Incontri a Parigi

Film 1995 | Commedia, 97 min.

Titolo originaleLes rendez-vous de Paris
Anno1995
GenereCommedia,
ProduzioneFrancia
Durata97 minuti
Regia diEric Rohmer
AttoriClara Bellar, Antoine Basler, Judith Chancel, Serge Renko, Aurore Rauscher Michael Kraft, Veronika Johansson, Bénédicte Loyen, Mathias Megard.
Uscitagiovedì 5 ottobre 1995
DistribuzioneSony Pictures Italia
MYmonetro 3,00 su 5 recensioni tra critica, pubblico e dizionari.

Regia di Eric Rohmer. Un film con Clara Bellar, Antoine Basler, Judith Chancel, Serge Renko, Aurore Rauscher. Cast completo Titolo originale: Les rendez-vous de Paris. Genere Commedia, - Francia, 1995, durata 97 minuti. Uscita cinema giovedì 5 ottobre 1995 distribuito da Sony Pictures Italia. - MYmonetro 3,00 su 5 recensioni tra critica, pubblico e dizionari.

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Ultimo aggiornamento mercoledì 30 novembre 2016

Tre episodi girati in 16 mm e gonfiati in 35 dall'abile regista francese che racconta la sua Parigi.

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Consigliato sì!
3,00/5
MYMOVIES 3,00
CRITICA
PUBBLICO 3,00
CONSIGLIATO SÌ
Uno dei film più pessimisti di Rohmer in cui l'appello a sfuggire alla pressione delle parole e l'invito a riferirsi ai puri fatti divengono più pressanti.
Recensione di Giancarlo Zappoli
Recensione di Giancarlo Zappoli

"Appuntamento alle sette". Esther e Horace sono due fidanzati che, a causa dei reciproci impegni, hanno difficoltà a darsi appuntamenti. La ragazza incontra un amico che la corteggia e che insinua che Horace, il tempo per incontrare una giovane donna a un caffè del Beaubourg, riesce a trovarlo. Esther decide così di dare un appuntamento a un ragazzo simpatico che l'ha abbordata al mercato nell'ora e nel luogo in cui il fidanzato dovrebbe incontrarsi con la rivale sconosciuta.
"Le panchine di Parigi". Lei insegna matematica. Lui insegna lettere. Lei non vuole andare a casa di lui (ha un appartamento in condivisione) e a casa sua c'è il compagno che vorrebbe lasciare. Dalla fine dell'estate alla fine di novembre si danno quindi appuntamento nei parchi della capitale.
"Madre e figlio 1907". Un giovane pittore accetta di accompagnare una studentessa svedese al Museo Picasso. Dichiara però di non potersi fermare perché i quadri del Maestro finirebbero con l'influenzare il suo lavoro. Nell'uscire viene però attratto da una giovane donna che entra e che decide di seguire. Lei si ferma dinanzi al quadro intitolato come l'episodio.
Con una camera car montata su una Citroën 2 cavalli spinta a mano e con carrelli con macchina da presa montata su una sedia a rotelle Rohmer, dopo Racconto d'inverno e la parentesi vandeana di L'albero, il sindaco e la mediateca, torna nella sua Parigi filmando luoghi la cui attrazione turistica è consolidata e altri meno noti e quasi più 'intimi'. Rohmer fa insomma il turista nella sua città come i protagonisti del secondo episodio e al contempo sembra fare il turista anche del proprio cinema, attento com'è a riconoscere luoghi e traiettorie ma pronto anche a costruire false piste che conducano a spazi non abituali.
Il caso torna stabilmente in tutti e tre gli episodi con il suo peso ma finisce anche con l'essere prevedibile (e quindi negato). I protagonisti del cinema rohmeriano hanno spesso una presunzione di sincerità interiore che qui invece viene spesso messa in discussione. Il regista si ritrova quasi a materializzare il rapporto di amore-odio che sembra aver sviluppato nei confronti della parola che diviene spesso schermo scuro di una verità 'altra' destinata a restare tale per alcuni dei personaggi e per lo stesso spettatore. Siamo di fronte a uno dei film più pessimisti di Rohmer in cui l'appello a sfuggire alla pressione delle parole e l'invito a riferirsi ai puri fatti divengono più pressanti.

