Habemus Papam

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Un film di Nanni Moretti. Con Michel Piccoli, Jerzy Stuhr, Renato Scarpa, Franco Graziosi, Camillo Milli.
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Commedia, durata 104 min. - Italia, Francia 2011. - 01 Distribution uscita venerdì 15 aprile 2011. MYMONETRO Habemus Papam * * * 1/2 - valutazione media: 3,73 su -1 recensioni di critica, pubblico e dizionari.
   
   
   

pietas per chi ha dimenticato se stsso Valutazione 4 stelle su cinque

di luca.terrinoni


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venerdì 22 aprile 2011

Accade che il cardinale Melville (Michel Piccoli), a sorpresa eletto papa, non accetta la nomina. Non se la sente, non vuole, soffre per il senso di colpa, ma non può.Il conclave resta riunito, aspetta che il papa accetti o rinunci definitivamente alla carica. Ovviamente, nulla viene spiegato al pubblico nè viene detto il nome del pontefice; ciò permetterebbe di  nominarne un altro, occultando l'accaduto.Un eminente psicanalista (Nanni Moretti) viene chiamato affinché aiuti il papa a risolversi. Ma l'incontro è (apparentemente) inutile, le limitazioni imposte al terapeuta ne imbrigliano le capacità. Preoccupato dal fallimento, il portavoce del conclave (Jerzy Stuhr) fa incontrare il papa con un'altra terapeuta (Margherita Buy) in un contesto più appropriato;  si tratta della ex moglie dello psicanalista, bloccato in Vaticano per ragioni di segretezza, dallo stesso suggerita ancorché convinta che ogni problema della psiche possa spiegarsi con un "deficit di accudimento".Al termine del colloquio e ricevuta la prevista diagnosi, Melville riesce a sfuggire alla scorta, e si rifugia nel cuore della città.Mentre lo psicanalista gestisce in modi a dir poco inconsueti l'attesa dei cardinali, ignari dell'accaduto (anzi, indotti a credere che il papa stia riflettendo nei suoi appartamenti); mentre il portavoce si adopera per rintracciare l'eletto e convincerlo ad accettare il mandato; Melville torna casualmente a contatto col il suo amore giovanile, il teatro. Alla fine, mentre Melville assiste felice al "Gabbiano" dell'amatissimo Cechov, i cardinali invadono il teatro, lo trovano e lo applaudono, assieme a tutti i presenti, rendendo così pubblica la sua elezione. Credono, così, di essere riusciti ad imporgli la nomina. Lo credono, e lo crediamo anche noi spettatori, quando vediamo Melville, perfettamente addobato da papa, avvicinarsi mestamente al balcone centrale del Vaticano per offrirsi all'enorme folla plaudente.

Sin qui la sinossi. Ora vi propongo cinque livelli di lettura del film.

Il primo livello di lettura è antropologico. Nessuno sconto viene fatto al conclave e ai cardinali: sono esseri umani, fanno parte di una elettissima schiera, ma hanno i loro problemi, come tutti, e soprattutto sono attanagliati da una feroce paura di sbagliare. Il regista rappresenta il conclave con la medesima mancanza di riguardo con cui lo psicanalista comunica con le loro eminenze. Predicate umiltà, eccovi umili; professate umanità, eccovi umani. Ma qui inizia e finisce l’affronto. I cardinali, infatti, sono trattati dal regista e dallo psicanalista con evidente simpatia, ben oltre la comprensione. Ridotti (o elevati?) ad esseri umani, meritano ogni rispetto; le loro speranze, i loro timori, le ambizioni inconfessate, il bisogno di sicurezza li assoggettano al più di una ironia, ma sono sostanzialmente integri, pronti al gioco, disposti alla sincerità appena si offra loro l’occasione. Come bambini, e bambini – lo sappiamo – abbiamo tutti dato al mondo il meglio di noi stessi. Ma, come bambini, sempre guidati da un adulto, il portavoce, (personaggio perfettamente disegnato, anche grazie alla splendida prova di  Stuhr), che si sobabrca il “lavoro sporco” per garantire l’eternità dell’istituzione.  Non c’è pesantezza, l’umanità dei toni ci costringe a sospendere ogni giudizio. Non c’è sarcasmo, c’è ironia, e non è la stessa cosa. E soprattutto speranza, speranza di potercela fare, di evitare il disastro, di potersi affidare ancora a Dio o alla vita: perché, come ci viene ricordato, “cambia todo”,  possiamo essere noi stessi.
La canzone (nella storica interpretazione di Mercedes Sosa) cala come una carezza dall’appartamento del papa sui cardinali ansiosi, coinvolgendoli irresistibilmente: credono che sia il “loro” papa a mandargliela, e si lasciano andare, rapiti, ad una momentanea felicità. E possiamo capirli: sono abituati a tener lontana da sé, la felicità del momento, sono stati allevati nell’idea che il suo prezzo è la dannazione (“quando dirò all’attimo: fermati, sei così bello!”), ora scoprono che anche la gioia è “una bella scintilla divina”. 
 
