Spaventato e pieno di dubbi ecco il Papa di Nanni Moretti
di Natalia Aspesi La Repubblica
Addobbato con tutti i broccati e i ricami e gli ori necessari a consacrare la solennità pontificale, il vecchio uomo smarrito non ce la fa ad affacciarsi alla loggia delle benedizioni per presentarsi al mondo: arretra, grida tutta la sua umana disperazione, corre attraverso le antiche e mute stanze vaticane, con la strenua vitalità che cancella gli anni, nel sogno di sfuggire alla prigione di un destino tanto glorioso da essere inaccettabile. L´immensa folla che ha atteso per giorni in piazza San Pietro la fumata bianca, dopo tante fumate nere puntualmente pasticciate dai cronisti televisivi pasticcioni, ora che il nuovo papa c´è e ancora non si sa chi sia, fissa eccitata, impaziente, in alto, sventolando bandiere: ma la grande finestra da cui lui deve apparire resta uno spazio nero, reso più allarmante dai rossi tendaggi che il vento muove nel nulla, un vuoto drammatico come se Dio avesse scelto di assentarsi.
Questo papa senza nome e senza soglio, misterioso e umano, santo e inquieto, inafferrabile e disperato, ha il corpo greve, i gesti sperduti, il viso turbato e il cuore infranto di quell´attore magnifico che è Michel Piccoli. E "Habemus Papam" è per alcuni il capolavoro di Nanni Moretti, cinque anni dopo quel "Caimano", così profetico e attuale.
È il film di un laico, o forse di un ateo che come tale ha profondo rispetto di chi crede, e che riesce attraverso l´ironia, le invenzioni, l´eleganza, a suscitare una commozione, e allo stesso tempo, un´angoscia, che sfiorano la fede molto più di tanti film d´intento religioso che di solito vengono malissimo. È anche un film di massima intelligenza e libertà, privo di una tesi precostituita, ben attento a non accontentare chi da lui si aspettava una troppo facile critica alle gerarchie vaticane e alle loro ingerenze nei fatti nostri o qualche accenno all´attuale pontificato. Qualunque cosa comunque Moretti voglia dire, a parole non ce la dice, o la dice con dispettosa nebbiosità, consentendo così a chiunque di interpretare il film come crede. Molti critici per esempio hanno scosso la tesa delusi se non addirittura indignati, e ognuno avrà le sue ragioni e ce le dirà: sempre che, spesso intimoriti dalla scarsa indulgenza di Moretti per la stampa, non si trattengano: pensando anche che "Habemus Papam" ha tutte le caratteristiche per fare una bella figura al Festival di Cannes.
Morto un papa (e il funerale che si vede è quello di Giovanni Paolo II) la lunga fila di cardinali, una moltitudine di maschi, vecchi e vecchissimi, i visi induriti dalla solitudine e da un´astratta e forse ormai inutile sapienza, sontuosamente addobbati di rosso, è la cupa immagine di un potere chiuso, monco e staccato dalla realtà: chiudendoli nel segreto del conclave, di cui nulla si sa mai, Moretti si prende la libertà di trattarli non come i detentori di un potere inaccessibile, ma come una innocua e simpatica scolaresca: tamburellano con la penna, non sanno chi indicare, copiano dal vicino, pregano come per scongiurare l´interrogazione (Dio fai che non sia io!). Inatteso, viene eletto il cardinal Melville, e prima che lui accetti, i colleghi, sollevati, hanno già attaccato il Te Deum, tanto per finirla lì. Ma il papa è riluttante, non ce la fa a presentarsi al mondo, e i poveri cardinali, che non possono svignarsela, chiamano in aiuto il diavolo, cioè uno psicanalista, per di più ateo, per di più separato, che deve parlare con Sua Santità (che lui chiama semplicemente papa) circondato da decine di prelati e senza poter chiedere né dell´infanzia, né della famiglia, né dei sogni.
Naturalmente lo psicanalista è Nanni Moretti, ed è circondato da attori magnifici, come Jerzy Stuhr, che è l´abile portavoce vaticano pronto a ogni trucco. Portato in incognito dentro un paltoncino nero dalla psicanalista Margherita Buy che fa risalire ogni dramma adulto al «deficit di accudimento» infantile, il papa le dice di essere un attore, e riesce a sfuggire ai suoi sorveglianti. Sull´autobus, in un negozio, nell´albergo, viene a contatto con la vita, con l´umanità che non sa chi lui sia, se non lo straniero con cui comportarsi, come nei Vangeli, da buon samaritano, dandogli ciò che non chiede ma di cui ha bisogno: il bicchier d´acqua, il telefonino, il sorriso di uno sconosciuto. C´è una scena molto bella, drammatica come quella finale del "Caimano", da giudizio universale non politico ma etico: il teatro dove il papa in fuga ascolta Checov, si riempie a poco a poco di guardie svizzere, di cardinali, di quel rosso fiamma che accende il loro invincibile imperio, in un intreccio di finzione e ritualità tra gli attori in costume e quella folla, pure in costume, venuta a riprendersi il suo papa per rinchiuderlo lontano dai credenti e dalla vita.
C´era grandissima eccitazione e commozione, almeno a Milano, alla fine della proiezione per la stampa, e c´era un intrecciarsi di dubbi e interpretazioni. Quella guardia svizzera che deve ogni tanto scuotere una tenda nella camera del papa perché si creda che lui sia lì e non chissà dove, vorrà dire che dentro l´impeccabile governo vaticano il papa potrebbe essere anche solo un´ombra non necessaria? E la fuga del papa designato, nasce da viltà come nel dantesco Celestino V, o perché in quella grandiosa roccaforte, la messinscena antiquata, che ha anche rispolverato il trono di Pio XII, è ormai inefficace e non sa più rispondere al bisogno di aiuto, di fede, dell´umanità?
da La Repubblica, 15 aprile 2011
di Natalia Aspesi, 15 aprile 2011