jethro
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lunedì 27 febbraio 2012
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e se lo avesse girato uno sconosciuto?
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Forse non ho capito il film e neanche mi ha minimamente emozionato. Può darsi che sia perchè non sono ebreo, nè tantomento un profondo conoscitore/estimatore delle opere dei Coen.
Ma i gusti e le emozioni sono fortunatamente qualcosa di estremamente soggettivo e quindi ho letto con curiosità ed interesse gli innumerevoli giudizi più che positivi.
Rimango però del parere che la valutazione di qualsiasi pellicola andrebbe espressa prescindendo dalla fama dei registi o degli attori, ed ho l'impressione che se "a seriuos man" fosse stato girato da un perfetto sconosciuto (e non dai celebratissimi fratelli Coen) ci sarebbe stato un numero molto maggiore di giudizi mediocri.
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Forse non ho capito il film e neanche mi ha minimamente emozionato. Può darsi che sia perchè non sono ebreo, nè tantomento un profondo conoscitore/estimatore delle opere dei Coen.
Ma i gusti e le emozioni sono fortunatamente qualcosa di estremamente soggettivo e quindi ho letto con curiosità ed interesse gli innumerevoli giudizi più che positivi.
Rimango però del parere che la valutazione di qualsiasi pellicola andrebbe espressa prescindendo dalla fama dei registi o degli attori, ed ho l'impressione che se "a seriuos man" fosse stato girato da un perfetto sconosciuto (e non dai celebratissimi fratelli Coen) ci sarebbe stato un numero molto maggiore di giudizi mediocri.
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(di borghij )
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marica romolini
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giovedì 16 febbraio 2012
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un'imperscrutabile verità
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Shtelt polacco, XIX secolo: un commerciante accoglie un viandante in una notte buia e tempestosa; la moglie, credendo sia un dybbuk, lo uccide. Un prologo estravagante, a cui ci hanno abituato i fratelli Coen, che nulla ha a che fare con il resto del film e che però ne suggerisce la prospettiva. Da questo preludio, rigorosamente in yiddish e faux-exprès dei racconti morali ebraici (ma quale sia questa morale non è dato sapere: la crux della gnoseologia, irrimediabilmente sospesa tra empirismo e dualismo doxa-aletheia? L'inaccessibilità, o addirittura inesistenza, della verità? La necessità dell'accettazione?), lo spettatore è sbalzato in tutt'altro luogo ed epoca. È nella Minneapolis degli anni Sessanta che vive Larry Gopkin, il serious man del titolo: professore di fisica, ebreo irreprensibilmente onesto, fermamente convinto che il rispetto minuto dei precetti religiosi porti naturaliter a una quieta felicità.
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Shtelt polacco, XIX secolo: un commerciante accoglie un viandante in una notte buia e tempestosa; la moglie, credendo sia un dybbuk, lo uccide. Un prologo estravagante, a cui ci hanno abituato i fratelli Coen, che nulla ha a che fare con il resto del film e che però ne suggerisce la prospettiva. Da questo preludio, rigorosamente in yiddish e faux-exprès dei racconti morali ebraici (ma quale sia questa morale non è dato sapere: la crux della gnoseologia, irrimediabilmente sospesa tra empirismo e dualismo doxa-aletheia? L'inaccessibilità, o addirittura inesistenza, della verità? La necessità dell'accettazione?), lo spettatore è sbalzato in tutt'altro luogo ed epoca. È nella Minneapolis degli anni Sessanta che vive Larry Gopkin, il serious man del titolo: professore di fisica, ebreo irreprensibilmente onesto, fermamente convinto che il rispetto minuto dei precetti religiosi porti naturaliter a una quieta felicità. Ma la sua soddisfatta inerzia è sconquassata da una fantasmagorica sequenza di guai, che lo costringe a uscire dal suo hortus conclusus e iniziare una quête. Si rivolge infatti a dei rabbini, nel tentativo di disbrogliare l'imperscrutabile volontà di Hashem. Ne ricava solo banalità, opinabili soggettive o enigmi ancor più arcani. Il vuoto di senso, al posto di colmarsi, si fa voragine, che inghiotte la 'favola bella' della vita perfetta, della meritocrazia, della giustizia, persino della possibilità di distinguere il bene dal male. Il principio di indeterminazione di