maryluu
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venerdì 14 marzo 2008
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un messaggio da non condividere
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Nonostante sia palese la maestria dei fretelli Coen nel ricreare da un romanzo una storia cinematografica così cruda, dandole una vita propria e dipanando al meglio gli ingarbugliati eventi in una matassa lineare e anche un pò scontata, non posso definire questo film un capolavoro.
Non credo meritasse l'Oscar più di "Espiazione".
Questo film si presenta apparentemente come la solita lotta secolare tra bene e male ( non so perchè gli americani sono affascinati terribilmente da questo tema, ne è prova l'Oscar dell'anno scorso a The Departed), per poi confluire in una miriade di significati più nascosti che spiazza lo spettatore e lo pone di fronte a innumerevoli dubbi esistenziali. Non posso negare la degna struttura del film ma ciò che non condivido è proprio il messaggio che questo film vuole trasmettere.
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Nonostante sia palese la maestria dei fretelli Coen nel ricreare da un romanzo una storia cinematografica così cruda, dandole una vita propria e dipanando al meglio gli ingarbugliati eventi in una matassa lineare e anche un pò scontata, non posso definire questo film un capolavoro.
Non credo meritasse l'Oscar più di "Espiazione".
Questo film si presenta apparentemente come la solita lotta secolare tra bene e male ( non so perchè gli americani sono affascinati terribilmente da questo tema, ne è prova l'Oscar dell'anno scorso a The Departed), per poi confluire in una miriade di significati più nascosti che spiazza lo spettatore e lo pone di fronte a innumerevoli dubbi esistenziali. Non posso negare la degna struttura del film ma ciò che non condivido è proprio il messaggio che questo film vuole trasmettere.
I protagonisti sono tre uomini molto diversi.
Un Cowboy che preferisce mettersi nei guai e scappare con una borsa piena di soldi, già consapevole del suo destino. La sua corsa è una disperata fuga dal nulla e verso il nulla, dove la morte è inesorabile. Certa.
S'intreccia a questa figura una figura opposta. Lo sceriffo che è narratore e spettatore indiretto della storia. Un uomo profondo che riflette sulla sua impotenza di fronte alla spietatezza di un uomo che rappresenta la morte. Nonostante il tempo passi, lui si rende conto che le cose cambiano troppo lentamente e che lui è uguale a suo padre, a suo nonno, sceriffi impotenti come lui.
La morte prima o poi arriverà e la lotta è una lotta persa in partenza. C'è chi riesce ad affrontarla a viso aperto e chi invece la aspetta ascoltando il ticchettio lento ma costante dell'orologio a parete.
La morte è rappresentata da Anton Chigurh, uno psicopatico che uccide tutti coloro che incontra sul suo cammino con un compressore con cui si uccidono i vitelli. E con in mano una moneta che rappresenta l'inesorabile destino dell'uomo. E' il caso che posticipa o anticipa la nostra morte. E noi dovremmo solo accettare tutto questo.
Il film altro non è che un incessante inseguimento di un uomo da parte della morte. La morte finisce per trionfare. Anton ne uscirà ferito, con un osso di fuori, ma trionfante. Sogghignante. Arcigno.
Per me questa visione dei Coen è troppo violenta. Io vedo la morte come una carezza della sera che arriva al capolinea della vita. Un traguardo che non è una fine ma un nuovo inizio. La morte violenta che descrivono i Coen è una morte provocata dall'uomo e che quindi non rappresenta coerentemente il suo vero essere. Proprio perchè inspiegabile non può essere rappresentata in modo umano come uno psicopatico sanguinario e pazzo.
Ho trovato scontato e dovuto al tentativo di essere innovativi e rivoluzionari dei registi, il finale. Non lo condivido affatto. Bardem non merita di sopravvivere. Io credo che l'uomo possa avere una sorta di redenzione e trovo ingiusto che debba per forza accettare un destino così crudele. Mi preoccupa il trionfo di un uomo che non ha umanità, coerenza, mosso solo da pensieri e azioni folli.
Un applauso meritano gli attori. Il parrucchino,il detonatore e la professionalità indiscussa di Javier Bardem lo rendono un personaggio unico e sui generis.
