The Night the World Exploded

Film 1957 | Fantascienza 64 min.

Regia di Fred F. Sears. Un film con Kathryn Grant, William Leslie, Tristram Coffin, Raymond Greenleaf, Charles Evans. Cast completo Genere Fantascienza - USA, 1957, durata 64 minuti.

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Alberto Fuguet
Alberto Fuguet

Passai il mio settimo compleanno a letto, ammalato; un virus chiamato "The London flu" mi immobilizzò per due settimane, con febbre, vomito e brividi che mi facevano dimenare nel letto come Linda Blair nell'Esorcista, un paio di anni dopo.
In casa avevamo un solo televisore, uno Zenith completo di radio, incassato in un mobile nel den.
Quando rni sentii meglio, la mamma mi sistemò sul divano, avvolto nelle coperte; potevo guardare la televisione e bere succo in polvere Funny Face (ero un fan di Pippo), più economico del Tang.
Un pomeriggio vidi un vecchio film in bianco e nero, la storia di uno scienziato che inventa una macchina per prevedere i terremoti e questa rivela che nelle ventiquattro ore successive la California verrà scossa fino alle fondamenta. Non basta: il mondo intero è in pericolo. Il governatore e i militari credono che lo studioso sia pazzo e lui, disperato, si rifugia con la sua famiglia nelle grotte di Carlsbad, che esistono davvero e ho sempre desiderato vedere. La terra inizia a tremare come non mai, e qui la storia si dissolve perché evidentemente il film mi impressionò al punto che la febbre risalì e tornarono i brividi.
Una volta guarito, scrissi una lettera al nonno chiedendogli se fosse possibile prevedere i terremoti. Mi rispose: "Un giorno, Beltràn, un giorno. È una tragedia che la sismologia non sia in grado di prevedere i terremoti.
Pensa se la medicina dovesse occuparsi soltanto di cadaveri.
Una settimana dopo quella lettera, un mese dopo aver visto The Night the World Exploded, decisi che sarei diventato sismologo, che quella era la mia vocazione anche se tempo dopo, durante gli anni delle ribellioni, cercai di sfuggire al mio solitario destino.
La notte dell'8 febbraio 1971 fu molto tranquilla, come quasi tutte le notti che precedono un evento importante. Andai a letto presto perché il giorno dopo dovevo andare a scuola. È probabile che abbia guardato la televisione con la mamma e Manuela; ci piaceva molto lo spettacolo di Carol Burnett. Mio padre, che andava a letto prima di tutti, uscì alla solita ora, le tre del mattino. Fin qui la solita notte d'inverno in casa Soler, Babbitt Street, 5708 Babbitt ("Il numero prima della via, non come in spagnolo, ricorda, in inglese va tutto prima: mesi, indirizzi, aggettivi") a Encino, California, 91316, proprio sopra la faglia di San Fernando, estensione della faglia di Santa Susanna.
Alle sei del mattino, mentre era ancora buio, i cani cominciarono a ululare. Qualcosa dentro di me, credo a livello genetico, mi mise in allarme e decisi di restare sveglio. Aprii gli occhi e ascoltai attentamente gli ululati. Riconobbi Pastrami, il cane dei Goldenberg e, più vicino, nella casa di fronte, lo strano latrato di Muhammed Ali, il boxer di Drew Wasserman. Poco dopo sentii i latrati dei cani di Wish Street. Mi alzai dal letto, aprii le imposte e, con un gesto degno di un brutto racconto di realismo magico, mi diressi verso la stanza di mia madre, la svegliai e annunciai: "Ci sarà un terremoto, e sarà forte".
Non avevo avuto una premonizione, niente di simile, la spiegazione stava nei cani. Me l'aveva insegnato il nonno Teodoro durante il viaggio lungo la faglia. Mia madre si mise a sedere sul letto e appoggiò i piedi sul pavimento: iniziò allora quello che io speravo con tutte le mie forze di sperimentare e che lei non avrebbe mai più voluto vivere.
Ho assistito solo a due terremoti nella mia vita, due terremoti veri, e posso assicurare che non esiste nulla di simile a questa meraviglia della natura. Ora li studio e li analizzo, ma invidio un po' i pompieri che ogni tanto affrontano gli incendi mentre io non sono mai nel posto giusto quando un terremoto colpisce. Ho vissuto forse mille scosse, ma paragonare una scossa a un terremoto è come paragonare la fiamma di un fiammifero a un incendio in una fabbrica di vernici. La casa iniziò a muoversi e a ondeggiare, e un rumore sordo, profondo, gutturale usciva dalle fognature. Le porte si aprivano e chiudevano come fossero automatiche e la mia libreria a mensole acquistata al Builder's Emporium e montata da mio padre, che ospitava un'Enciclopedia Britannica regalo del nonno, cadde sul mio letto in un colpo solo.
D'un tratto mancò la luce e non vedemmo più nulla. La mamma era disperata, urlava e cercava di raggiungere la cameretta gialla di Manuela, ma il grande tappeto shag si innalzava come un'onda. Iniziò a piangere e a gridare "Beltràn, Beltràn" e io, ridendo perché per me era tutta una favola, le rispondevo: "Sono qui, sono qui". E lei: "Non tu, dov'è Beltràn? Dov'è?" Manuela era caduta dal letto e non riusciva ad aprire la porta, se la schiacciava sulle dita. "Beltràn, Beltràn" insisteva mia madre; aveva recuperato Manuela e ci stava portando in salotto, dove ci riparammo sotto l'architrave della porta d'ingresso. Restammo lì per alcuni secondi, lunghissimi e terribili, ascoltando i bicchieri frantumarsi sul pavimento e rabbrividendo al raspare dei quadri sulle pareti; sentivamo le placche sfregarsi l'una sull'altra.
Il terremoto del 9 febbraio 1971, il terremoto di Sylmar, raggiunse i 6,6 gradi della scala Richter; l'epicentro fu localizzato a 8,4 chilometri di profondità. Ci furono sessantacinque vittime, noi restammo senza acqua e telefono, fummo evacuati per alcuni giorni per il rischio che la diga Van Norman cedesse, e per tre settimane non andammo a scuola. Crollarono due ospedali, e un ponte sull'autostrada seppellì un pick-up. Mio padre ci portò a Sylmar a vedere gli effetti del sisma quando si sentivano ancora le scosse di assestamento. C'è una mia foto di fronte alla parte posteriore del pick-up, l'unica che si salvò. L'autista era ancora lì, poco più avanti, schiacciato dal cemento. Ed era questa la foto di me che il nonno aveva più cara, quella che deve aver conservato fino alla fine, fino al terremoto del grado 7,6 di sabato scorso.
Da Alberto Foguet, I film della mia vita, Marcos y Marcos, Milano, 2004

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