuta, ma viene catturato e costretto a collaborare con la polizia militare. Un incubo a occhi aperti, in cui sospetto e paranoia hanno la meglio su affetti e identità. Il palestinese Hany Abu Assad mette a fuoco un vulnus senza cura: il collaborazionismo.