mardou_
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mercoledì 31 maggio 2017
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la banalità del male
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“Sul giornale di ieri è successo che c'è uno che porta a spasso il cane e viene aggredito, gli prendono orologio e portafogli e mentre giace sul marciapiede inerme, l'aggressore gli pugnala entrambi gli occhi.”
Ricordate queste parole..?Erano la triste considerazione di Morgan Freeman, alias William Somerset,saggio detective che ad una settimana dalla pensione si trovava ad indagare su un killer seriale nell’indimenticabile “Seven” di David Fincher (1995).
Ormai rassegnato di fronte alle atrocità del mondo, Somerset non riusciva più a capire ed a trovare una spiegazione alla banalità del male che è tutto intorno a noi.
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“Sul giornale di ieri è successo che c'è uno che porta a spasso il cane e viene aggredito, gli prendono orologio e portafogli e mentre giace sul marciapiede inerme, l'aggressore gli pugnala entrambi gli occhi.”
Ricordate queste parole..?Erano la triste considerazione di Morgan Freeman, alias William Somerset,saggio detective che ad una settimana dalla pensione si trovava ad indagare su un killer seriale nell’indimenticabile “Seven” di David Fincher (1995).
Ormai rassegnato di fronte alle atrocità del mondo, Somerset non riusciva più a capire ed a trovare una spiegazione alla banalità del male che è tutto intorno a noi.Come porsi di fronte ad una tale degenerazione?
Questa la sua conclusione: “Hemingway ha detto: -Il mondo è un bel posto e vale la pena lottare per esso.-Condivido la seconda parte.”
Alle medesime riflessioni giunge Tommy Lee Jones, lo sceriffo Tom Bell di “No Country for Old Men”, incapace di fermare l’escalation di violenza che segue alla scomparsa di una valigetta contenente due milioni di dollari…
In un paese senza nome al confine tra Texas e Messico, emergono tutta la follia e le contraddizioni del nostro presente, in cui non c'è distinzione tra Buoni e Cattivi, la vita non conta nulla ma la si può perdere giocando a testa o croce o barattare con una camicia…
Non sembrano esistere sentimenti umani che non siano dettati dall’ira, dall’egoismo e dalla sete di denaro…il mondo è tutt’altro che un bel posto.
La tensione e la drammaticità del racconto vengono spezzati da scene e personaggi che hanno del grottesco: viene quasi da sorridere per il taglio di capelli dello psicopatico Javier Bardem o per il personaggio caricaturale della suocera del protagonista, chiave di volta del corso degli eventi…
I fratelli Coen si sono ispirati all’omonimo romanzo di Cormac McCarthy per dar vita ad una commedia nera, asciutta e desolata come il deserto in cui si muovono i suoi protagonisti.L'assenza quasi totale della colonna sonora contribuisce a rendere questa pellicola una pillola amara, difficile da ingoiare.
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theallessioo
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sabato 28 novembre 2020
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... occorre l'unica chiave di lettura giusta per capirlo
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... se si presta bene attenzione, si può scorgere un unica trama di fondo che lega i film di questi registi; questa non è sempre in risalto, spesso la si può intendere nascosta dietro l'ironia (Grande Lebowsky...), la comicità (Lady K...), il thriller (Burn After...), altre volte proprio più in primo piano (A Serious...). Quello che accadde a me, è di intenderla, dopo averla intravista nel più conosciuto "Il Grande Lebowsky" ed erroneamente famoso per la sua ironia, in questo nodo del tessuto significatico: "Non è un paese per vecchi". Ad occhi di persone che avranno sicuramente avuto una vita "beata", tutto sembrerà scorrere senza particolari significati, una storia di violenza come ce ne sono tante.