Sei d'accordo con Giancarlo Zappoli?
Giancarlo Zappoli
venerdì 19 settembre 2003

Prima parte
Il film si compone di tre episodi tra i quali si inseriscono gli interventi di due cantanti di strada.
"Appuntamento alle sette". Esther e Horace, due fidanzati, faticano ad accordarsi per un appuntamento a causa dei reciproci impegni. Esther incontra un amico che la corteggia e insinua che Horace il tempo per incontrarsi con una ragazza a un caffè del Beaubourg lo trova. Esther comincia a sospettare e, abbordata da un ragazzo simpatico al mercato, gli dà appuntamento all'ora e nel luogo in cui Horace dovrebbe incontrarsi con la rivale. Derubata del portafoglio, la
ragazza ritiene colpevole lo sconosciuto. Nel pomeriggio una coetanea, Aricie, le riporta l'oggetto e le confida di doversi incontrare con un ragazzo di cui non sa se fidarsi proprio al Beaubourg. Esther l'accompagna e scopre che chi si interessa ad Aricie è proprio Horace. La ragazza lo lascia e, di lì, a poco sopraggiunge il presunto ladro puntuale per l'appuntamento.
"Le panchine di Parigi". Lei è insegnante di matematica. Ha un compagno, Benoït, che vorrebbe lasciare ma non vuole affrontare il problema. Lui è insegnante di lettere a Saint-Dizier ed è in attesa di un appartamento da non dover condividere con nessuno. Lei non vuole andare a casa di lui e quindi i due si danno appuntamento, in un arco di tempo che va dalla fine dell'estate alla fine di novembre, nei parchi della capitale. Hanno così occasione per manifestare continue richieste (lui) e stabili resistenze (lei). Un giorno è la ragazza a fare una proposta: Benoït deve andare a un matrimonio di parenti fuori città e loro due potrebbero recarsi in un hotel di Montmartre come fossero due turisti. Nel momento in cui stanno raggiungendo l'albergo con tanto di valigie, lei vede una coppia in distanza e dice che si tratta di Benoìt con un'altra donna. Ora lui le dice che se il suo compagno l'ha tradita si può considerare del tutto libera. La risposta è che lui costituiva un complemento di Benoït. Dal momento che con l'altro è finita, anche questa storia è da ritenersi conclusa.
"Madre e figlio 1907". Un giovane pittore accoglie nel proprio studio una ragazza svedese, studentessa di decorazione, inviatagli da un'amica perché lui le mostri il Museo Picasso poco distante di lì. I due hanno concezioni molto distanti dell'arte. Il pittore l'accompagna al museo, ma afferma di dover tornare subito allo studio perché non può farsi influenzare, mentre è in fase creativa, dalle opere del maestro. Le dà appuntamento a sera a La Coupole. Uscendo, vede entrare una giovane donna che lo attrae e che decide di seguire. La sconosciuta si ferma davanti ai quadro "Madre e figlio 1907" e prende appunti. Il pittore si giustifica con la svedese dicendo di essersi fermato per vedere solo quel quadro e si mette a commentario ad alta voce. Lascia quindi nuovamente il museo per seguire la giovane donna in strada. Riesce a parlarle e apprende che è la fresca sposa di un editore d'arte svizzero e sta per raggiungerlo per proseguire la luna di miele. Chiede però di vedere le tele del pittore, che la fa salire nel proprio studio e le dichiara il proprio interesse per lei. La donna, che apprezza il suo lavoro, lo invita invece a prestare più attenzione alla svedese e poi se ne va. Il pittore si reca all'appuntamento a La Coupole ma la ragazza non si fa vedere. Ritorna allora nel proprio studio. Ha aggiunto un personaggio femminile nel quadro e dichiara di non aver perso il proprio tempo.
Se L'albero, il sindaco e la mediateca terminava con alcuni dei protagonisti che cantavano la loro "morale" conclusiva, Incontri a Parigi si apre con due cantastorie che ci introducono al primo episodio, così come faranno con i successivi fino a chiudere il film. La memoria non può non andare alle esibizioni del clochard e del musicista protagonista di Il segno del Leone, così come una serie di citazioni di luoghi e situazioni rinviano esplicitamente ad altri film del regista. La seconda inquadratura del film è collocata nel boulevard de Courcelle, già presente in La fornaia, opera con un protagonista i cui elaborati abbordaggi rinviano a quello che avviene al mercato. Il lungosenna di Il segno del Leone e di Il raggio verde costituisce il punto di partenza del secondo episodio. Ma le autocitazioni in Rohmer continuano a non essere frutto di puro narcisismo o della "mancanza d'immaginazione" attribuita al protagonista di "Le panchine di Parigi". La stessa ripresa della struttura a episodi sperimentata in Reinette e Mirabelle subisce delle variazioni: le protagoniste fisse delle quattro situazioni sono qui sostituite da personaggi diversi per ogni episodio e con attori tutti al debutto in quanto allievi di un corso di cinema.
La struttura operativa è ancor più ridotta del solito, al punto di realizzare camera car con una Citroèn 2 cavalli spinta a mano, o carrelli con la macchina da presa collocata su una sedia a rotelle.
Dopo un film in cui l'ambiguo rapporto tra città e campagna conservava aperte tutte le sue aporie, Rohmer torna decisamente nella sua Parigi, quasi volesse offrire un nuovo contributo, a Nouvelle Vague ormai trasformata in ricordo, a uno dei progetti del movimento: quello di filmare luoghi sconosciuti della città. Ma questo stesso proposito porta al proprio interno una contraddizione cosciente. Questo film itinerante, a cui farà seguito un ancor più peripatetico Un ragazzo, tre ragazze, tocca indifferentemente luoghi la cui attrazione turistica è consolidata e altri sicuramente meno noti e più "intimi". Rohmer fa il turista nella propria città come i protagonisti del secondo episodio ma, e questo è ciò che più conta, sembra fare anche il turista del proprio cinema, attento a riconoscere luoghi e traiettorie ma pronto a costruire false piste che portino in spazi non abituali.
Se il caso torna stabilmente in tutti e tre gli episodi con tutto il suo peso, il suo rapporto con la sua stessa prevedibilità (e pertanto con la sua negazione) risulta fortemente marcato. Se i protagonisti del cinema rohmeriano, come abbiamo già avuto modo di notare, hanno solitamente dalla loro una presunzione di sincerità interiore, essa viene qui spesso messa in discussione. incontri a Parigi è un film in cui quasi si materializza il rapporto di amore-odio che Rohmer sembra aver sviluppato nei confronti della parola. Se nei "Racconti" la "parola" mentale che i protagonisti si dicevano serviva a creare una distanza tra i fatti accaduti (o non accaduti) e la loro ricostruzione e nelle "Commedie" la si utilizzava per affrontare il quotidiano, spesso non avendo strumenti intellettuali per approfondirlo, qui essa diventa spesso schermo scuro di una verità "altra" destinata a restare tale per alcuni dei personaggi e per lo spettatore. La sottile cattiveria della strutturazione della narrazione va poi a definire un'impressione di veridicità che inizialmente può anche sembrare soddisfacente, salvo rivelarsi poi estremamente illusoria. Incontri a Parigi è forse il film più pessimista di Rohmer, quello in cui l'appello a sfuggire alla pressione delle parole e a rifarsi invece ai puri fatti diviene più pressante. Forse perché la consapevolezza derivatagli dalla propensione per le idee del maestro ma, al contempo, dall'interesse per l'eloquio del sindaco, lo ha spinto a tematizzare la contraddizione anche sul piano del privato.