Ottima la fotografia anche se ho preferito di gran lunga quella dell' "Assassinio di Jesse James".
Non è un paese per vecchi è un capolavoro costruito come capolavoro a tavolino e per me perciò non è degno di essere definito tale.
Non è il film di per se che non è valido, anzi..., ma per me il messaggio non è da condividere.
La vita va vissuta intensamente senza pensare sempre a scappare dalla morte e senza perciò accontentarsi di sopravvivere. Va vissuta pienamente, allegramente, così a fine percorso il nostro bagaglio sarà così colmo da farci sorridere e non desiderare più nulla che la vita non ci abbia già regalato.
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immanuel
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lunedì 15 novembre 2010
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viaggio in un deserto di violenza
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Non è un paese per vecchi. Non lo è per il vegliardo sceriffo interpretato da un perfetto Tommy Lee Jones. Vi si trova invence perfettamente a suo agio il pericoloso psicopatico che va a caccia di una valigia piena di denaro, Javier Bardem, anche lui pienamente all'altezza del ruolo assegnatogli. Uno squilibrato assassino che non esita a dare la stura a qualsiasi istinto di violenza pur di accreditarsi la meta suprema: l'arricchimento. Ma non c'è solo la caccia al denaro in questo folle. C'è un universo parallelo di sua ideazione regolato da leggi proprie, del quale è lui solo arbitro, che lo mette nella condizione di fare da giudice sulla vita delle persone. Un sistema oscuro nella mente degenerata di Bardem in virtù del quale testa o croce può significare stroncare una vita umana.
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Non è un paese per vecchi. Non lo è per il vegliardo sceriffo interpretato da un perfetto Tommy Lee Jones. Vi si trova invence perfettamente a suo agio il pericoloso psicopatico che va a caccia di una valigia piena di denaro, Javier Bardem, anche lui pienamente all'altezza del ruolo assegnatogli. Uno squilibrato assassino che non esita a dare la stura a qualsiasi istinto di violenza pur di accreditarsi la meta suprema: l'arricchimento. Ma non c'è solo la caccia al denaro in questo folle. C'è un universo parallelo di sua ideazione regolato da leggi proprie, del quale è lui solo arbitro, che lo mette nella condizione di fare da giudice sulla vita delle persone. Un sistema oscuro nella mente degenerata di Bardem in virtù del quale testa o croce può significare stroncare una vita umana. Quest'ultima è succube dell'arbitrio umano, perché gli uomini nel deserto selvaggio oscillano tra il culto delle cose terrene e l'attrazione verso il polo della violenza: la vita umana è posta in mezzo a tali poli e per questo motivo è ritenuta secondaria rispetto al conseguimento degli obbiettivi primari per la belva umana. Una belva assassina che si lascia alle spalle una striscia di sangue interminabile. In questo deserto di raccapriccio e violenza il contraltare è rappresentato dalla figura discussa, rassegnata e sofferta dello sceriffo, impotente e sgomento di fronte a tanto male. Con nostalgia ritorna ai tempi andati, rivive gli scenari di una volta, ma alla fine non vi trova, nemmeno nel ricordo di questo, il sicuro rifugio, il rinfrancamento necessario. La violenza c'era prima, c'è oggi in misura spaventosamente maggiore. Lo spettatore diventa così, per i Coen, un voyeur del male che con morbosa attenzione aspetta la prossima esecuzione, ma non lo fa attraverso l'opportuna scenografia e gli adatti lambiccamenti che ci avrebbe mostrato Tarantino. I due registi riescono a farci compiere questo viaggio nella barbarie fermo restando, e di questo ce ne compiaciamo debitori, un solido distacco che ci pone in una posizione di critici rispetto ad un mondo del quale non vorremmo far parte.
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mario scafidi
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domenica 24 febbraio 2008
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film unico nel suo genere...ma non ha un genere!