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... se si presta bene attenzione, si può scorgere un unica trama di fondo che lega i film di questi registi; questa non è sempre in risalto, spesso la si può intendere nascosta dietro l'ironia (Grande Lebowsky...), la comicità (Lady K...), il thriller (Burn After...), altre volte proprio più in primo piano (A Serious...). Quello che accadde a me, è di intenderla, dopo averla intravista nel più conosciuto "Il Grande Lebowsky" ed erroneamente famoso per la sua ironia, in questo nodo del tessuto significatico: "Non è un paese per vecchi". Ad occhi di persone che avranno sicuramente avuto una vita "beata", tutto sembrerà scorrere senza particolari significati, una storia di violenza come ce ne sono tante... ma sin dalle prime inquadrature, dalla colonna sonora e dal simbolismo, si pùò sospettare che ci sia dell'altro che questo film voglia comunicare. Perchè allora così criptico?... perchè il messaggio è una sorta di messaggio incomunicabile esplicitamente, che perderebbe significato se non fosse trasmesso attraverso l'unico strumento giusto: il cinema. Il messaggio che con incredulità ho scorto unendo i nodi della trama di fondo, è, in sintesi, un monito per quello che è la vita realmente: un intrigo di azioni compiute da persone, mosse da malriposte considerazioni e pregiudizi sulle altrui intenzioni, razionalizzazioni che approssimano male la realtà, tutte con l'idea di avere il controllo sulle cose, quando in realtà l'unica legge che governa è l'aleatorietà di ogni cosa: la casualità. Per quanto il primo falso-protagonista Llewelyn, cerchi di prestare attenzione ad ogni dettaglio, gli sfugge sempre qualcosa, il destino sembra remargli contro da quando ha trovato quella maledetta borsa piena di soldi. Meglio forse dire valigetta... Dall'altra parte, il "nemico" e secondo falso-protagonista Chigurh, pondera bene ogni azione, valutando ad ogni passo di non sporcarsi mai le scarpe e non lasciare alcuna traccia che possa far risalire a lui, e calcolando bene tutti i fattori che possono intercorrere ed intraporsi tra lui ed il suo obiettivo... i soldi della valigietta. Il terzo-falso protagonista, lo scieriffo che disgraziatamente deve indagare, perepisce di avere a che fare con qualcosa più grande di lui, di immondo, tanto da aver paura di rimetterci l'anima nel far parte di quel gioco. Le vicende scorrono così, sempre a vantaggio di Chigurh che scofigge anche l'assoluta razionalità e calcolo di Carson Wells, un risolvi-problemi alla Mr.Wolf ingaggiato dai Messicani, dopo aver arruolato il traditore (...traditore ? ? ? ... ma non è detto che lo sia stato, almeno non secondo la sua natura) Chigurh, per recuperare la valigetta da quest'ultimo. Tutto sembra andare per il verso giusto per Chigurh, ma commette un errore: uccide una persona che nemmeno la moneta che è solito lanciare per far sciegliere al caso se dare un ultima possibilità a chi interferisce con lui, aveva facoltà di uccidere: questa persona rappresenta la devozione a Dio e la speranza del mondo di persone che non seguono la scia del denaro. Uccisa questa persona, controllatosi che gli stivali non fossero sporchi di sangue, Chigurh incontra il karma, il caso (... il caso o un intervento divino?) che finora a ben esorcizzato, lo tradisce e gli fa piombare addosso un auto ad un incrocio. Ne esce con un osso del braccio fuori e mal ridotto, ma riesce comunque a ritrovare la sua via maledetta quando due ragazzini che hanno visto l'incidente lo aiutano regalandogli la camicia di uno dei due... Chigurh insiste perchè questo prenda dei soldi in cambio, ghignando ed insistendo perchè lo faccia, poi si allontana. I ragazzini iniziano a litigare per dividersi i soldi... e da li chissa quante altre cose faranno per i soldi nel loro futuro. Ora si è capito chi sono i due veri protagonisti del film?
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theallessioo
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sabato 28 novembre 2020
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...occorre la giust chiave di lettura per capire..
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... se si presta bene attenzione, si può scorgere un unica trama di fondo che lega i film di questi registi; questa non è sempre in risalto, spesso la si può intendere nascosta dietro l'ironia (Grande Lebowsky...), la comicità (Lady K...), il thriller (Burn After...), altre volte proprio più in primo piano (A Serious...). Quello che accadde a me, è di intenderla, dopo averla intravista nel più conosciuto "Il Grande Lebowsky" ed erroneamente famoso per la sua ironia, in questo nodo del tessuto significatico: "Non è un paese per vecchi".
Ad occhi di persone che avranno sicuramente avuto una vita "beata", tutto sembrerà scorrere senza particolari significati, una storia di violenza come ce ne sono tante.
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... se si presta bene attenzione, si può scorgere un unica trama di fondo che lega i film di questi registi; questa non è sempre in risalto, spesso la si può intendere nascosta dietro l'ironia (Grande Lebowsky...), la comicità (Lady K...), il thriller (Burn After...), altre volte proprio più in primo piano (A Serious...). Quello che accadde a me, è di intenderla, dopo averla intravista nel più conosciuto "Il Grande Lebowsky" ed erroneamente famoso per la sua ironia, in questo nodo del tessuto significatico: "Non è un paese per vecchi".
Ad occhi di persone che avranno sicuramente avuto una vita "beata", tutto sembrerà scorrere senza particolari significati, una storia di violenza come ce ne sono tante... ma sin dalle prime inquadrature, dalla colonna sonora e dal simbolismo, si pùò sospettare che ci sia dell'altro che questo film voglia comunicare.