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Giancarlo Zappoli
venerdì 19 settembre 2003

Seconda parte
In "Appuntamento alle sette", in cui i personaggi hanno nomi tratti dalle commedie di Corneille e dalle tragedie di Racine, il sospetto e il tradimento dominano. L'apparente tranquillità di un ménage tra due giovani (Horace ed Esther) è minata dall'allusione di Félix ad appuntamenti dati da Horace a un'altra ragazza. Qui si innesca il primo dubbio: Félix è un maldicente che mira a Esther oppure afferma la verità? Secondo dubbio: il ragazzo anonimo, che si mette a seguire Esther al mercato facendole una corte tanto improvvisa quanto pressante, è il ladro del portafoglio oppure no? Prima certezza: quando Esther si convince a recarsi al Beaubourg con Aricie le dice che è stato lo sconosciuto a darle appuntamento in quel luogo. Mente. Perché è stata lei, con il sottile proposito di verificare la veridicità delle affermazioni di Félix ed eventualmente di contraccambiarlo con la stessa moneta, a indicare ora e luogo. Terzo dubbio: Aricie dice di doversi trovare con un ragazzo che non è sicura di amare ma che le telefona dieci volte al giorno. Ho tace, perché è di lui che si tratta (quindi l'affermazione di Félix è vera), dirà di essere l'oggetto, non il soggetto, della pressante ricerca. Quarto dubbio: dopo che Esther se n'è andata "fingendo" di dover partire e dopo che le due hanno finto di essere intime amiche, io sconosciuto arriva all'appuntamento. È il ladro oppure gli è stata attribuita una colpa non sua? Sicuramente per Esther resterà tale perché non lo ha visto arrivare e non ha quindi avuto l'occasione che le con-sentisse di insinuare una crepa nel suo sospetto. Il caso rohmeriano continua a dominare, ma il contesto è molto meno limpido.
In "Le panchine di Parigi" si abbandona qualsiasi artificio di tipo teatrale, con entrate e uscite a orologeria dei personaggi, per "calendarizzare" una strategia della procrastinazione. L'episodio assume infatti forma diaristica, con i luoghi in cui avvengono gli incontri scritti a mano su un'agenda alla pagina con la data del giorno in cui si verificano. Lui e Lei (torna l'anonimato del narratore di La fornaia e di La mia notte con Maud, ma qui l'unico ad avere un nome è l'assente che si fa, o sembra farsi, presente solo nel finale) ci conducono nei seguenti luoghi: il lungosenna, Fontaine Médicis, Cimetière St. Vincent, Parc de Belleville, Parc de la Villette, Parc Montsouris, Jardins de Trocadéro, Serres d'Auteuil, la via in cui si trova il Bateau-Lavoir. A ogni tappa le convergenze e le divergenze tra i due si fanno sempre più simmetricamente evidenti. Quanto più Lui individua spazi per incontri che non debbano essere necessariamente en plen air (l'inverno si avvicina e il desiderio aumenta) tanto più Lei antepone giustificazioni legate alla figura di Benoït, l'uomo con cui vive. Finché, improvvisamente, la situazione si ribalta. È Lei che ora propone di trascorrere la notte in un hotel: Benoït è fuori città. Ma, attenzione, anche qui è necessaria una messa in scena: bisogna fingersi turisti in un luogo che già si conosce trovandosi addirittura, con tanto di valigie, alla stazione. Ormai in vista della meta Lui e Lei (e lo spettatore con loro) scorgono in distanza una coppia che sta entrando. Lei afferma trattarsi di Benoït che la sta tradendo. Per Lui, insegnante di Lettere (collega quindi di Rohmer) "privo di immaginazione" la soluzione è chiara: le remore di Lei non possono che essere definitivamente vinte. Per Lei, insegnante di Matematica, con la passione per la non linearità (si veda in proposito il percorso al Parc de la Villette), invece è l'inizio della fine: uno aveva consistenza in funzione dell'altro. Ora che Benoït non fa più parte della sua vita anche a Lui non resta che