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Una storia semplice di violenza senza redenzione. Llewelyn (Josh Borlin) incappato nella scena del crimine (quella di una carneficina tra spacciatori di droga) si appropria della valigetta in possesso di una delle vittime dell'eccidio, contenente due milioni di dollari. Da allora inizierà il suo incubo: sulle sue tracce si metteranno uno spietato killer (Javier Bardem) ed uno sceriffo (Tommy Lee Jones) che vuole acciuffarlo, ma principalmente aiutarlo a scampare all'ira funesta del sicario. Tutto nel film quadra alla perfezione, e la sceneggiatura ha un ritmo incalzante che alterna momenti di calcolatissima quiete ad impetuose esplosioni di sangue, colpi di pistola ed inseguimenti mozzafiato.
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Una storia semplice di violenza senza redenzione. Llewelyn (Josh Borlin) incappato nella scena del crimine (quella di una carneficina tra spacciatori di droga) si appropria della valigetta in possesso di una delle vittime dell'eccidio, contenente due milioni di dollari. Da allora inizierà il suo incubo: sulle sue tracce si metteranno uno spietato killer (Javier Bardem) ed uno sceriffo (Tommy Lee Jones) che vuole acciuffarlo, ma principalmente aiutarlo a scampare all'ira funesta del sicario. Tutto nel film quadra alla perfezione, e la sceneggiatura ha un ritmo incalzante che alterna momenti di calcolatissima quiete ad impetuose esplosioni di sangue, colpi di pistola ed inseguimenti mozzafiato. Diretto con raffinata tecnica da Joel ed Ethan Coen, fratelli terribili del cinema americano, "Non è un Paese per Vecchi" spicca principalmente per la suggestività pittorica della fotografia (ogni fotogramma potrebbe venire incorniciato ed essere opera d'arte). Film unico nel suo genere, che sconvolge nelle primissime scene e lascia attoniti sul finale. Potere della genialità di chi sta dietro le quinte. Javier Bardem rivela una fisicità dirompente ed una capacità di caratterizzazione del suo Chigurh davvero encomiabile. Meriterà l'Oscar se l'Academy vorrà premiare la sua performance; altre sette nomine mettono "Non è un Paese per Vecchi" tra i favoriti alla vittoria alla prossima, imminente, cerimonia degli Oscar: Miglior Film, Miglior regia, Miglior montaggio, Miglior sceneggiatura non originale, Miglior fotografia, Miglior sonoro, Miglior montaggio sonoro.
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[+] ritmo incalzante???
(di aioliadoro)
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ninacavallina
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giovedì 6 marzo 2008
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fondamentale
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Ogni cosa nell'architettura dell'opera è ridotta all'essenziale, votata ad un significativo minimalismo formale. Abolita la colonna sonora, è decuplicato l'effetto evocativo dei rumori: quello dei passi sul pavimento di legno, dei colpi della pistola pneumatica di un eccezionale ed eccezionalmente ineluttabile Javier Bardem. La colonna sonora trasforma in "storia" una serie di eventi: i registi optano per un occamismo radicale, spogliandone la narrazione, che ne esce potenziata.
La pellicola s'inserisce pienamente nel filone occidentale della violenza d'autore, all'incrocio tra il ridondante (ed esaltante) Tarantino, cui va l'indiscusso merito di aver fondato una personalissima estetica della violenza, sempre posata su azzeccate sceneggiature, e il convinto Leone nel suo tornare al territorio di frontiera quale punto privilegiato d'osservazione della bete humaine.
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Ogni cosa nell'architettura dell'opera è ridotta all'essenziale, votata ad un significativo minimalismo formale. Abolita la colonna sonora, è decuplicato l'effetto evocativo dei rumori: quello dei passi sul pavimento di legno, dei colpi della pistola pneumatica di un eccezionale ed eccezionalmente ineluttabile Javier Bardem. La colonna sonora trasforma in "storia" una serie di eventi: i registi optano per un occamismo radicale, spogliandone la narrazione, che ne esce potenziata.
La pellicola s'inserisce pienamente nel filone occidentale della violenza d'autore, all'incrocio tra il ridondante (ed esaltante) Tarantino, cui va l'indiscusso merito di aver fondato una personalissima estetica della violenza, sempre posata su azzeccate sceneggiature, e il convinto Leone nel suo tornare al territorio di frontiera quale punto privilegiato d'osservazione della bete humaine.
