roberto fiandaca
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sabato 1 marzo 2008
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non è un paese per sopravvissuti
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Il deserto è il protagonista del film: anche se rubi dei soldi, sopravvivendo a una sparatoria, e corri fino a trovare ristoro all'ombra d'un albero - oasi di tranquillità - non potrai che morire dissanguato per una ferita di cui non t'eri accorto, o di cui t'eri accorto, tanto cambia poco: inutili le illusioni, perché poi si muore. Ecco l'uomo: essere ferito in partenza, che non fa che scappare dal sole, cercando alberi all'ombra, portandosi dentro una ferita che lo dissangua lentamente, come il tempo che passa (Ricordate il principe di Salina del Gattopardo, e la linfa vitale che scorreva via...) Il protagonista è il deserto, quindi, cioè "l'infinita vanità del tutto". Il coprotagonista, altrettanto necessario, è il tempo: il divenire delle cose.
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Il deserto è il protagonista del film: anche se rubi dei soldi, sopravvivendo a una sparatoria, e corri fino a trovare ristoro all'ombra d'un albero - oasi di tranquillità - non potrai che morire dissanguato per una ferita di cui non t'eri accorto, o di cui t'eri accorto, tanto cambia poco: inutili le illusioni, perché poi si muore. Ecco l'uomo: essere ferito in partenza, che non fa che scappare dal sole, cercando alberi all'ombra, portandosi dentro una ferita che lo dissangua lentamente, come il tempo che passa (Ricordate il principe di Salina del Gattopardo, e la linfa vitale che scorreva via...) Il protagonista è il deserto, quindi, cioè "l'infinita vanità del tutto". Il coprotagonista, altrettanto necessario, è il tempo: il divenire delle cose. Solo nel divenire delle cose può esservi il nulla: solo se si ammette che il tempo passa, si può ammettere che le cose diventino nulla. E il divenire, nella poetica dei Coen, è sempre evidenziato dall'angoscia della corsa, dell'inseguimento, come già in Lebowski. Così i due registi hanno unito i due concetti, e n'è venuto fuori un capolavoro: un inseguimento nel deserto. Una corsa verso il mondo del "senso", cioè quello di una sognata felicità grazie a una valigetta piena di soldi, e una fuga dall'inevitabilità della morte (una morte allegorica quasi da "settimo sigillo", un infallibile gelido killer che uccide con vero godimento, che vuole quei soldi), cioè una fuga dal nulla. Ma non finisce qui, tra la vuotezza del nulla assoluto, e la vacuità di una felicità sognata, rimane qualcosa di vivo, almeno nella storia: la "nobil natura" (Leopardi, la ginestra) di chi guarda la morte, la accetta e la aspetta serenamente, senza passione necrofila, nè tantomeno isterici tentativi di fuga: uno sceriffo che accetta di dover morire un giorno, come già ha visto fare a suo padre. Uno sceriffo che capisce questo, e cammina non armato, quasi a non voler accrescere "le ire e gli odii fraterni, maggiori d'ogni altro danno", "alle miserie sue" (dell'uomo). E in un sogno lo sceriffo si vede superare dal padre, in una corsa a cavallo: sorpassato dal padre nella corsa verso la morte. Un sogno vivido di immagini allegoriche, che fanno sorridere la dolce moglie che lo ascolta. Ovvero: l'unica consolazione possibile, nella consapevolezza del nulla, è potere raccontare la visione stessa del nulla. Visione del nulla che Leopardi chiamava "opera di genio", quale sicuramente considerava la sua poesia, e quale sicuramente è anche il cinema dei Coen. Che non stupisca l'interesse dei due registi verso la tematica: se pensiamo a Lebowski, detto Drugo, buon babbeo che si vede privato, da parte di un gruppo di nichilisti, di un tappeto che dava tono al suo salotto, ci si trova di nuovo al centro dell'argomento, con un'altra forte allegoria: i nichilisti, la visione del nulla, priva il personaggio di quel tappeto che dava un tono alla stanza. Senza quel tappeto, la stanza è senza senso. Eccoci di nuovo davanti alla contrapposizione tra pieno e vuoto, tra epistème (verità come consolazione), e nulla (verità reale). Per ritrovare il suo tappeto, Lebowski si troverà partecipe di vicende assurde, e la causa si rivelerà ridicola. Ridere, quindi, è la soluzione al nulla offerta da "il grande lebowski". Sorridere, è quella di "non è un paese per vecchi", come sorride la moglie dello sceriffo ascoltandone il sogno. E il titolo? Nel nulla non si può invecchiare, non si è eterni. Non è un paese per sopravvissuti.