Perchè allora così criptico?... perchè il messaggio è una sorta di messaggio incomunicabile esplicitamente, che perderebbe significato se non fosse trasmesso attraverso l'unico strumento giusto: il cinema. Il messaggio che con incredulità ho scorto unendo i nodi della trama di fondo, è, in sintesi, un monito per quello che è la vita realmente: un intrigo di azioni compiute da persone, mosse da malriposte considerazioni e pregiudizi sulle altrui intenzioni, razionalizzazioni che approssimano male la realtà, tutte con l'idea di avere il controllo sulle cose, quando in realtà l'unica legge che governa è l'aleatorietà di ogni cosa: la casualità.
Per quanto il primo falso-protagonista Llewelyn, cerchi di prestare attenzione ad ogni dettaglio, gli sfugge sempre qualcosa, il destino sembra remargli contro da quando ha trovato quella maledetta borsa piena di soldi. Meglio forse dire valigetta... Dall'altra parte, il "nemico" e secondo falso-protagonista Chigurh, pondera bene ogni azione, valutando ad ogni passo di non sporcarsi mai le scarpe e non lasciare alcuna traccia che possa far risalire a lui, e calcolando bene tutti i fattori che possono intercorrere ed intraporsi tra lui ed il suo obiettivo... i soldi della valigietta. Il terzo-falso protagonista, lo scieriffo che disgraziatamente deve indagare, perepisce di avere a che fare con qualcosa più grande di lui, di immondo, tanto da aver paura di rimetterci l'anima nel far parte di quel gioco.
Le vicende scorrono così, sempre a vantaggio di Chigurh che scofigge anche l'assoluta razionalità e calcolo di Carson Wells, un risolvi-problemi alla Mr.Wolf ingaggiato dai Messicani, dopo aver arruolato il traditore (...traditore ? ? ? ... ma non è detto che lo sia stato, almeno non secondo la sua natura) Chigurh, per recuperare la valigetta da quest'ultimo. Tutto sembra andare per il verso giusto per Chigurh, ma commette un errore: uccide una persona che nemmeno la moneta che è solito lanciare per far sciegliere al caso se dare un ultima possibilità a chi interferisce con lui, aveva facoltà di uccidere: questa persona rappresenta la devozione a Dio e la speranza del mondo di persone che non seguono la scia del denaro. Uccisa questa persona, controllatosi che gli stivali non fossero sporchi di sangue, Chigurh incontra il karma, il caso (... il caso o un intervento divino?) che finora a ben esorcizzato, lo tradisce e gli fa piombare addosso un auto ad un incrocio.
Ne esce con un osso del braccio fuori e mal ridotto, ma riesce comunque a ritrovare la sua via maledetta quando due ragazzini che hanno visto l'incidente lo aiutano regalandogli la camicia di uno dei due... Chigurh insiste perchè questo prenda dei soldi in cambio, ghignando ed insistendo perchè lo faccia, poi si allontana.
I ragazzini iniziano a litigare per dividersi i soldi... e da li chissa quante altre cose faranno per i soldi nel loro futuro.
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tom cine
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giovedì 18 marzo 2021
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avidità, soldi e follia
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Molto tempo dopo aver realizzato quel capolavoro che è “Fargo”, i fratelli Cohen tornarono ad affrontare il thriller con questo “Non è un paese per vecchi”: rispetto al film precedente, che era tratto da una sceneggiatura originale che rielaborava vari fatti di cronaca, questo è tratto da un romanzo di Cormac McCarthy, ma è un film altrettanto memorabile e solido. In entrambi i film l’avidità di ricchezza (e di potere, perché il denaro lo fa guadagnare: qui, addirittura, vengono affidate le sorti di alcuni personaggi al lancio di una moneta) muove le fila della vicenda, ma la diversa ambientazione e, soprattutto, la diversa origine delle due storie ne rende differenti i toni.
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Molto tempo dopo aver realizzato quel capolavoro che è “Fargo”, i fratelli Cohen tornarono ad affrontare il thriller con questo “Non è un paese per vecchi”: rispetto al film precedente, che era tratto da una sceneggiatura originale che rielaborava vari fatti di cronaca, questo è tratto da un romanzo di Cormac McCarthy, ma è un film altrettanto memorabile e solido. In entrambi i film l’avidità di ricchezza (e di potere, perché il denaro lo fa guadagnare: qui, addirittura, vengono affidate le sorti di alcuni personaggi al lancio di una moneta) muove le fila della vicenda, ma la diversa ambientazione e, soprattutto, la diversa origine delle due storie ne rende differenti i toni. In “Fargo”, ambientato in un nevoso North Dakota, l’umorismo nero prevale sugli aspetti più crudi ed il parziale pessimismo era moderato dal personaggio principale, una poliziotta incinta e di sani principi contrapposta ad un trio di balordi criminali. In “Non è un paese per vecchi”, dove l’azione si svolge in una assolata e arida zona di frontiera al confine tra il Messico e gli Stati Uniti, il pessimismo del testo di partenza prevale sugli aspetti umoristici (pur presenti e sempre tinti di nero) e nessuno dei personaggi coinvolti è esente da zone d’ombra.
