Match Point |
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Un film di Woody Allen.
Con Jonathan Rhys Meyers, Scarlett Johansson, Brian Cox, Emily Mortimer, Matthew Goode.
continua»
Drammatico,
durata 124 min.
- USA, Gran Bretagna 2005.
uscita venerdì 13 gennaio 2006.
MYMONETRO
Match Point
valutazione media:
3,44
su
-1
recensioni di critica, pubblico e dizionari.
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EDIPO ALLA CITYdi a.l.Feedback: 0 |
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martedì 17 gennaio 2006 | |||||||||||||||||||||||||||||||||||||
Nella scena in cui fa i conti con i fantasmi della sua cattiva coscienza, il protagonista dell’ultimo film di Allen cita dei versi celebri dell’”Edipo a Colono” di Sofocle: “ Non nascere ecco la cosa migliore”. Ma in tutta la cupa vicenda raccontata dal lungometraggio riecheggiano temi e motivi della grande tradizione letteraria europea: l’ex tennista irlandese è figlio della fortuna, come Edipo, il noto eroe del mito greco, giacché ai disegni imperscrutabili del caso egli deve la sua ascesa all’Olimpo dell’”upper class” londinese, la sua dannazione e la sua immeritata salvezza; compie un delitto, tormentato dai rimorsi, come Raskolnikov, lo studente di “Delitto e castigo”; si eleva socialmente grazie al suo fascino virile, simile al “Bel ami” di Maupassant. Si è parlato a proposito di “Match point” di un Allen in forma smagliante, di un ritorno all’epoca d’oro, ma l’ancoraggio ai modelli è qui sintomatico ancora una volta di un autore in esilio dal proprio universo poetico, rimpianto e mai più ritrovato o sostituito: la vitalità della logorroica e nevrotica umanità di “Manhattan”, l’ansioso interrogarsi sul senso dell’esistenza e l’accettazione ironica del male e del dolore, sono diventati impotente afasia, incapacità di sovrappore un proprio originale punto di vista a luoghi comuni e verità conclamate. Neppure la musica di Mozart è più una delle ragioni per cui valga la pena di venire al mondo: l’arte è la coscienza muta di una società dedita per ignobili scopi al massacro degli innocenti, è il tappeto colorato sotto cui si nascondono sporcizia e fango. La sublimazione estetica del sogno, l’armonioso melodramma, non consolano e non compensano mediocrità ed egoismo: ispirazione e genio, si concretizzano in messinscena fastosa, nel passatempo innocuo e nobilitante per l’alta borghesia degli affari. Gli incontri fra affini o diversi non fanno più scoccare scintille, il vivere è formalità allo stato puro, ritualità inconsistente e noia: pranzi di gala, appartamenti miliardari con splendida vista sul Tamigi, palco all’Opera, prime teatrali, la Tate Gallery, battute di caccia, partite a tennis, alta finanza e solida ricchezza. Allen trasformando in maschere monche i suoi personaggi, manichini ben vestiti plasmati alla cieca dal caso, li ha privati del movente di un’anima; la grazia fisica inquieta, ispira e cela passioni animalesche, affetto ed amore si confondono con la stupidità miope; l’appartenenza alla categoria dei vincenti non risparmia dall’infelicità e dal non senso, e nell’assurdità dell’esistere persino l’augurio per il neonato di essere fortunato risuona auspicio beffardo. La panoramica sull’involucro chic è sinistramente incantevole: al suo interno non batte più nessun cuore. Nella rielaborazione impeccabile dei meccanismi del noir classico, sopravvive l’eleganza di stile del cantore di Manhattan, la naturalezza assoluta nell’uso della macchina da presa. Campi e controcampi svelano l’ossessione erotica o l’inconsapevolezza appagata di volti ingabbiati nelle apparenze; i primi approcci fra la Johnson e Rhys Meyers sprigionano la carica erotica di un amplesso, la loro quieta, sensuale, presenza al fianco dei rispettivi fidanzati, costituisce di per sé l’esplosione ribelle di trasgressività rispetto all’algido comportarsi dell’alta società londinese. Ma il loro è effimero fuoco di paglia: da qualunque parte della rete cadrà la pallina da tennis, vincitori e vinti giocano al buio e dire fortunato non è come dire felice.
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