Anno | 2011 |
Genere | Drammatico |
Produzione | Belgio |
Durata | 80 minuti |
Regia di | Philippe Faucon |
Attori | Yassine Azzouz, Kamel Laadaili, Rachid Debbouze . |
MYmonetro | 2,82 su 1 recensioni tra critica, pubblico e dizionari. |
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Ultimo aggiornamento mercoledì 30 marzo 2016
I guai di un gruppo di giovani di periferia, lasciati allo sbando e guidati da un boss senza scrupoli.
CONSIGLIATO SÌ
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Alì è un ragazzo musulmano molto poco praticante che viene da una famiglia apparentemente integrata nella società francese. I suoi ripetuti tentativi di trovare lavoro sembrano fallire metodicamente, nonostante la mole di curriculum inviati e l'aiuto di una scuola che dovrebbe aiutare anche nella ricerca di una professione. È educato e non vuole fare lavori manuali. La sfiducia nel sistema unita alla convinzione che tutto è dovuto al suo nome e alle sue origini lentamente lo rendono preda degli elementi più estremi della comunità islamica.
La parte più interessante del film di Philip Faucon, presentato fuori concorso alla Mostra di Venezia, sembra essere il presupposto teorico esplicitato nel titolo, ovvero il fatto che a seguito dell'integrazione razziale possa esistere un processo uguale e contrario (la de-integrazione che per lui fa rima con disintegrazione) che contrapponga etnie o religioni differenti all'interno di una medesima comunità.
I riferimenti come si conviene sono chiari fin da subito: le comunità nordafricane musulmane nella Francia delle seconde generazioni, i figli di quegli immigrati che faticavano a trovare un lavoro e che alla fine fanno solo quel che i francesi non vogliono fare.
Avendo cura di mostrare per bene che l'Islam degli attentati e della ricerca del conflitto non è l'unico ma ne esiste un altro, più radicato e più praticato, che è quello della tolleranza e condivisione ("Islam è che se io ho questa patata non la mangio da sola ma la divido con te che non ne hai" dice la madre del protagonista quando lo vede sulla brutta strada) Philippe Faucon tratta l'Islam della jihad come qualsiasi altra ideologia estrema, modellando lo svolgimento del film su quello dei film a tema neo-nazista.
La personalità carismatica tentatrice, il contesto infelice che spinge i più deboli verso la ricerca di una soluzione forte, la predica, il cambiamento e infine l'atto clamoroso. Quel che fa la differenza dovrebbe essere il modo in cui l'autore decide di guardare i protagonisti della sua storia.
Lo stile, sempre distaccato e svincolato da qualsiasi adesione registica anche alle vicende più emotive dei personaggi, cristallizza il giudizio inappellabile (e per questo fastidioso) del regista. Ci sono dei buoni, ci sono dei cattivi e ci sono facili prede dei cattivi, nessuna possibilità di sfumatura, nessuna reale comprensione delle motivazioni o del contesto. Di tutte le parole spese per illustrare la difficile ricerca di un lavoro da parte del protagonista nessuna convince veramente e la sua conversione appare repentina e pretestuosa. Faucon non vuole capire ma vuole insegnare.