Tutto parte dal ritrovamento di una valigetta piena di dollari da parte di Llewelyn Moss, un ex-saldatore, reduce del Vietnam, che finisce col trovarsi, durante una battuta di caccia, nel mezzo di quello che resta di una sparatoria tra narcotrafficanti. L’uomo, accecato dall’avidità, pensa bene di trafugare la valigetta e fuggire negli Stati Uniti per darsi alla “bella vita” insieme alla giovanissima compagna. Finirà in un sanguinoso incubo: sulle sue tracce si metteranno un sicario molto più che spietato ed uno sceriffo che (sia pur riluttante a farsi coinvolgere) tenterà comunque di salvare Moss e di fermare la scia di sangue.
Questo film dei fratelli Cohen non è soltanto una semplice e riuscita trasposizione di un romanzo comunque interessante : è un film pessimista, ma anche eccellente e dove la tensione viene mantenuta così alta, per tutta la sua lunga durata (poco più di due ore),da toccare perfino punte di disagio. Ed è anche un film visivamente molto forte dove la violenza, che permea anche le scene apparentemente più tranquille del film, raggiunge dei picchi di inusitata brutalità in parecchi punti (la sequenza in cui Llewelyn si aggira in mezzo ai cadaveri, tutti i momenti che mostrano in azione il sicario) e dove gli spogli e assolati paesaggi, che sembrano alludere all’aridità morale di Moss e della sua nemesi, ne amplificano l’impatto. I paesaggi hanno un ruolo fondamentale anche e soprattutto nell’impatto della tensione, suggerendo (benissimo) la sensazione che non esistono, in questo film, posti in cui ci si possa nascondere. Anche le scenografie degli interni non sono da meno: basti pensare all’angusta roulotte del protagonista, oppure alle altrettanto anguste stanze del motel nel quale si svolgono alcune scene importanti. Non è da sottovalutare nemmeno, nella riuscita di questa atmosfera angosciante, l’apporto sonoro. E qui bisogna sfatare una leggenda: la colonna sonora non è inesistente nel film, c’è (la firmò Carter Burwell), ma è minimalista e non invasiva, non ha mai la prevalenza sulle immagini e rimane volutamente sottotono. Viene dato, invece, un grande spazio ai silenzi ed il risultato di questa scelta è uno degli espedienti più riusciti, soprattutto quando è in scena il terribile killer pazzo interpretato da un memorabile Javier Bardem: le sue pause (e i suoi sguardi) durante i suoi deliranti dialoghi fanno aggrovigliare le viscere dello stomaco. A parte Bardem, bravissimo nel donare movenze davvero minacciose al personaggio del sicario, accentuandone gli aspetti brutali e imprevedibili che lo fanno addirittura giganteggiare sugli altri personaggi ,trasformandolo in una minaccia implacabile e spesso letale (nel cinema, oltre ai volti, contano anche i corpi), anche il resto del cast è altrettanto eccellente, cominciando (soprattutto) da Tommy Lee Jones che, con il suo volto scavato, riesce a suggerire l’amarezza e la disillusione dello sceriffo (un uomo invecchiato e messo davanti ad un mondo che non riesce più a comprendere e nemmeno ad accettare) e finendo con Josh Brolin alle prese con il personaggio di Llewelyn Moss, di cui riesce a mettere bene in risalto l’irresponsabile immaturità, il cinismo e la profonda debolezza di carattere. Gli interpreti sono ben aiutati da una splendida sceneggiatura che riesce anche a tratteggiare un sottile parallelismo fra la psicologia di Moss e quella della sua nemesi riuscendo a far trapelare, senza mai essere pedante, il monito della storia: fra la cieca bramosia di denaro e la follia più sadica e brutale non c’è che un passo.
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tom cine
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giovedì 18 marzo 2021
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avidità, soldi e follia
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Molto tempo dopo aver realizzato quel capolavoro che è “Fargo”, i fratelli Coen tornarono ad affrontare il thriller con questo “Non è un paese per vecchi”: rispetto al film precedente, che era tratto da una sceneggiatura originale che rielaborava vari fatti di cronaca, questo è tratto da un romanzo di Cormac McCarthy, ma è un film altrettanto memorabile e solido. In entrambi i film l’avidità di ricchezza (e di potere, perché il denaro lo fa guadagnare: qui, addirittura, vengono affidate le sorti di alcuni personaggi al lancio di una moneta) muove le fila della vicenda, ma la diversa ambientazione e, soprattutto, la diversa origine delle due storie ne rende differenti i toni.
