Anno | 2009 |
Genere | Docu-fiction |
Produzione | Italia |
Durata | 70 minuti |
Regia di | Andrea Caccia |
Attori | Settanta ragazzi delle scuole . |
Uscita | venerdì 17 settembre 2010 |
MYmonetro | 2,96 su 1 recensioni tra critica, pubblico e dizionari. |
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Ultimo aggiornamento giovedì 7 ottobre 2010
Andrea Caccia si serve del contributo di settanta giovani (e dei loro cellulari) per ritrarre il modo in cui si è adolescenti oggi. In Italia al Box Office Vedozero ha incassato 2,6 mila euro .
CONSIGLIATO SÌ
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Il film è il risultato di un originale progetto cinematografico realizzato da Andrea Caccia in alcune scuole milanesi. Il film, che vede protagonisti settanta ragazzi chiamati a riprodurre con i cellulari momenti di vita, presenta una trama un po' sfilacciata ma che, attraverso un sottile filo conduttore, riesce ad addentrare lo spettatore nel labirintico mondo giovanile.
'Non tocco mai la gioia, non posso toccare la gioia'. È questo il punto di partenza dell'opera di Caccia, girata esclusivamente con i telefonini in una sorta di 'dripping' filmico dove i colori e i movimenti schizzano impazienti sullo schermo. Non si poteva pensare a uno strumento più consono per filmare questa generazione fuggevole e sfocata. Non emergono passioni né interessi profondi. Si comunica accennando, sorvolando, producendo suoni. Il linguaggio scritto è tisico, monco, con parole prive di vocali. Non è il gusto di una sintesi ma l'effetto finale di una realtà slegata, frantumata, senza armonia, che ci fa sentire l'angoscia di un vento che spazza via e non trattiene. 'Oh, bellezza del tocco...'. Tutto cambia troppo rapidamente e non c'è più niente di fermo da cui partire e a cui aggrapparsi. Nessuna bellezza da toccare. Il futuro non arriva mai e quando arriva fa paura. 'Diciotto anni. Ho sempre pensato che non ci sarei arrivata... e adesso?'
Vedozero è lo specchio di una generazione a cui è stato tolto lo sguardo, lo stupore. Settanta volti con un unico occhio in primo piano che lacrima come chi ha appena sbadigliato. Specchio di una solitudine collettiva dove si sta insieme senza incontrarsi mai, senza farsi compagnia. Tutta un'altra storia rispetto al quadro della stessa generazione descritta da D'Avenia nel libro "Bianca come il latte rossa come il sangue". Se lì l'adolescenza era domanda di un senso, qui l'unico desiderio che accomuna tutti è il 'cazzeggio totale'. Fuggire, intontirsi, girare a vuoto come su una giostra. Il giorno è un vespro diabolico recitato all'infinito: 'Mi alzo a mezzogiorno, mangio, alle due esco, torno alle sette, alle nove esco e torno alle undici e vado a dormire'. Senza domande che possano schiudere un senso profondo. È come se ci fosse un'anestesia emotiva. 'Tutta la notte in giro. Fattissimo'. Un'età che disperde, come i pezzi di un fuoco d'artificio che torna come motivo ricorrente. Smorfie e linguacce, dilemmi inconsistenti ('ma la figa in ambiente acido...'). Non ci sono rapporti tra le cose. Lo studio è scollato dall'esistenza; l'interrogazione è solo tenere a mente una definizione per risollevare la media. Serpeggia ovunque un male che si chiama noia, nelle risposte svogliate (Mi tradiresti? No. Perché? Perché non c'ho voglia), nell'omologazione del linguaggio e della moda (tutte con le All Star). Non c'è un senso nello stare insieme, il ritrovarsi non diventa mai incontro. La famiglia è una comparsa ininfluente, annoiata e ipnotizzata dietro i quiz di Carlo Conti. Tutto è rapido come un giro di giostra, un'altalena, un cambio di canale. Consumato in fretta e dimenticato come un avanzo nel frigo o un sms. Un film che ti lascia addosso la malinconia di una festa che finisce, di fuochi d'artificio che si spengono in lontananza.
L'unica consapevolezza che brulica è che 'più di così non so'; l'incapacità di andare oltre, il dramma di percepire la bellezza senza conoscere una strada per farne esperienza. Non c'è un punto d'unione tra le cose se non la lente del regista che riallinea le vite di ognuno sui binari sterminati della solitudine. Leopardiano, serale, disarmante.