Nanni Moretti non si distingue certo per una regia particolarmente artificiosa, bensì per un apparato di montaggio ridotto all’osso, per favorire spiccatamente il contenuto del film. In habemus papam questo particolare è, se possibile, ancor più accentuato, affinché il messaggio che permea ogni singolo fotogramma non venga eluso dalla tecnica scarna che lo sostiene.
Moretti è noto per pellicole fuori dall’ordinario, in cui è visibile il suo marchio di elevata e atipica qualità. In questo film è maggiormente espressa la componente atipica, dal punto di vista dello spettatore, che fino all’ultimo secondo non ha capito se bisogna ridere o piangere della vicenda. E’ una tragicommedia ben architettata per ingannare la psicologia di chi osserva e cerca di concedere alla mente il respiro di una ben definita logica nell’architettura del film. Invece viene sempre stupito, è costretto ad essere vigile, perché se si è potuto distendere nella sequenza precedente, verrà sicuramente abbrancato dalla tragedia dell’animo umano in quella successiva. Una partita a scacchi che si sarebbe potuta evitare per mettere in risalto la componente drammatica che, poiché le viene privato dello spazio nell’ambito dell’intera storia, viene asservita quasi totalmente alla forza espressiva e all’intensa interpretazione di Michel Piccoli.
Eccellente lavoro nella delineazione meticolosa del neoeletto Papa che, in preda ad una crisi di inadeguatezza, esplode in una serie di timori che lo conducono ad un blocco psicologico e ad un rifiuto totale ed irreversibile nell’accettazione del proprio compito. L’attore francese, come ha avuto modo di commentare lo stesso Moretti, non era stato apprezzato appieno durante le riprese, per via della singolarità delle scene che impedivano di giudicare l’interpretazione in toto, che invece è scaturita in maniera esplosiva nella visione finale del film e che ha dato all’intera pellicola quel tocco di perizia e qualità che, in fin dei conti, è il vero propulsore di questo prodotto.
Lo stesso Moretti è attore; interpreta lo psicologo a cui l’intero prelato in Vaticano si affida per districare la matassa psichica del futuro Papa. Il suo ruolo è asservito alla frazione comica, quella in cui prevale quel sentimento del contrario che Pirandello fu certamente il primo a rappresentare. Si ride, molto semplicemente, di dialoghi e situazioni in cui, ad una riflessione più ampia e profonda, emerge invece la componente tragica. Soltanto in una scena, a parere mio, davvero si ha la sensazione, con la mente stanca e trasportata passivamente dagli eventi, di sorridere davanti a qualcosa che nasconde una profonda carica drammatica, ed è quella in cui appare Moretti per la prima volta.
La vicenda dello psicologo corre parallela alle fobie claustrofobiche del Papa, perso in una Roma che lo cerca accanitamente, fuggito da un Vaticano che lo soffoca con bramosia per ricondurlo al dovere, circondato da gente che lo brama come pontefice perché incarni la loro guida ma che rifiuta i suoi connotati di uomo, le sue debolezze, i suoi sogni e le sue attitudini puramente umane. L’attore ci trasmette tutta la delicatezza e la sensibilità del suo personaggio, i suoi desideri passati e il suo bisogno di affetto e attenzioni che siano rivolte all’uomo e non al servo di Dio, a cui si sarebbe potuto dare più ampio respiro.
Gli intermezzi dello psicologo smorzano la tragedia, il che rende questo film fruibile da un pubblico maggiore e da una mente più stanca. Potrebbe essere considerato come elemento positivo il voler frammentare la serietà per voler alleggerire una tematica che ha, invece, lineamenti molto più incisivi sul piano psicologico e umano.
Oppure potrebbe essere considerata come timidezza nei riguardi del tema, una mossa di mancato coraggio nell’esaminare in tutto il suo spessore qualcosa che dovrebbe essere elevato ad una riflessione più profonda e che viene così relegato a mere considerazioni con la superficialità allettata dalla risata, che sgorga spontanea nel seguire il Moretti attore e che impigrisce e rilassa la mente. Non si assiste più al pregevole sentimento del contrario che, intrinsecamente, conduce ad una realizzazione della vera entità delle cose in fieri, ma si osservano invece scene palesemente superflue, per ingrassare la pellicola, finalizzate al voler descrivere il lato umano dei cardinali, le loro debolezze e quelle che sono le loro vere pulsioni tenute sotto il giogo dall’austerità della fede. E’ in tutto e per tutto una trama parallela, godibile e simpatica certamente, ma assolutamente inutile. Moretti una volta si interrogava sul motivo per cui si ritiene che al cinema bisogna necessariamente ridere, ed in effetti le sue pellicole si propongono come una svolta, un taglio d’autore scevro di ogni pressione commerciale o temporale. Moretti può davvero permettersi di fare un film quando lo ritiene necessario, perché sente di avere davvero qualcosa da mostrare e insegnare al pubblico e farlo uscire nelle sale quando lo ritiene più giusto, senza essere influenzato da alcun fattore esterno. Ed in effetti il risultato della sua predilezione per la qualità e la tecnica che rendono il suo cinema assimilabile all’arte per eccellenza è l’acquisizione di numerosi premi ai Festival italiani ed europei. E allora, in questo caso, era necessario ridere?
Da vedere assolutamente per poter esprimere la propria idea a riguardo. O, qualora i volti ingenui e bonari dei cardinali, in preda a dubbi più imperanti che negli agnostici, non ve lo consentano, lasciatevi trasportare dal fascino magnetico di Piccoli che qui ci dà un vera e propria lezione di interpretazione attoriale. Buona visione!
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