Lo sceriffo (un texanissimo Tommy Lee Jones) è l'occhio dello spettatore impotente, del testimone ridotto al silenzio dalla consapevolezza di esistere in una dimensione che non è più la sua - non può fare nulla senza accettare le regole del nuovo assurdo gioco che trascina gli altri nel proprio vortice tumultuoso, senza lasciare spazio a coscienza, umanità, rispetto. Un gioco del quale tutti gli altri finiscono inesorabilmente, e più o meno volontariamente, ma più spesso loro malgrado, prigionieri e, infine, vittime.
Il magnifico Bardem ruba agli altri la scena, rifulgendo nella caratterizzazione di un killer professionista, massima espressione della simbiosi con quel nuovo gioco che annienta tutti gli altri di cui anche lui è in fondo vittima, ma consaspevole della propria ineluttabile disfatta e quindi deciso a giocare fino in fondo la propria fatale partita. La perfetta comunione con quella legge universale di cui, non potendo sfuggirle, egli si fa incarnazione, emerge nelle poche memorabili parole che rivolge a Carla Jean, moglie dell'ormai defunto Llewellyn:
- Testa o croce?
- Non voglio sc3egliere. Non è la moneta che decide - sei tu!..
- IO E LA MONETA SIAMO GIUNTI ALLA STESSA CONCLUSIONE (I GOT HERE THE SAME WAY THE COIN DID). Ora scegli.
Non importa se vivi o muori, la tua vita non fa alcuna differenza per me, né nel bilancio esistenziale universale. Il totale annullamento della dignità dell'essere vivente.
Il sangue scorre, è lo scuro e denso fluido, letteralmente il filo rosso che intrappola personaggi ed eventi - la pozza nera che si allarga sul vecchio parquet, leitmotiv dell'opera.
Immancabili i riferimenti al piccolo orrore quotidiano in un film che spolpa fino all'osso anche l'unica retorica possibile nell'ambito di una sceneggiatura essenziale, quella della violenza e della divina, ma anche fin troppo umana, indifferenza.
Ottimo il doppiaggio della parlata texana, che rende il senso piuttosto che le testuali parole, meritatissimi gli Oscar di Bardem e dei fratelli Coen.
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roby
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mercoledì 12 marzo 2008
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un buon thriller americano
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Un buon (western)thriller, che per fortuna raramente cede alle "americanate"(vedi il protagonista che ad inizio film riesce, scappando a piedi, a non essere raggiunto dalla macchina ed a sfuggire ai proiettili). Bellissimo e di gran forza il personaggio del killer psicopatico ed eccellente l'attore che lo interpreta. Ottimi, al fine narrativo, le caratterizzazioni dello sceriffo e del suo aiutante che offrono una simpatica caricatura degli stereotipi e al contempo allentano la costante tensione che il film regala.
La morale ben rappresenta i tempi di adesso: il protagonista fugge con questi soldi non se li gode né durante il film né dopo, non se li godono i messicani, non se li gode il killer….
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Un buon (western)thriller, che per fortuna raramente cede alle "americanate"(vedi il protagonista che ad inizio film riesce, scappando a piedi, a non essere raggiunto dalla macchina ed a sfuggire ai proiettili). Bellissimo e di gran forza il personaggio del killer psicopatico ed eccellente l'attore che lo interpreta. Ottimi, al fine narrativo, le caratterizzazioni dello sceriffo e del suo aiutante che offrono una simpatica caricatura degli stereotipi e al contempo allentano la costante tensione che il film regala.
La morale ben rappresenta i tempi di adesso: il protagonista fugge con questi soldi non se li gode né durante il film né dopo, non se li godono i messicani, non se li gode il killer….ci si ammazza, si muore, ci si allontana (protagonista e moglie), si vive in un mondo cinico senza affetti e legami, in nome del dio denaro…che in fin dei conti non dà nulla.
Gli unici ad avere vite “normali” ma in fondo con un minimo di rapporti veri sono coloro che non cercano i soldi: lo sceriffo, la moglie….
Sceneggiatura, killer psicopatico e fotografia ottimi…un pò meno il protagonista.
Non è un mondo per vecchi, forse proprio perchè i vecchi non riescono a capire questo nuovo mondo, questi nuovi pricipi(quali?) e ideali.
