Bless Their Little Hearts

Film 1983 | Drammatico 80 min.

Regia di Billy Woodberry. Un film Da vedere 1983 con Nate Hardman, Kaycee Moore, Angela Burnett, Ronald Burnett, Kimberly Burnett. Cast completo Genere Drammatico - Svezia, 1983, durata 80 minuti. Valutazione: 4 Stelle, sulla base di 1 recensione.

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Ultimo aggiornamento lunedì 19 agosto 2019

Un intenso spaccato di vita afroamericana degli anni Ottanta.

Consigliato assolutamente no!
n.d.
MYMOVIES 4,00
CRITICA
PUBBLICO
ASSOLUTAMENTE SÌ
Un family blues che diventa il manifesto di un cinema crudo, fisico e creativamente spontaneo.
Recensione di Marzia Gandolfi
giovedì 22 agosto 2019
Recensione di Marzia Gandolfi
giovedì 22 agosto 2019

Nella Los Angeles degli anni Ottanta, Andais e Charlie Banks faticano a sbarcare il lunario. Lei lavora troppo, lui mai abbastanza, lei fa, lui ci prova, lei è sempre troppo stanca per l'amore, lui troppo intraprendente per rinunciare all'amore. Padre di tre figli, Charlie si consola con l'amante tra una puntata all'ufficio di collocamento e un lavoretto occasionale. Ma una sera Andais decide di averne abbastanza, della stanchezza, dei tradimenti e di una paga che Charlie impiega altrimenti. A pesca con gli amici per 'arrotondare' la giornata, Charlie comprende che è giunto il momento di assumersi le proprie responsabilità ed esce di scena.

Dal debutto del cinema, i pionieri neri hanno immaginato un mondo migliore per la loro comunità e sovente in anticipo sulla realtà dell'epoca.

Perché anche se si tende a dimenticarlo, il cinema nero indipendente esiste negli Stati Uniti dai tempi del muto come segno d'identità, di riconoscimento, di rivolta e di libertà. Da subito gli afroamericani si sono battuti per imporsi sullo schermo contro l'oblio dell'America bianca e la rappresentazione folcloristica (e sempre manichea) del cinema bianco.
I registi afroamericani degli anni Settanta e Ottanta, cresciuti tutti nelle aule accademiche dell'Università del cinema di Los Angeles (UCLA), hanno continuato il lavoro iniziato dai loro antenati mettendo in scena la propria storia, le loro storie, donandogli vita. Le voci di Charles Burnett (Killer of Sheep), Billy Woodberry (Bless Their Little Hearts), Larry Clark (Passing Through), Warrington Hudlin (Street Corner Stories), per citarne alcuni, confluiscono in un'unica odissea tragica che canta l'anima di un popolo disperso e un mondo da cui i bianchi sono esclusi.

Al cuore del loro cinema, che offre una lettura intellettuale e culturale della Storia afroamericana, c'è l'universo dei ghetti col loro quotidiano di povertà, di violenza, di disoccupazione, di contestazione, ci sono uomini e donne che rimettono in discussione il proprio ruolo, le regole della loro comunità provando a costruire nuove relazioni al prezzo spesso di dolorosi strappi.

Fuori dal 'sistema Hollywood', col desiderio ardente di seguire una precisa realtà sociale e creare nuove forme, Billy Woodberry allinea la rappresentazione della vita quotidiana alla lotta politica e diventa negli anni Ottanta una delle voci più originali del Black Independent Film Movement. Il regista faro di un cinema sociale che trasporta lo spettatore al cuore delle battaglie per i diritti civili. Con Bless Their Little Hearts, girato in 16 mm e premiato a Berlino nel 1984 (Premio Interfilm - Otto Dibelius), l'autore dimostra una volta di più che il cinema nero e i problemi sociali si tengono a vicenda.

La questione del film ruota di fatto attorno a una coppia della working class che sopravvive nel ghetto deindustrializzato di Watts. Bless Their Little Hearts è un melodramma familiare radicato nel suo contesto, lo studio appassionato di una vita sottopressione incarnata da Kaycee Moore e Nate Hardman, catturati nello splendore di un bianco e nero luminoso e di una serie di long take, veri e propri capolavori di esecuzione. Corpi attoriali che convivono in un piccolo appartamento e appartengono pienamente al cinema con la loro (potente) presenza scenica, la loro innocenza, la loro vulnerabilità.

Diversamente da come farebbe un regista bianco, Woodberry affronta la questione razziale con più libertà. Non esita a rappresentare una comunità afroamericana divisa (la reazione spirituale di Charlie alla visione materialista degli amici) e dei personaggi complessi a ambigui (il maschilismo di Charlie). Ed è proprio questo spessore psicologico e storico a impreziosire il suo film, a renderlo imprescindibile. Non siamo più negli anni Cinquanta e Sessanta, quando Sidney Poitier o Harry Belafonte rivendicavano ruoli 'positivi' per i membri della loro comunità. Billy Woodberry abborda questioni sensibili con una visione più distaccata, con sguardo nuovo. Rompe con le regole del cinema, filma come respirare e gira alla maniera di un musicista jazz.

Il suo film ignora la progressione drammatica e procede per improvvisazione e nella vena del primo Cassavetes (Ombre), con le sue deambulazioni urbane e le conversazioni caotiche. Gli attori entrano in campo o ne escono con disinvoltura, masticando dialoghi infiniti e interrotti bruscamente da un imprevisto o dalla fatica (di vivere).

Film a misura d'uomo e fintamente approssimativo, Bless Their Little Hearts è l'opera che laurea Billy Woodberry all'University of California di Los Angeles, il manifesto di un cinema crudo, fisico e creativamente spontaneo. Billy Woodberry, il regista, e Charles Burnett, lo sceneggiatore che firma anche la fotografia, non raccontano esattamente una storia, o perlomeno si attengono a una trama esile. Charlie, un padre di famiglia spesso sfaccendato, e Andais, consorte in ambasce tra casa e lavoro, sono al cuore di un family blues lontana da qualsiasi miserabilismo. Semplice schizzo, Bless Their Little Hearts ha la capacità straordinaria di volgere verità sconcertanti in momenti di grande dolcezza. In un locale Charlie discute coi compagni di sventura di rapine in banca o alle gas station, di soldi facili e di miseria ma poi di ritorno a casa dona qualche centesimo ai suoi bambini per l'offertorio. Due scene che bastano da sole a descrivere una maniera di vivere e di sentire.

Billy Woodberry non predica nessuna rivoluzione ma si limita a osservare con sguardo clinico e cuore in mano la realtà di una famiglia sull'orlo di una crisi 'economica'. Col blues tra i denti, l'autore afroamericano produce un'estetica della sopravvivenza che mette in immagini l'afflizione dello spirito e dice una volta ancora la difficoltà permanente di essere Neri in America.

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