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Molto tempo dopo aver realizzato quel capolavoro che è “Fargo”, i fratelli Coen tornarono ad affrontare il thriller con questo “Non è un paese per vecchi”: rispetto al film precedente, che era tratto da una sceneggiatura originale che rielaborava vari fatti di cronaca, questo è tratto da un romanzo di Cormac McCarthy, ma è un film altrettanto memorabile e solido. In entrambi i film l’avidità di ricchezza (e di potere, perché il denaro lo fa guadagnare: qui, addirittura, vengono affidate le sorti di alcuni personaggi al lancio di una moneta) muove le fila della vicenda, ma la diversa ambientazione e, soprattutto, la diversa origine delle due storie ne rende differenti i toni. In “Fargo”, ambientato in un nevoso North Dakota, l’umorismo nero prevale sugli aspetti più crudi ed il parziale pessimismo era moderato dal personaggio principale, una poliziotta incinta e di sani principi contrapposta ad un trio di balordi criminali. In “Non è un paese per vecchi”, dove l’azione si svolge in una assolata e arida zona di frontiera al confine tra il Messico e gli Stati Uniti, il pessimismo del testo di partenza prevale sugli aspetti umoristici (pur presenti e sempre tinti di nero) e nessuno dei personaggi coinvolti è esente da zone d’ombra.
Tutto parte dal ritrovamento di una valigetta piena di dollari da parte di Llewelyn Moss, un ex-saldatore, reduce del Vietnam, che finisce col trovarsi, durante una battuta di caccia, nel mezzo di quello che resta di una sparatoria tra narcotrafficanti. L’uomo, accecato dall’avidità, pensa bene di trafugare la valigetta e fuggire negli Stati Uniti per darsi alla “bella vita” insieme alla giovanissima compagna. Finirà in un sanguinoso incubo: sulle sue tracce si metteranno un sicario molto più che spietato ed uno sceriffo che (sia pur riluttante a farsi coinvolgere) tenterà comunque di salvare Moss e di fermare la scia di sangue.
Questo film dei fratelli Coen non è soltanto una semplice e riuscita trasposizione di un romanzo comunque interessante : è un film pessimista, ma anche eccellente e dove la tensione viene mantenuta così alta, per tutta la sua lunga durata (poco più di due ore),da toccare perfino punte di disagio. Ed è anche un film visivamente molto forte dove la violenza, che permea anche le scene apparentemente più tranquille del film, raggiunge dei picchi di inusitata brutalità in parecchi punti (la sequenza in cui Llewelyn si aggira in mezzo ai cadaveri, tutti i momenti che mostrano in azione il sicario) e dove gli spogli e assolati paesaggi, che sembrano alludere all’aridità morale di Moss e della sua nemesi, ne amplificano l’impatto. I paesaggi hanno un ruolo fondamentale anche e soprattutto nell’impatto della tensione, suggerendo (benissimo) la sensazione che non esistono, in questo film, posti in cui ci si possa nascondere. Anche le scenografie degli interni non sono da meno: basti pensare all’angusta roulotte del protagonista, oppure alle altrettanto anguste stanze del motel nel quale si svolgono alcune scene importanti. Non è da sottovalutare nemmeno, nella riuscita di questa atmosfera angosciante, l’apporto sonoro. E qui bisogna sfatare una leggenda: la colonna sonora non è inesistente nel film, c’è (la firmò Carter Burwell), ma è minimalista e non invasiva, non ha mai la prevalenza sulle immagini e rimane volutamente sottotono. Viene dato, invece, un grande spazio ai silenzi ed il risultato di questa scelta è uno degli espedienti più riusciti, soprattutto quando è in scena il terribile killer pazzo interpretato da un memorabile Javier Bardem: le sue pause (e i suoi sguardi) durante i suoi deliranti dialoghi fanno aggrovigliare le viscere dello stomaco. A parte Bardem, bravissimo nel donare movenze davvero minacciose al personaggio del sicario, accentuandone gli aspetti brutali e imprevedibili che lo fanno addirittura giganteggiare sugli altri personaggi ,trasformandolo in una minaccia implacabile e spesso letale (nel cinema, oltre ai volti, contano anche i corpi), anche il resto del cast è altrettanto eccellente, cominciando (soprattutto) da Tommy Lee Jones che, con il suo volto scavato, riesce a suggerire l’amarezza e la disillusione dello sceriffo (un uomo invecchiato e messo davanti ad un mondo che non riesce più a comprendere e nemmeno ad accettare) e finendo con Josh Brolin alle prese con il personaggio di Llewelyn Moss, di cui riesce a mettere bene in risalto l’irresponsabile immaturità, il cinismo e la profonda debolezza di carattere. Gli interpreti sono ben aiutati da una splendida sceneggiatura che riesce anche a tratteggiare un sottile parallelismo fra la psicologia di Moss e quella della sua nemesi riuscendo a far trapelare, senza mai essere pedante, il monito della storia: fra la cieca bramosia di denaro e la follia più sadica e brutale non c’è che un passo.