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(di armani49@libero.it)
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matt
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sabato 10 maggio 2008
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non è un paese per...gli oscar
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C'è un' entità maligna e violenta nella società in cui viviamo, un' entità che arriva dal nulla e si trova ovunque, che ci perseguita senza tregua se intralciamo il suo percorso o semplicemente se capitiamo nostro malgrado su di esso. E' una presenza spietata che non prova nessun tipo di emozione o sentimento, una presenza che attrae e distrugge, ma che allo stesso tempo ci fa fa ricordare quanto preziosa e fragile è la nostra vita scegliendone la sorte con il lancio di una moneta. Questa è l' ultima enigmatica opera dei trasgrssivi fratelli Coen, un' opera difficile da giudicare perchè la sua radicale e lucida crudeltà contro tutto ciò che riguarda la natura umana incute timore. Un' opera senz' anima che lascia un profondo senso di vuoto, arida e apatica proprio come gli ambienti e i personaggi che la caratterizzano, ma nonostante tutto questo premiata con quattro oscar: film, regia, sceneggiatura, attore non protagonista.
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C'è un' entità maligna e violenta nella società in cui viviamo, un' entità che arriva dal nulla e si trova ovunque, che ci perseguita senza tregua se intralciamo il suo percorso o semplicemente se capitiamo nostro malgrado su di esso. E' una presenza spietata che non prova nessun tipo di emozione o sentimento, una presenza che attrae e distrugge, ma che allo stesso tempo ci fa fa ricordare quanto preziosa e fragile è la nostra vita scegliendone la sorte con il lancio di una moneta. Questa è l' ultima enigmatica opera dei trasgrssivi fratelli Coen, un' opera difficile da giudicare perchè la sua radicale e lucida crudeltà contro tutto ciò che riguarda la natura umana incute timore. Un' opera senz' anima che lascia un profondo senso di vuoto, arida e apatica proprio come gli ambienti e i personaggi che la caratterizzano, ma nonostante tutto questo premiata con quattro oscar: film, regia, sceneggiatura, attore non protagonista. Nulla da dire su quello assegnato allo strepitoso Javer Bardem, ma non riesco proprio a vedere dove sia il merito per le altre tre statuette, quando invece un capolavoro di purezza e etica come Into the wild non è stato nemmeno nominato...!?
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(di lex)
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giulio dispenza
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giovedì 20 novembre 2014
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il "western moderno" dei coen
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Dopo i grandi successi Fargo e il Grande Lebowsi i fratelli Coen decidono di tornare alla ribalta con il loro nuovo film, quello che può essere definito il ""wester moderno" per eccellenza. Adattando a sceneggiatura cinematografica il romanzo di Cormac Mc Carthy. Ci troviamo all'inizio degli anni '80 in Texsas dove un reduce della guerra del Vietnam, durante una partita di caccia nelle infinite e desolate distese del vasto stato americano viene in possesso di una valigetta contenente due milioni di dollari appartenente ai cartelli della mafia messicana. Questo darà vita a una spietata caccia all'uomo lasciando dietro di se numerosi cadaveri.
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Dopo i grandi successi Fargo e il Grande Lebowsi i fratelli Coen decidono di tornare alla ribalta con il loro nuovo film, quello che può essere definito il ""wester moderno" per eccellenza. Adattando a sceneggiatura cinematografica il romanzo di Cormac Mc Carthy. Ci troviamo all'inizio degli anni '80 in Texsas dove un reduce della guerra del Vietnam, durante una partita di caccia nelle infinite e desolate distese del vasto stato americano viene in possesso di una valigetta contenente due milioni di dollari appartenente ai cartelli della mafia messicana. Questo darà vita a una spietata caccia all'uomo lasciando dietro di se numerosi cadaveri. Spietato, freddo e realistico questi possono essere i principali aggettivi per descrivere la nuova pellicola dei due acclamati registi. Una violenza molto diversa dagli altri film. Infatti ci troviamo di fronte a un particolare realismo e cinismo dei Coen, rappresentando gli omicidi non i chiave "pulp tarantinana" ma in uno stile del tutto realistico e morale che si vvicina per molti versi a quello rappresentato da Martin Scorsese in "The Departed". Oltre alla straordinaria capacità dei rigesti di manterene attiva l'attenzione dello spettatore anche con i numerosi monologhi o scene non dialogate , salta subito all'attanzione la quasi totale assenza della colonna sonora, un elemento non di poco spessore, che rappresenta l'intenzione dei registi a mantenere un profilo il più realistico possibile. Oltre ai numerosi omicidi, la sceneggiatura non manca di sottolineare una importante chiave morale al racconto per voce di quello che può essere considerato il personaggio principale, lo sceriffo interpretato da Tommy Lee Jones. Infatti atttraverso un lungo monologo all'inizio e alla fine del film, egli rappresenta la vecchia generazione, che non è più in grado di stare al passo con l'escalation di violenza e immoralità che sta invadendo il paese, da qui il titolo "Non è un paese per vecchi".