Heisenberg, che campeggia sull'enorme, mammutica lavagna, martoriata dalla messe di calcoli del professore, mostra l'inadeguatezza di qualsiasi fede – religiosa o scientifica – nel risolvere il dubbio, nel concedere il conforto della certezza all'uomo, che rischia letteralmente di 'ammattire' (come Arthur, fratello del protagonista e autore di un elaborato sistema di calcolo delle probabilità) nel disperato tentativo di dominare il caso. Il film non è tuttavia un manifesto di pacifico nichilismo: un Dio si impone eccome, magari proprio per la sua assenza o per l'anomia, ma soprattutto, nonostante i parossismi cromatici e l'assertività di un'estetica caricata, la consolazione di un pensiero comunque forte non è possibile. Il grottesco denuncia la miseria umana e fors'anche l'inutilità dell'accanimento conoscitivo. Com'è stato notato dalla critica, i fili narrativi, paratattici, inadempienti il proprio ruolo istituzionale, germinanti altri abbozzi ipotetici, non coagulano in un intreccio vero e proprio, così come il trascorrere della vita non diventa quasi mai discorso di senso compiuto. Quale dunque la soluzione? Il film non può/vuole offrire risposte, aprendo ogni fotogramma nuovi interrogativi, ulteriori chiavi di lettura retroattive. Specie quello finale, che rimette tutto in discussione e rilancia il dubbio. (In qualche modo) gaddiano.
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omero sala
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mercoledì 11 gennaio 2012
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giobbe
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Un film agghiacciante e divertente nello stesso tempo, esilarante e crudele, comico e caustico. In sala si ride a più riprese, ma il retrogusto che si insinua negli interstizi dell’anima – una scena dopo l’altra – è di una amarezza sconfinata.
L’uomo serious del titolo è Larry, un quarantenne onesto, retto, mite, indulgente, conciliante, remissivo: un uomo buono, insomma, o un buon uomo. É sposato con una donna ineccepibilmente amorfa, ha due figli distaccati e menefreghisti come di regola, svolge con sufficiente impegno il suo lavoro da insegnante, possiede una bella casa molto americana col suo tappeto erboso, partecipa con distratta indifferenza ai cerimoniali della comunità ebraica a cui appartiene,…
Nel giro di pochi giorni i cardini su cui poggia la sua ordinaria esistenza vengono messi a dura prova: su di lui si addensa la sfortuna, si concentrano le avversità; attorno a lui – come attorno al Giobbe della sua tradizione biblica – tutto si scompone e si sfascia.
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Un film agghiacciante e divertente nello stesso tempo, esilarante e crudele, comico e caustico. In sala si ride a più riprese, ma il retrogusto che si insinua negli interstizi dell’anima – una scena dopo l’altra – è di una amarezza sconfinata.
L’uomo serious del titolo è Larry, un quarantenne onesto, retto, mite, indulgente, conciliante, remissivo: un uomo buono, insomma, o un buon uomo. É sposato con una donna ineccepibilmente amorfa, ha due figli distaccati e menefreghisti come di regola, svolge con sufficiente impegno il suo lavoro da insegnante, possiede una bella casa molto americana col suo tappeto erboso, partecipa con distratta indifferenza ai cerimoniali della comunità ebraica a cui appartiene,…
Nel giro di pochi giorni i cardini su cui poggia la sua ordinaria esistenza vengono messi a dura prova: su di lui si addensa la sfortuna, si concentrano le avversità; attorno a lui – come attorno al Giobbe della sua tradizione biblica – tutto si scompone e si sfascia.
Il povero Larry attraversa catatonico il suo labirinto di sventure, disorientato dalla cattiveria di chi gli è vicino, dalla mancanza di riconoscenza, dal cinismo, dall’indifferenza impudente o da una finta attenzione ipocrita, dal perbenismo distaccato o infido, dall’egoismo. In una condizione di estraneità dolorosa (per dirla con Moravia) non riesce a ribellarsi(non lo ha mai fatto in tutta la vita); non riesce a bestemmiare (incredulo della atrocità di quel che gli accade); non riesce a pregare (scombussolato dalla incomprensibile imperturbabilità del cielo). Il suo sorriso, sequenza dopo sequenza, si va congelando più per la sorprendente assurdità delle sue sventure che per il dolore.
Un uragano, non metaforico, potrà chiudere l’atroce mulinello di disgrazie che lo sta inghiottendo. O forse lo risveglierà da un incubo.