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gianleo67
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giovedì 27 luglio 2023
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eterotopia di un massacro
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Una valigetta con un paio di milioni di dollari sottratta dalla scena di uno scontro tra cartelli in cui si imbatte casualmente nel deserto texano, costringe Llewelyn Moss a sfuggire alle attenzioni di un implacabile sicario psicopatico. Le scelte dell'uomo si ripercuotono su quelle della moglie obbligata a rifugiarsi altrove e dello sceriffo della contea che si avventura in una infruttuosa caccia all'uomo, sempre un passo indietro rispetto all'inafferrabile fantasma cui da la caccia. Il tema del caso e del destino, facce della stessa medaglia di una condizione umana schiava del perverso meccanismo innescato alle proprie passioni, esplorato dai fratelli Coen nel loro precedente trittico (Blood Simple, Raising Arizona e Fargo) incontra qui felicemente la poetica della nuova frontiera di un grande romanziere americano, capace di disclocare la propria visione antropologica sulle grandi forze motrici della storia dell'uomo sullo snodo liminare di un non-luogo di confine e sul volgere di un passaggio generazionale che non fa altro che rinnovare un cupio dissolvi vecchio come il cucco.
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Una valigetta con un paio di milioni di dollari sottratta dalla scena di uno scontro tra cartelli in cui si imbatte casualmente nel deserto texano, costringe Llewelyn Moss a sfuggire alle attenzioni di un implacabile sicario psicopatico. Le scelte dell'uomo si ripercuotono su quelle della moglie obbligata a rifugiarsi altrove e dello sceriffo della contea che si avventura in una infruttuosa caccia all'uomo, sempre un passo indietro rispetto all'inafferrabile fantasma cui da la caccia. Il tema del caso e del destino, facce della stessa medaglia di una condizione umana schiava del perverso meccanismo innescato alle proprie passioni, esplorato dai fratelli Coen nel loro precedente trittico (Blood Simple, Raising Arizona e Fargo) incontra qui felicemente la poetica della nuova frontiera di un grande romanziere americano, capace di disclocare la propria visione antropologica sulle grandi forze motrici della storia dell'uomo sullo snodo liminare di un non-luogo di confine e sul volgere di un passaggio generazionale che non fa altro che rinnovare un cupio dissolvi vecchio come il cucco. Se la lettura a più livelli della novel di McCarthy mette in rilievo in modo preminente una dinamica preda-cacciatore destinata più volte a ribaltarsi e più ancora le tematiche morali che impongono all'attenzione dell'uomo la presenza del male del mondo (qui incarnate dal killer sulfureo impersonato da Bardem e dotato di un codice etico che nella sua apparente insensatezza tenta di dare un ordine al caos o di assecondarne comunque l'arbitrarietà), l'adattamento quasi filologico dei fratelli Coen si rivela tale soprattutto nella scelta di un'ambientazione eterotopica come quella del confine tex-mex, con i suoi orizzonti sconfinati privi di riconoscibili riferimenti cardinali, con i suoi intercambiabili insediamenti urbani la cui ubicazione trova un senso solo nella reciproca disposizione topografica e con la infinita teoria di motel tutti uguali a punteggiare il margine estremo di periferie suburbane che gli infiniti rettilinei di anonime interstatali raccordano tra loro. Un non-luogo si diceva, che come tutte le zone di frizione geografica e culturale rappresentano superfici di faglia dove le tensioni si accumulano fino all'inevitabile punto di rottura, dove il rispetto delle leggi diventa un concetto estremanete fluido e dove persino i mezzi di offesa o di difesa sono eterodossi o anticonvenzionali (pistole ad aria, silenziatori artigianali, fucili accorciati col seghetto) a testimonianza di una vera e propria singolarità topologica, un luogo dove reale ed irreale (iperreale) si mescolano inestricabilmente e dove una serie di personaggi dall'indefinito pedegree professionale (ex reduci, ex militari, scagnozzi del cartello e battitori liberi) attraversano la scena ciascuno diretto al proprio inesorabile destino di sangue da un fato predeterminato da quello che sono stati in tutti i santi giorni che hanno preceduto il momento attuale ("Questa