Il secondo livello di lettura,  psicologico, riguarda Melville. Non l’abbiamo visto, durante le votazioni, mormorare lo stucchevole “non io, Signore”. Ma, appena resosi conto della forma che stava assumendo il proprio destino, lo sentiamo ruggire il suo “non possumus”. “Troppo umano”, il cardinal Melville non sa spiegare a se stesso cosa gli impedisca di immedesimarsi nell’altissima carica alla quale è chiamato. Non ha perso la fede, crede ancora che questa chiamata, in realtà frutto dello sfiancante  stallo fra i favoriti, sia opera di Dio. Ma non la vuole, e non sa, non intende forzarsi. I brevi incontri con lo psicanalista e la ex moglie prima lo orientano ad inquadrare il proprio problema, poi a risolverlo, salvando se stesso. Uomo “senza qualità” (lo vediamo sgradevolmente brusco con chi vuole aiutarlo, poco aduso a conoscersi ed accettarsi, spaventato e insofferente), finisce tuttavia per darci una lezione di grande umanità, rifiutando – vecchio e malfermo – un destino, per quanto onorevole, che altri gli hanno assegnato. Ha trascorso la vita a rimpiangere il teatro, abbandonato per mancanza di coraggio; ma è, e si sente, “attore” (così dice alla terapeuta, ignasra dell’identità del misterioso paziente) e non vuole più lasciare quel gran teatro che è la vita. Di fronte alla sua silenziosa, ma ferrea, determinazione,  i cardinali soffrono sinceramente (si copre gli occhi, il povero cardinal Cincotta, il bravissimo Roberto Nobile, la cui sorridente mansuetudine farebbe onore a più di un conclave), tranne forse i più intelligenti, i meno puri di spirito : come il cardinal Gregori (magnifico, imperscrutabile Renato Scarpa!), che certo assapora una nuova chance di successo, ma non può non avvertire la grandezza del rivale e, con essa, il dubbio tremendo che sia stato davvero Dio a sceglierlo. 
La figura di Melville è straordinariamente nobilitata dalla performance di Piccoli, semplicemente perfetto: realmente straniato dall’intoppo linguistico, lo sguardo smarrito, angosciato dal dubbio di saper amare il prossimo se non ha accettato se stesso, ci offre il ritratto di un uomo, piuttosto che “inadeguato” al compito, pronto ad inventare un “nuovo” compito: “como todo cambia, que yo cambie no es extraño”. Semplicemente meraviglioso.
 
Il terzo livello è culturale, relativo alla psicanalisi. Un terreno già frequentato da Moretti, con il  suo personaggio de “La stanza del figlio” (2001)  oppure con gli irresistibili esperimenti di autocoscienza in “Ecce bombo” (1978). Magari i terapeuti fossero come quello interpretato da Moretti! Anche la figura dello psicanalista (godibilissima) è profondamente umana. Certo, entrando in un conclave, un tono deve pur darselo, ma poi rivela – dietro i modi da domatore -  i propri complessi (il bisogno di ordinare la realtà, come quando difende coi denti lo schema del torneo di volley), le proprie debolezze (ci tiene a fare scopa e per distrarre gli eminenti avversari arriva a farsi compatire per il suo matrimonio fallito). Il culmine di questo percorso di “autoanalisi” arriva quando, dopo aver inutilmente glissato, è costretto dall’insistenza del cardinale australiano a dirgli che nessun bookmaker aveva puntato su di lui: lo fa con l’apparente sadismo di chi – spesso un genitore -  deve dare un dolore e non sa farlo, e allora sconfina nella umiliazione di chi ha di fronte, umiliando nel contempo se stesso.
Infine, deluso dall’interruzione del torneo, lo psicanalista apprende col pallone sotto il braccio che il papa è fuggito ormai da giorni : il gioco è finito, la messa è finita .
La figura della ex moglie è meno sfumata: l’essere fissata con la sua “causa unica” non le fa professionalmente onore, e tantomeno negare di avere un nuovo compagno ai due figli che ormai l’hanno scoperto e accettato con tanta più maturità. Ma, sia come sia, è lei a suggerire a Melville la chaive del suo problema: non è forse un “deficit di accudimento” verso se stesso, in occasione di un iniziale insuccesso, che lo ha portato a tradire la sua vera vocazione in favore della ben più rassicurante carriera ecclesiastica?
 