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dario
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domenica 8 gennaio 2012
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sarcastico
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Più sarcasmo che ironia, ma non certo dozzinale. Vicenda intelligente e amara, senza sbavature. Un piacere quasi perverso di narrare l'inenarrabile: una sfida intellettuale alla banalità dell'esistenza. Grande sceneggiatura e ritmo quasi sempre perfetto. Interpretazione stralunata, come si addice all'impresa.
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theconformist
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martedì 20 dicembre 2011
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humor coen, ma il film non raggiungie mai un apice
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Il professor Gopnik (Stuhlbarg) insegna fisica all'univeristà, è un ebreo praticante ed un uomo dai modi garbati, troppo educato e timido per tener testa alle bizzarrie della sua famiglia: figlio che fuma erba e figlia che vuole rifarsi il naso (troppo ebreo); moglie che lo vuole lasciare per mettersi con un viscido (ma amabile all'occorrenza) uomo serio; fratello psicolabile e malato di gioco (ma genio della matematica).
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Il professor Gopnik (Stuhlbarg) insegna fisica all'univeristà, è un ebreo praticante ed un uomo dai modi garbati, troppo educato e timido per tener testa alle bizzarrie della sua famiglia: figlio che fuma erba e figlia che vuole rifarsi il naso (troppo ebreo); moglie che lo vuole lasciare per mettersi con un viscido (ma amabile all'occorrenza) uomo serio; fratello psicolabile e malato di gioco (ma genio della matematica). Sul professore continueranno a piovere disgrazie su disgrazie, e così l'impresa di diventare finalmente un "uomo serio" parrà complicarsi suo malgrado sempre più. Deciderà cosi' di rivolgersi a dei rabbini per ottenere preziosi suggerimenti, ma da questi non otterrà alcuna risposta concreta, solo borbottii e frasi indecifrabili. Humor da risata a denti stretti e alcune scene indimenticabili, si ha pero' la sensazione che questa commedia amara firmata Coen Brothers non raggiunga mai un apice, risultando un film intelligente e ben diretto quanto piatto.
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alex8
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venerdì 29 luglio 2011
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film stupendo
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Adoro i fratelli Cohen e per motivi miei sono riuscito a vederlo solo ieri sera in piazza a Bologna. Il film mi è piaciuto ed ha un finale fantastico. La diagnosi, il tornado, non poteva finire diversamente e non a caso il periodo di ambientazione del film è il 1967.
Da napoletano abituato a vivere sotto la minaccia perpetua di un vulcano, e ora anche di altro... mi ha in un certo modo divertito il concetto di precarietà della vita espresso nel film. Secondo me, il protagonista e la sua famiglia rappresentano la società moderata anglosassone, lui in particolare chi governa e chi si sbatte in tutti i modi e senza colpi di testa, nonostante tutti gli eventi negativi e tragici che ineluttabilmente avvengono, per portare avanti nel bene e nel male la società.
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Adoro i fratelli Cohen e per motivi miei sono riuscito a vederlo solo ieri sera in piazza a Bologna. Il film mi è piaciuto ed ha un finale fantastico. La diagnosi, il tornado, non poteva finire diversamente e non a caso il periodo di ambientazione del film è il 1967.
Da napoletano abituato a vivere sotto la minaccia perpetua di un vulcano, e ora anche di altro... mi ha in un certo modo divertito il concetto di precarietà della vita espresso nel film. Secondo me, il protagonista e la sua famiglia rappresentano la società moderata anglosassone, lui in particolare chi governa e chi si sbatte in tutti i modi e senza colpi di testa, nonostante tutti gli eventi negativi e tragici che ineluttabilmente avvengono, per portare avanti nel bene e nel male la società. Il materiale umano è questo, la società è questa, e questo è solo il minimo che può accadere, anzi tutto quello che accade prima del finale è la normalità. Le disgrazie, i tradimenti, gli intoppi sul lavoro, i figli, sono relazionabili alle disgrazie, guerre, fallimenti, debiti, crolli finanziari, che avvengono nel mondo.
Ma tutto questo è solo la normalità, si trascura sempre che esiste un momento, prima o poi, dove tutto finirà, la diagnosi. Oppure dove tutto sarà sconvolto da eventi imponderabili, il tornado, che sembra rappresentare il '68.