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great steven
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lunedì 9 febbraio 2015
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violenza allo stato brado per un esame sull'uomo.
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NON è UN PAESE PER VECCHI (USA, 2007) diretto da JOEL ED ETHAN COEN. Interpretato da TOMMY LEE JONES, JAVIER BARDEM, JOSH BROLIN, WOODY HARRELSON, KELLY MACDONALD, GARRET DILLAHUNT, TESS HARPER
Un sicario professionista dalla follia lucidissima commette un paio di omicidi a freddo servendosi della sua bomboletta di gas a cui è collegato un meccanismi di sparo capace di ammazzare a presa diretta. Dopo la sua rocambolesca comparsa, entra in scena Moss, che s’imbatte nel deserto in un camioncino circondato da cadaveri. Nel portabagagli rinviene un carico di eroina e una valigetta contenente due milioni di dollari. Il furto di quel denaro innesca un’ininterrotta reazione a catena di violenze letali che nemmeno un paziente e disilluso sceriffo riesce ad arginare.
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NON è UN PAESE PER VECCHI (USA, 2007) diretto da JOEL ED ETHAN COEN. Interpretato da TOMMY LEE JONES, JAVIER BARDEM, JOSH BROLIN, WOODY HARRELSON, KELLY MACDONALD, GARRET DILLAHUNT, TESS HARPER
Un sicario professionista dalla follia lucidissima commette un paio di omicidi a freddo servendosi della sua bomboletta di gas a cui è collegato un meccanismi di sparo capace di ammazzare a presa diretta. Dopo la sua rocambolesca comparsa, entra in scena Moss, che s’imbatte nel deserto in un camioncino circondato da cadaveri. Nel portabagagli rinviene un carico di eroina e una valigetta contenente due milioni di dollari. Il furto di quel denaro innesca un’ininterrotta reazione a catena di violenze letali che nemmeno un paziente e disilluso sceriffo riesce ad arginare. Il Texas del romanzo di Cormac McCarthy, pubblicato nel 2005, che la Paramount Village ha messo a disposizione dei fratelli Coen, è un paese di morti e per morti, un assolato universo fuori dal tempo, ma non dalla Storia, nel quale non esistono personaggi anziani in quanto il sonno eterno coglie minacciosamente le persone quando sono nel pieno della gioventù. Difficile dare una definizione di genere a questo film eccessivo, sfaccettato, delirante e camaleontico: un action thriller? Un noir con cadenze da melodramma? Un film d’avventura camuffato dietro le apparenze di un blockbuster più elevato del solito? Forse un insieme che racchiude tutte e tre queste descrizioni. Fatto sta che i Coen hanno saputo imbastire con efficacia incredibile una gelida metafora del nostro tempo, ponendo la morte al centro di un discorso che rappresenta i comportamenti violenti come l’innata espressione dell’animo umano, e raffigura la malattia diabolica della mente umana con la precisione di uno psichiatra che analizzi un cervello patologico. Non a caso vi appare un Bardem (premiato con l’Oscar al migliore attore non protagonista) nei panni di un assassino periodico il cui flemma implacabile è responsabile di uccisioni che danneggiano non tanto i corpi quanto l’onore, il valore e la costituzione psicologica delle sue vittime, ignare del pericolo fino all’ultimo secondo della loro esistenza, dal momento che questo psicopatico impazzito agisce con una rapidità sconcertante. Non c’è cinefilia compiaciuta né nostalgia del passato e dei suoi miti in questa sfilata di cadaveri putrefatti esposti al sole. Con la loro scrittura classicheggiante, ma ricca di scarti e sottrazioni, deviazioni e