uscirne. Tutto, anche se molto cerebralmente, bene se non ci fosse un "se" diverso da quelli che precedevano ogni capitolo di L'albero, il sindaco e la mediateca. E se la coppia che entrava nell'albergo non fosse stata formata da Benoït e da una sua compagna, ma fosse stata quella di due anonimi (ecco tornare il gioco dei nomi) turisti? Nessuno, né Lui né lo spettatore, ha mai visto che aspetto abbia Benoït che, al limite potrebbe anche non esistere ed essere frutto della fantasia di Lei. Quel che è certo è che tutto si costruisce sulla "parola" di Lei che afferma trattarsi del suo compagno. A noi, come a Lui, non resta che prestarle fede oppure lasciare spazio al dubbio di un artificio puramente verbale in cui l'assenza di riscontri reali è determinante. Il caso, in questa occasione, potrebbe non essere tale.
Il gioco si fa ancor più sottile nell'ultimo episodio "Madre e figlio 1907". Il percorso compiuto da Lui e Lei, partendo dal Luxembourg e dirigendosi verso il XIX Arrondissement, dove si trova l'abitazione di Lui che comunque non sarà raggiunta, sviluppa un rapporto tra centralità e marginalità. La pittura di Picasso, con i suoi interni ed esterni dello stesso corpo umano posti su piani anatomicamente non corrispondenti, continua l'analisi che Rohmer fa dello spazio. Ma anche qui l'elevatezza della materia (l'Arte, l'ispirazione, il Maestro) fa da specchietto per le allodole. Rohmer, che sembra voler portare sullo schermo (protraendo l'interruzione della serie principale) dei mini "Racconti delle stagioni" non suscettibili di un'espansione a lungometraggio, conserva il fil rouge dell'ambiguità dipanandolo con grande abilità. Qui l'anonimato è più di rigore, tanto che useremo i termini: il pittore, la svedese, la ginevrina. Il pittore, che è distante anni luce dalla svedese per quanto riguarda la concezione dell'arte, si trova ad attenderla inutilmente a sera a La Coupole così come era probabilmente accaduto, fuori film, alla protagonista di La fornaia di Monceau. Fin qui potremmo trovarci nell'ambito del popolare detto «Chi disprezza compra», tanto per rimanere nell'area
dei "Proverbi". Dove però il gioco si fa complesso è nel momento in cui il pittore incrocia la ginevrina. Da ora in poi l'ambiguità regna sovrana. L'uomo rientra nel Museo e si esibisce dinanzi al quadro del titolo utilizzando la svedese come inconsapevole spalla. A questo punto le "esigenze della creatività" si sono già mostrate nella loro vera essenza di menzogne. Tanto da far supporre che il percorso Museo-studio non sia nuovo ad abbordaggi (il secondo all'interno del film) di questo genere. La cultura (o una sua presunzione) è assoggettata a un uso improprio. Ma se la parola del pittore, così come la sua opera, è già stata messa in forse dall'inizio, è sul personaggio della ginevrina che grava il mistero. Costei, i cui tacchi risuonano come un richiamo nel silenzio della strada, dichiara di essere fresca sposa di un editore di libri d'arte ginevrino, di trovarsi in luna di miele e di doverlo raggiungere di lì a poco. Chiede però di vedere lo studio di uno sconosciuto, vi si sofferma, discute dei quadri ma anche della situazione sentimentale del suo ospite. Ne respinge le avance ma, al momento di andarsene, sa più cose su di lui (indirizzo compreso) di quante non ne conosca lui di lei. Dove sta la verità? Chi ci garantisce dell'autenticità delle affermazioni della donna? Può essere a) tutto vero; b) tutto falso; e) parzialmente vero e quindi parzialmente falso. Il seduttore è stato sedotto e, al contempo, non è accaduto nulla. Gli resta l'autoconsolazione di non aver perduto il proprio tempo, ma chi "è"veramente la figura di donna che è entrata nel quadro? Picasso, grande e cinico seduttore, probabilmente lo sapeva. Questo pittore piccolo piccolo sicuramente no.

