Anno | 2007 |
Genere | Drammatico |
Produzione | Francia |
Durata | 100 minuti |
Regia di | Olivier Assayas |
Attori | Juliette Binoche, Charles Berling, Jérémie Renier, Edith Scob, Dominique Reymond Valérie Bonneton, Isabelle Sadoyan, Kyle Eastwood, Alice de Lencquesaing, Emile Berling, Jean-Baptiste Malartre, Gilles Arbona, Eric Elmosnino, Marc Voinchet, Sara Martins. |
Tag | Da vedere 2007 |
MYmonetro | 3,50 su 7 recensioni tra critica, pubblico e dizionari. |
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Ultimo aggiornamento venerdì 22 maggio 2009
In occasione del compleanno della madre, tre giovani donne si ritrovano in famiglia a fare i conti col proprio passato.
CONSIGLIATO SÌ
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Nella bella dimora di famiglia, immersa nella natura, Frédéric, Adrienne, Jérémie e le rispettive famiglie festeggiano i settantacinque anni della madre Hélène Berthier, donna colta e raffinata, vissuta nel mito dello zio Paul Berthier, importante pittore e collezionista. Poco tempo dopo, i tre fratelli si ritrovano nuovamente per occuparsi dell'eredità della madre, venuta improvvisamente a mancare. Frédéric vorrebbe conservare la casa ma gli altri hanno esigenze diverse per cui non resta che venderla e donare il suo prezioso contenuto al Musée d'Orsay. Prima di abbandonarla per sempre, la figlia di Frédéric, in compagnia degli amici, organizza un'ultima festa.
Nato da un progetto che avrebbe dovuto coinvolgere altri tre cineasti - Ruiz, Jarmusch, Hou Hsiao Hsien- per celebrare i vent'anni del Musée d'Orsay in quattro cortometraggi, L'heure d'été si deposita nella mente del suo autore e diviene lungometraggio autonomo nel quale si stratificano l'uno sull'atro temi, generazioni, echi delle sue precedenti opere, al punto che la caccia al tesoro che apre il film non può non apparire come un suggerimento di lettura.
Assayas si divide tra il personaggio di Frédéric, alter ego immediato in quanto impersonato da Charles Berling, quello di Adrienne (Juliette Binoche), apparentemente distante e distratta, colpevole di americanismo e unica depositaria dell'eredità artistica, e Jérémie (Jérémie Renier), che ha accolto il richiamo dell'Asia e di una vita più veloce e meno imbalsamata. La tensione fratricida è tutta latente, il conflitto non è di questo tempo e di questo luogo, basta non fermarsi, spostarsi per tempo per evitarlo; resterà al suo posto la conferma di una solitudine che, in qualche modo, è a sua volta un lascito di famiglia (Edith Scob che siede sola in penombra è un'immagine che non si dimentica).
Un'esplicita elaborazione del lutto, dunque un altro film d'addio, ma anche un film sulla divisione, nel doppio senso di separazione e di condivisione. Assayas mette gli oggetti al centro del discorso e parla del cinema, che è fatto di cose materiali ma trasmette l'immateriale, il sentimento. Tutto quello che il regista mette in scena diventa automaticamente, fatalmente patrimonio condiviso: ogni spettatore si appropria di una parte delle cose. Allo stesso modo, però, nel momento stesso in cui l'occhio del cinema riprende un oggetto, quando quell'oggetto viene cioè "incamerato", diventa patrimonio del film, proprietà del regista, rimando a lui. C'è qualcosa di malinconico e di molto democratico nel modo in cui Assayas ci consegna, per il tramite del film, niente meno che due Corot.
Potenza del cinema, che ridefinisce ogni volta il concetto di valore.
Due fratelli e una sorella si ritrovano insieme per una dolorosa riunione: la morte della loro madre. Dopo le lacrime e il funerale, Jeremie, Frederic e Adrienne devono occuparsi del patrimonio di famiglia: un'enorme casa nella campagna francese con una splendida collezione d'arte che la madre, negli anni, aveva fatto crescere con cura. Il tesoro familiare, da custodire con amore, li riporta indietro nel tempo, a quando la caccia al tesoro era solo un gioco da fare in un rigoglioso giardino, d'estate. Una decisione da prendere diventa, così, il punto di partenza di un viaggio nelle memorie d'infanzia, grazie al quale impareranno a dare un nuovo significato alla parola famiglia.
I distributori italiani non amano particolarmente Assayas, nonostante tre degli ultimi quattro film, Sils Maria, Personal Shopper ed Il gioco delle coppie, abbiano trovato distribuzione anche nel nostro Paese. In un mio precedente intervento su MyMovies, avevo osservato che una nuova fase artistica piu votata al postmoderno -rispetto all eccellente Irma Vep, per esempio- non avrebbe [...] Vai alla recensione »
THE French filmmaker Olivier Assayas has made movies that have dealt with relationships among lovers, spouses, parents and children. But before “Summer Hours,” his 12th fiction feature, a story of three siblings deciding what to do with the ancestral home and the heirlooms that are now in their possession, he had never tackled head-on the drama of the family, with its obscured histories and faded memories. [...] Vai alla recensione »
A mother dies. A family gathers to divide the estate and trade memories. Life and death, those persistent cliches, duke it out once more at a country house just outside Paris. From familiar material, writer-director Olivier Assayas (Irma Vep, Boarding Gate) crafts a near perfect blend of humor and heartbreak, a lyrical masterwork that measures loss in terms practical and evanescent.
In a literal, almost banal sense, Olivier Assayas’s “Summer Hours” is a movie about an inheritance. Hélène Berthier (Edith Scob), a silver-haired matriarch enthroned among her children and grandchildren at the beginning of the film, leaves behind a charming country house and a cherished art collection, and her heirs, as is normal, must figure out what to do with it all after her death.
The French writer-director Olivier Assayas has recently made nasty erotic thrillers ("Demonlover" and "Boarding Gate") about the impersonal brutality of global capitalism. But, in the new "Summer Hours," he is working in a calmer and more lyrical style. Reaching back to humanist masters like Renoir, he brings the global economy to bear on the fate of a bourgeois French family.
Summer Hours" opens, as so many French films do, with a major family reunion at a marvelous old house in the country. But while the setting is familiar, even Chekhovian, what writer-director Olivier Assayas does with it is not. Assayas, whose credits include "Clean," "Demonlover" and "Irma Vep," is not the type to do things as usual, or even do anything classically French.