stonature calcolate, i Coen arrivano allo zenith dell’immenso quadro della malevolenza umana dipinto con una sagacia da detrattori e una stupefacente carica di pessimismo cosmico che però non chiude i battenti alla speranza in extremis (ne è un esempio il personaggio della Macdonald, l’unico di risalto fra quelli femminili, simbolo della purezza interessata e dell’innocenza di per sé ignorante ma in fin dei conti anche discolpante). La pellicola coinvolge, fa aspettare, sorprende, perfino diverte, ma lascia dentro una sofferenza inesprimibile. Un colpo di genio che non va assolutamente trascurato è la decisione di inserire una colonna musicale praticamente assente: solo i rumori del deserto e della vita metropolitana scandiscono il tempo ritmico di questo capolavoro di abbondante sarcasmo e analisi autoreferenziale dell’homo sapiens inteso come animale disposto a versare sangue pur di ottenere i suoi obiettivi. Funzionale Brolin nella parte del protagonista fuggiasco: loquace, circospetto e propenso a correre tutti i rischi necessari per salvaguardare la sua preziosa refurtiva. Bravo anche T. L. Jones in un inconsueto ruolo positivo, ma pur sempre affiliato ad un’associazione, la quale, in questo caso, provvede all’ordine pubblico e garantisce (o almeno cerca di garantire) una sicurezza unanime e univoca. Oltre a Bardem, hanno ricevuto l’Oscar anche il film, i due registi e gli sceneggiatori, che hanno saputo trarre dalle pagine scritte di McCarthy un succo significativo che rasenta una profondità di sensi e sensazioni entrambi ugualmente carismatici e controversi. Due Golden Globe: sceneggiatura e Bardem.
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lina / mjolanda
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lunedì 25 febbraio 2008
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si fa presto a dire cinema
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Troppo facile rappresentare la morte che ti ossessiona in un mondo disumano. E proprio perchè è così facile, diventa invece difficilissimo trovare modi veri per dirlo. La verità, si sa, è banale, ma da migliaia di anni si cerca un modo per dirla senza farsi dimenticare. Questa era una buona occasione per sussurrare almeno un concetto, un pensiero, anche attraverso l'immagine (tutte cose che Chaplin ci ha già insegnato). E invece ci si vuole far credere che il senso di tutto stia solo nell'orrore dell'inseguimento e delle esecuzioni a massacro. Insufficiente il disincanto di Tommy Lee Jones, insufficiente il tentativo di furbizia del piccolo cow boy tentato dal denaro, inconsistente la sua giovane moglie.
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Troppo facile rappresentare la morte che ti ossessiona in un mondo disumano. E proprio perchè è così facile, diventa invece difficilissimo trovare modi veri per dirlo. La verità, si sa, è banale, ma da migliaia di anni si cerca un modo per dirla senza farsi dimenticare. Questa era una buona occasione per sussurrare almeno un concetto, un pensiero, anche attraverso l'immagine (tutte cose che Chaplin ci ha già insegnato). E invece ci si vuole far credere che il senso di tutto stia solo nell'orrore dell'inseguimento e delle esecuzioni a massacro. Insufficiente il disincanto di Tommy Lee Jones, insufficiente il tentativo di furbizia del piccolo cow boy tentato dal denaro, inconsistente la sua giovane moglie. Pewr lo meno Bardem è davvero grande. Gli auguro che questo Oscar gli porti il grande successo e i soldi che le pellicole precedenti (come dimenticarlo in "Mare dentro"?) non gli hanno garantito.