tua idea di ricominciare daccapo [...] Non si ricomincia mai daccapo. Ecco qual'è il problema, Ogni passo che fai è per sempre"). Due antagonisti speculari (uno spietato sicario che uccide sempre quando può ed un cacciatore-saldatore che evita sempre di farlo) e tra i due uno sceriffo con qualche incoffessato senso di colpa ed una conclamata disillusione ridotto al rango di spettatore (non incrocerà mai i due) sono i tre termini in cui si articola un discorso sull'illusorietà delle scelte e l'ineluttabilità di un destino di morte che come si diceva, lungi dal segnare il passo di una biasimata trasformazione generazionale, finisce per riproporre con ciclico nichilismo l'assurdità della condizione umana. Quattro Oscar per migliori film, regia, sceneggiatura (ai fratelli Coen ed al co-produttore Scott Rudin) e miglior attore non protagonista (Bardem, primo attore spagnolo a vincerlo) per un'opera che ha mancato la Palma d'oro a Cannes e che vanta un casting decisamente azzeccato per i ruoli disegnati dai personaggi di McCarthy; tra cui persino un, come al solito, gigione Woody Harrelsons figlio di quel Charles Voyde Harrelson, sicario ed autore dell'assassinio del giudice John Howland Wood la cui menzione trova eco tanto nel film quanto nell'opera letteraria. Quando si dice avere il destino nel sangue.
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jonnylogan
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giovedì 17 ottobre 2024
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storie di confine
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Un intreccio in perenne bilico fra il thriller e la narrazione surreale al quale l'autore di Providence (Cormac McCarthy) ha contribuito in qualità di co - sceneggiatore, per dare vita ai personaggi che gli permisero di vincere il Premio Pulitzer del 2007. Se però eravate rimasti entusiasti da pellicole precedenti messe in scena dalla coppia di registi fra le più celebri del mondo del cinema degli ultimi quarant'anni, forse come noi ne rimarrete delusi, o almeno interdetti di fronte alle evoluzioni di un sicario con le sembianze di Javier Berdem, degno erede del mostro di Milwaukee, che per errore è passato fra le forche caudine di un barbiere disturbato mentalmente tanto quanto lui.
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Un intreccio in perenne bilico fra il thriller e la narrazione surreale al quale l'autore di Providence (Cormac McCarthy) ha contribuito in qualità di co - sceneggiatore, per dare vita ai personaggi che gli permisero di vincere il Premio Pulitzer del 2007. Se però eravate rimasti entusiasti da pellicole precedenti messe in scena dalla coppia di registi fra le più celebri del mondo del cinema degli ultimi quarant'anni, forse come noi ne rimarrete delusi, o almeno interdetti di fronte alle evoluzioni di un sicario con le sembianze di Javier Berdem, degno erede del mostro di Milwaukee, che per errore è passato fra le forche caudine di un barbiere disturbato mentalmente tanto quanto lui.
Una pellicola che sa affascinare per la trama, ma che si perde in manierismi fatti di battute fuori luogo e di una lentezza minimalista che si presenta in maniera quasi sempre inaspettata e film che a fine visione non rimane scolpito nelle menti di chi si era atteso un nuovo Il Grande Lebowsky (The Big Lebowsky; 1998) o una rivisitazione a colori de L’Uomo che non c’era (The Man Who Wasn't There; 2001) e che forse rimarrà deluso a causa della scelta dei due fratelli originari del Minnesota, di rientrare negli schemi. Di non sfidare il genere che spesso, anzi quasi sempre, nel loro caso è puramente autoreferenziale. Ma semplicemente affidandosi alla rilettura del romanzo di McCarthy. Riuscendo comunque, e come sempre, a confezionare una sapiente prova di regia, in cui il paesaggio “lunare”, come solo quello della frontiera USA può essere, è sottolineato da un uso capillare della fotografia firmata da Roger Deakins. Enfatizzando la lotta giornaliera in cui si trovano immersi i tutori della legge, per i quali il traffico di droga ha preso ormai il posto del desueto traffico di bestiame. E sottolinenando il degrado nel quale è scivolata la vita dei reduci del Vietnam. Il tutto assistiti da un cast di alto profilo, nel quale svettano il già citato Bardem e Tommy Lee Jones, nel ruolo di uno sceriffo in piena crisi a causa del suo prossimo pensionamento.