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lunedì 25 febbraio 2008
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ancora un oscar a un film sulla violenza pura
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Certamente la qualità del film è eccellente, come la regia e l'interpretazione di Javier Bardem. Ma ancora una volta viene dato l'oscar come migliore film a un'apologia della violenza pura e gratuita, dopo "The Departed" dell'anno scorso. Quando si cambierà rotta? C'è bisogno di film positivi, dove siano rappresentati ideali e il bisogno di una società più giusta. Chi vede questo film, mi riferisco in particolare ai giovani, potrebbe sentirsi attratto e addirittura emulare un personaggio come il cattivo killer psicopatico. Ci si sofferma nel mostrare come con un singolo colpo si può far esplodere il cervello e stroncare una vita, e sul gusto che prova il killer. Sono stati prodotti tanti bei film nel 2007 e ancora una volta si sceglie un film di violenza.
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Certamente la qualità del film è eccellente, come la regia e l'interpretazione di Javier Bardem. Ma ancora una volta viene dato l'oscar come migliore film a un'apologia della violenza pura e gratuita, dopo "The Departed" dell'anno scorso. Quando si cambierà rotta? C'è bisogno di film positivi, dove siano rappresentati ideali e il bisogno di una società più giusta. Chi vede questo film, mi riferisco in particolare ai giovani, potrebbe sentirsi attratto e addirittura emulare un personaggio come il cattivo killer psicopatico. Ci si sofferma nel mostrare come con un singolo colpo si può far esplodere il cervello e stroncare una vita, e sul gusto che prova il killer. Sono stati prodotti tanti bei film nel 2007 e ancora una volta si sceglie un film di violenza. Eppure l'America è già tanto violenta... Perché il film "Into the wild" non ha ricevuto nessun premio? Perché mette a nudo la società americana, dove la gente corre dietro ai soldi, che sembrano essere l'unico segno di distinzione, apportatori di felicità e potere. E mostra l'aspirazione ad una società più autentica e basata su valori umani di libertà. E questo film, invece, è tutto l'opposto. Con una trama ormai ben conosciuta, da cui sono stati fatti tanti film (il classico individuo esterno che si appropria del malloppo e viene inseguito da quelli della banda o da singoli pronti a uccidere tutti pur di appropriarsi dei soldi "persi"). Siamo stufi di vedere gente che viene massacrata soltanto per amore del denaro, gente che viene considerata come ostacoli da schiacciare per permettere l'avanzata dell'egoistico potere del "forte" e "senza scrupoli". Speriamo che l'anno prossimo "si cambi direzione". Un ultimo appunto, come ha rilevato Caprara, tutta la tensione narrativa del film si perde in una bolla d'acqua nell'ultima mezz'ora. Dove c'è un finale a dir poco "scialbo, insignificante e poco realistico", che però non posso rivelarvi.
Se non lo vedete non perdete molto! Meglio farsi una bella e sana passeggiata che vedere un film come questo.
Hanno scritto che i fratelli Cohen riescono ancora a fare un film di qualità e “spettacolare”… Ma forse per “spettacolare” si intende lo “spettacolo” di tanti assassini di persone innocenti e indifese, che sono abbattute come i birilli del bowling?
Ma dove siamo arrivati!
E Tarantino dice che il cinema italiano non fa più buoni film… E invece sono stati fatti film grandiosi come “I vicere’”, “Fuoco su di me” e “La sconosciuta”… Ma perché questo è un bel film americano? Io lo definirei piuttosto un film “a stento discreto”, banalmente incentrato sul sangue e sui massacri.
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