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roberto fiandaca
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sabato 1 marzo 2008
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non è un paese per sopravvissuti
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Il deserto è il protagonista del film: anche se rubi dei soldi, sopravvivendo a una sparatoria, e corri fino a trovare ristoro all'ombra d'un albero - oasi di tranquillità - non potrai che morire dissanguato per una ferita di cui non t'eri accorto, o di cui t'eri accorto, tanto cambia poco: inutili le illusioni, perché poi si muore. Ecco l'uomo: essere ferito in partenza, che non fa che scappare dal sole, cercando alberi all'ombra, portandosi dentro una ferita che lo dissangua lentamente, come il tempo che passa (Ricordate il principe di Salina del Gattopardo, e la linfa vitale che scorreva via...) Il protagonista è il deserto, quindi, cioè "l'infinita vanità del tutto". Il coprotagonista, altrettanto necessario, è il tempo: il divenire delle cose.
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Il deserto è il protagonista del film: anche se rubi dei soldi, sopravvivendo a una sparatoria, e corri fino a trovare ristoro all'ombra d'un albero - oasi di tranquillità - non potrai che morire dissanguato per una ferita di cui non t'eri accorto, o di cui t'eri accorto, tanto cambia poco: inutili le illusioni, perché poi si muore. Ecco l'uomo: essere ferito in partenza, che non fa che scappare dal sole, cercando alberi all'ombra, portandosi dentro una ferita che lo dissangua lentamente, come il tempo che passa (Ricordate il principe di Salina del Gattopardo, e la linfa vitale che scorreva via...) Il protagonista è il deserto, quindi, cioè "l'infinita vanità del tutto". Il coprotagonista, altrettanto necessario, è il tempo: il divenire delle cose. Solo nel divenire delle cose può esservi il nulla: solo se si ammette che il tempo passa, si può ammettere che le cose diventino nulla. E il divenire, nella poetica dei Coen, è sempre evidenziato dall'angoscia della corsa, dell'inseguimento, come già in Lebowski. Così i due registi hanno unito i due concetti, e n'è venuto fuori un capolavoro: un inseguimento nel deserto. Una corsa verso il mondo del "senso", cioè quello di una sognata felicità grazie a una valigetta piena di soldi, e una fuga dall'inevitabilità della morte (una morte allegorica quasi da "settimo sigillo", un infallibile gelido killer che uccide con vero godimento, che vuole quei soldi), cioè una fuga dal nulla. Ma non finisce qui, tra la vuotezza del nulla assoluto, e la vacuità di una felicità sognata, rimane qualcosa di vivo, almeno nella storia: la "nobil natura" (Leopardi, la ginestra) di chi guarda la morte, la accetta e la aspetta serenamente, senza passione necrofila, nè tantomeno isterici tentativi di fuga: uno sceriffo che accetta di dover morire un giorno, come già ha visto fare a suo padre. Uno sceriffo che capisce questo, e cammina non armato, quasi a non voler accrescere "le ire e gli odii fraterni, maggiori d'ogni altro danno", "alle miserie sue" (dell'uomo). E in un sogno lo sceriffo si vede superare dal padre, in una corsa a cavallo: sorpassato dal padre nella corsa verso la morte. Un sogno vivido di immagini allegoriche, che fanno sorridere la dolce moglie che lo ascolta. Ovvero: l'unica consolazione possibile, nella consapevolezza del nulla, è potere raccontare la visione stessa del nulla. Visione del nulla che Leopardi chiamava "opera di genio", quale sicuramente considerava la sua poesia, e quale sicuramente è anche il cinema dei Coen. Che non stupisca l'interesse dei due registi verso la tematica: se pensiamo a Lebowski, detto Drugo, buon babbeo che si vede privato, da parte di un gruppo di nichilisti, di un tappeto che dava tono al suo salotto, ci si trova di nuovo al centro dell'argomento, con un'altra forte allegoria: i nichilisti, la visione del nulla, priva il personaggio di quel tappeto che dava un tono alla stanza. Senza quel tappeto, la stanza è senza senso. Eccoci di nuovo davanti alla contrapposizione tra pieno e vuoto, tra epistème (verità come consolazione), e nulla (verità reale). Per ritrovare il suo tappeto, Lebowski si troverà partecipe di vicende assurde, e la causa si rivelerà ridicola. Ridere, quindi, è la soluzione al nulla offerta da "il grande lebowski". Sorridere, è quella di "non è un paese per vecchi", come sorride la moglie dello sceriffo ascoltandone il sogno. E il titolo? Nel nulla non si può invecchiare, non si è eterni. Non è un paese per sopravvissuti.
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