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RECENSIONI DALLA PARTE DEL PUBBLICO
lunedì 4 aprile 2011
fedeleto

Rohmer ,prendendosi ancora una pausa per completare i racconti delle stagioni,dirige un nuovo entusiasmante film che narra le avventure degli innamorati a parigi.La pellicola e' divisa in 3 episodi,nel primo una ragazza innamoratisima del suo lui ,incontrando un suo amico si insospettisce sul proprio ragazzo per alcune dicerie,per puro caso perdera' il portafoglio e accompagnera' la ragazza [...] Vai alla recensione »

STAMPA
RECENSIONI DELLA CRITICA
Roberto Escobar
Il Sole-24 Ore

Il cinema di Eric Rohmer: ovvero, la leggerezza, Incontri a Parigi conferma l’equivalenza. Se L’albero, il sindaco e la mediateca (1993) era appesantito da un eccesso di dialoghi inusuale anche per un autore che volentieri s’affida alla parola, ora l’equilibrio tra cinema dell’orecchio e cinema dell’occhio è splendidamente ristabilito. Per reggere tale equilibrio, Rohmer s’avvale del più grande tra [...] Vai alla recensione »

Luigi Paini
Il Sole-24 Ore

Dopo L’odio gli Incontri a Parigi: certo è un bel salto passare dalla banlieue perduta del film di Mathieu Kassovitz agli angoli romantici di Enic Rohmer, dalla cupa disperazione di tre sbandati di periferia alle lievi discussioni sull’amore di alcune coppie di giovani. Eppure, se per capire il mondo - non solo Parigi - c’è bisogno del non ancora trentenne Kassovitz, non meno necessaria è l’attenta [...] Vai alla recensione »

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