Il momento in cui il figlio cerca di restituire finalmente i 20 dollari al suo minaccioso creditore, che non a caso era enorme e veniva inquadrato in modo da esaltare questa caratteristica, è emblematico. Lui se ne frega, si volta verso il tornado. I registi non hanno mai mostrato la sua faccia, secondo me potrebbe significare che esiste la certezza della fine o del cambiamento, ma loro e sicuramente anche noi tutti, non ne conosciamo la modalità. Il messaggio dei fratelli potrebbe dire che i soldi o meglio il valore che la nostra società dà all'economia, sparirà di fronte ai disastri, provocati o no dall'uomo, o da eventi rivoluzionari...
A Napoli diremo... stamm' sott' o' ciel'...
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alex8
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venerdì 29 luglio 2011
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film stupendo
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Adoro i fratelli Cohen e per motivi miei sono riuscito a vederlo solo ieri sera in piazza a Bologna. Il film mi è piaciuto ed ha un finale fantastico. La diagnosi, il tornado, non poteva finire diversamente e non a caso il periodo di ambientazione del film è il 1967.
Come napoletano abituato a vivere sotto la minaccia perpetua di un vulcano, e ora anche di altro..., penso di aver compreso il senso del film dei fratelli Cohen. Il protagonista e la sua famiglia rappresentano la società moderata anglossassone, lui in particolare chi governa e chi si sbatte in tutti i modi e senza colpi di testa, nonostante tutti gli eventi negativi e tragici che ineluttabilmente avvengono, per portare avanti nel bene e nel male sua famiglia, e cioè sempre la società.
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Adoro i fratelli Cohen e per motivi miei sono riuscito a vederlo solo ieri sera in piazza a Bologna. Il film mi è piaciuto ed ha un finale fantastico. La diagnosi, il tornado, non poteva finire diversamente e non a caso il periodo di ambientazione del film è il 1967.
Come napoletano abituato a vivere sotto la minaccia perpetua di un vulcano, e ora anche di altro..., penso di aver compreso il senso del film dei fratelli Cohen. Il protagonista e la sua famiglia rappresentano la società moderata anglossassone, lui in particolare chi governa e chi si sbatte in tutti i modi e senza colpi di testa, nonostante tutti gli eventi negativi e tragici che ineluttabilmente avvengono, per portare avanti nel bene e nel male sua famiglia, e cioè sempre la società. Il materiale umano è questo, la società è questa, e questo è solo il minimo che può accadere, anzi tutto quello che accade prima del finale è la normalità. Disgrazie, tradimenti, intoppi sul lavoro, delusione sui figli, insomma qualsiasi cosa, come in effetti sono le cose inevitabili che accadono nel mondo, disgrazie, guerre, fallimenti, debiti, crolli finanziari, ecc.
Ma tutto questo è solo la normalità, si trascura sempre il particolare che esiste un momento, prima o poi, che tutto finirà, la diagnosi, oppure che tutto sarà sconvolto da eventi imponderabili, il tornado che sembra rappresentare il '68. Il momento in cui il figlio cerca di restituire finalmente i 20 dollari al suo minaccioso creditore che non a caso era enorme e veniva inquadrato in modo da esaltare questa carattersistica, questo indifferente si volta verso il tornado. Forse il messaggio finale dei fratelli contiene una previsione ancora più spaventosa, i soldi o meglio il valore che la nostra società da all'economia, sparirà di fronte a disastri provocati o no dall'uomo o da eventi rivoluzionari...
A Napoli diremo... stamm' sott' o' ciel'...
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folignoli
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venerdì 1 luglio 2011
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inguardabile
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I Coen realizzano uno dei loro peggiori film. Pellicola dalla storia astrusa, banale, priva di interesse. Dopo Non è un paese per vecchi, i Coen sfruttano la scia del grosso successo e girano A prova di Spia, film banale e fiacco, commerciale, ottenendo critiche negative. Non paghi di ciò, ci riprovano, con un filmetto ancora più fiacco, semplice da girare. Con poco volevano girare un film e loro stessi, nelle interviste del backstage, dichiarano che il film è stato girato di fretta. A serious man è lentissimo, noioso e con un plot che assolutamente non entusiasma. Peccato che i talentuosi registi, si sporchino le mani con simili prodotti.
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themichtemp
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martedì 25 gennaio 2011
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ottimo film.
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