Il quarto livello è storico e coinvolge la Chiesa. Molto garbatamente, Melville – prima in privato, poi ex cathedra - dice come la sogna: più attenta, meno chiusa, pronta a cambiare e a favorire il benessere spirituale. Chi lo ascolta sorride, pensa che il nuovo papa stia dichiarando il proprio programma, ma egli non crede di essere l’uomo adatto, con o senza l’aiuto di Dio.  Il che richiama ovviamente Celestino V o il più recente papa Luciani, che fece appena in tempo a definire Dio "più madre che padre".
Il film parte con le immagini (reali) delle esequie di Giovanni Paolo II. Non so in quale ordine di priorità si collochi, per Moretti, la riflessione sullo stato della Chiesa (sono più propenso a pensare che la Chiesa sia qui, piuttosto, un interessante e paradossale spaccato dell’umanità). In ogni caso, come sappiamo, non è stato esattamente un papa “a la Melville” a succedere a Wojtyla. Lasciatemelo dire: lo immaginate Benedetto XVI che ammira il lungotevere da un bus in corsa, chiede ad un barista l’uso del telefono e infine gode nel ripetere le battute di Cechov? E con che profondo turbamento avrà accolto la propria elezione, dopo aver supplicato “non sono degno”? Altro che Celestino, qui abbiamo piuttosto un nuovo Bonifacio!
Ma la Chiesa non esce male dal film: non possiamo decontestualizzare, si tratta di un’istituzione con degli scopi e delle regole, come tutte le altre; che le regole passino al di sopra degli impulsi soggettivi, è nella natura delle regole; e che gli scopi siano proiettati sull’eternità,  è nel suo essere Chiesa.
Si lascia il film con un sentimento di serena simpatia per i cardinali, e perfino per il portavoce, che certo non ha nella sincerità il suo punto forte, ma anche lui è onestamente impegnato.
In fondo, medici poliziotti o avvocati sono normalmente sinceri?
 
Nel complesso il film è coinvolgente : in sala si ride molto, soprattutto grazie al Moretti attore, lieve e divertito; ma ci si commuove in più occasioni e – miracolo! – più d’uno mi ha detto di aver lacrimato per un misto di risate e commozione. Fra le sequenze più emozionanti, quella – già richiamata - conla canzone “cambia todo”,  quella in cui i cardinali si impegnano come ragazzi nella pallavolo, e quella finale, della quale preferisco non dire. Dà i brividi la sequenza del teatro: inquietanti creature, vestite di nero e di rosso, sembrano più diavoli a caccia di anime che cardinali in soccorso del confratello perduto; sentiamo la sorda violenza sorda di un destino che sempore incombe e prevale, in questa scena, la cui oggettiva inverosimiglianza può disturbare solo animi aridamente verosimili.
Il film, come si usa dire, riesce a toccare corde assai profonde. Ma è anche compito nostro, cardinali abitudinari e conformati, saperne godere con spirito di avventura. Ho sentito che Moretti ama definirlo una “commedia dolorosa”; apparente e raffinata antinomia: Da Ponte, come noto, definì  il libretto del Don Giovanni, un “dramma giocoso”.
 
Dal punto di vista tecnico, la bellezza è conquistata con la cura ossessiva di ogni elemento. La fisionomia dei personaggi, affidati ad attori di non grande richiamo ma efficacissimi; la ricostruzione degli ambienti in cui la troupe non è stata ammessa e la collocazione di altre sequenze in luoghi perfetti; la misura delle scene di massa, una novità assoluta per Moretti.
Quanto al linguaggio, si apprezzano i movimenti di macchina, sempre funzionali e coinvolgenti, a partire dal carrello a ritroso sul papa rifugiatosi nella Cappella Sistina; le soggettive che riproducono lo sguardo del papa immerso nella vita della città; il delicato movimento laterale che ci mostra i tre finestroni dai quali i cardinali salutano affettuosamente l’illustre confratello, prendendo per sua l’ombra che si muove nelle stanze prospicienti.
Con molta serietà Moretti riprende i primi piani, ricchi dei segni del tempo.
Silvano Agosti raccomanda da sempre di ricordare che un buon primo piano richiede un fondo scuro e il campo occupato per almeno due terzi dal volto; esattamente quelli del film, soprattutto nella sequenza dell’annuncio finale. Non è difficile farli, basta mettersi al servizio della bellezza! Non a caso Hitchcock diceva che bastano due giorni per imparare la tecnica del cinema. Il resto sono le idee.
 
Scrive Giulia Canova, in un forum che a due giorni dalla “prima” già accoglie centinaia di pareri sul film, “Moretti mi ha fatto quasi tenerezza, l’ho visto più nudo del solito, con meno certezze da ‘bellissimo quarantenne’. Insomma ho amato questo film sin dai primi minuti”. La penso come lei, e sono grato a Nanni Moretti, perché è rimasto se stesso, perché ha realizzato questo film meraviglioso, perché ci fa pensare ancora che il cinema  “è portatore di movimento, è audacia, è un atleta”. Lo ringrazio perché non si è allontanato da suo destino, nonostante una folla lo reclamasse  affettuosamente alla guida del nostro riscatto. Si impegna da sempre a dare il suo meglio, che non è poco, ma talvolta gli tocca restare, con un pallone sotto il braccio, ad osservare gli altri che si rassegnano.
E questo era il quinto livello di lettura, che voi avevate dimenticato, ma io no.
 

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