Già dal successivo Burn After Reading (id.; 2008) i Coen seppero offrire qualche cosa di meno conformista e standardizzato, anche se in grado di fargli raccogliere incassi al solito faraonici e fargli vincere ben quattro statuette Oscar.
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maxgat88
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venerdì 28 marzo 2008
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non è un paese per ignoranti
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Un film che riesce a combinare perfettamente sangue, violenza ed etica in cui lo spettatore si ferma al livello che vuole.
Se ci si vuol vedere Tarantino, lo si può fare, ma se ci si vogliono vedere i fratelli Coen allora c'è da ragionarci molto di più.
Il grande capolavoro in regia è innanzitutto per la costruzione del protagonista: chi è il vero protagonista?
Ognuno si sceglie la parte che vuole e se avevate all'inizio del film puntato tutto su Josh Brolin, non vi siete di certo emozionati quando è morto, perchè in fondo non era lui il vero protagonista e c'era dentro di voi qualcosa che ve lo diceva.
La fine è quindi tragica: senza un protagonista in un mondo senza regole in cui il pazzo psicopatico Javier Bardem (Bravissimo.
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Un film che riesce a combinare perfettamente sangue, violenza ed etica in cui lo spettatore si ferma al livello che vuole.
Se ci si vuol vedere Tarantino, lo si può fare, ma se ci si vogliono vedere i fratelli Coen allora c'è da ragionarci molto di più.
Il grande capolavoro in regia è innanzitutto per la costruzione del protagonista: chi è il vero protagonista?
Ognuno si sceglie la parte che vuole e se avevate all'inizio del film puntato tutto su Josh Brolin, non vi siete di certo emozionati quando è morto, perchè in fondo non era lui il vero protagonista e c'era dentro di voi qualcosa che ve lo diceva.
La fine è quindi tragica: senza un protagonista in un mondo senza regole in cui il pazzo psicopatico Javier Bardem (Bravissimo...) riesce perfino a pagare una camicia che un bambino gli avrebbe volentieri regalato vedendo che sanguinava.
E la conclusione è degna e svela tutto questo sottile gioco dietro al film: non è un paese per vecchi, ovvero non bisogna farsi illusioni, è finito il tempo degli happy endings inizia il tempo vero, quello del mondo e del sangue.
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[+] bravo
(di roberto fiandaca)
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(di zopiro)
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(di erre)
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marc
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venerdì 4 aprile 2008
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Recensione banale....
;-)
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(di light)
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gianfri
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venerdì 9 maggio 2008
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la lucida follia di bardem è troppo anche per il v
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Non è un paese per vecchi e da quanto si vede neanche per giovani visto che in questo film non si salva nessuno e di bambini non se ne vedono. Bardem è uno psicopatico che usa come arma una pistola ad aria compressa come quella che usano per macellare i buoi. Un texano tutto d’un pezzo s’imbatte per caso in un bell’osso (20 milioni di dollari) frutto di una vendita di droga degenerata in una carneficina e non lo vuole mollare per nessun motivo. Ma l’osso è di gente molto cattiva specialmente di uomo dai lineamenti indio e da un improbabile pettinatura stile beat anni sessanta. Così inizia la sfida, per la verità giocata molto bene anche dal rude texano, che da bravo cacciatore sa come difendersi; fa scappare la moglie e con il valigione pieno di soldi inizia la fuga.
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Non è un paese per vecchi e da quanto si vede neanche per giovani visto che in questo film non si salva nessuno e di bambini non se ne vedono. Bardem è uno psicopatico che usa come arma una pistola ad aria compressa come quella che usano per macellare i buoi. Un texano tutto d’un pezzo s’imbatte per caso in un bell’osso (20 milioni di dollari) frutto di una vendita di droga degenerata in una carneficina e non lo vuole mollare per nessun motivo. Ma l’osso è di gente molto cattiva specialmente di uomo dai lineamenti indio e da un improbabile pettinatura stile beat anni sessanta. Così inizia la sfida, per la verità giocata molto bene anche dal rude texano, che da bravo cacciatore sa come difendersi; fa scappare la moglie e con il valigione pieno di soldi inizia la fuga. Ma lo psicopatico, caratterizzato anche da un stivaletto cow-boy a punta da cineteca, non gli toglie il fiato dal collo ammazzando lungo il percorso tutti quelli che incontra compreso il biondo Harlesson ormai non più cattivo come ai tempi di “Natural Born Killer” che si improvvisa il risolutore della situazione ma fallisce. Tutto scorre sotto l’occhio esperto del vecchio sceriffo (Tommy Lee Jones) che ricordando i bei tempi andati di quando gli sceriffi non avevano neanche la pistola capisce che è giunta l’ora di andare in pensione.
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[+] bene
(di paleutta)
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(di paleutta)
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