Anno | 2017 |
Genere | Guerra |
Produzione | Indonesia |
Durata | 131 minuti |
Regia di | Emil Heradi |
Attori | Alex Abbad, Edward Akbar, Agus Nur Amal, Abdurrahman Arif, Torro Margens Hana Prinantina, Lukman Sardi, Tino Saroengallo, Yayu A.W. Unru, T. Rifnu Wikana, Laksmi Notokusumo, Keinaya Meissi Gusti, Rahael Ketsia, Arya Saloka, Tyo Pakusadewo (II), Donny Alamsyah, Ahmad Ramadhan, Arswendy Bening Swara, Egy Fedly, Ade Firman Hakim, Arief Nilman. |
Tag | Da vedere 2017 |
MYmonetro | 3,24 su 1 recensioni tra critica, pubblico e dizionari. |
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Ultimo aggiornamento martedì 24 aprile 2018
Un viaggio nell'orrore che si connota di significati metaforici pregni di umana e partecipata disperazione.
CONSIGLIATO SÌ
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È rimasta chiusa per alcune settimane la via che conduce a Sampar, città immaginaria d'uno stato che richiama l'Indonesia: un conflitto tra le forze governative e gli indipendentisti rendeva impossibile il passaggio. Appena iniziate le pur fragili trattative di pace le strade riaprono per ridare al paese una parvenza di normalità e può quindi riprendere il suo viaggio il bus del conducente Amang, che prova a riavviare la sua attività di trasporto, unica sua fonte di sostentamento. Con lui s'imbarca un variegato gruppo di viaggiatori, ciascuno con le sue motivazioni per raggiungere la città. Il viaggio che dovrebbe durare una dozzina di ore si tramuta però in un inferno a seguito del fallimento dei confronti tra le forze in campo che porta al riaprirsi del conflitto.
Il film del regista Heradi Emil, vincitore inatteso del premio al miglior film all'Indonesian Film Festival Awards del 2017, è un lungometraggio che vuole, con la sua linearità narrativa, aprire uno squarcio, semplice quanto doloroso, nella violenza della guerra civile.
Non si vogliono approfondire le cause dello scontro, non si vuole prendere una parte: «hanno iniziato loro» dice uno dei guerriglieri che lotta per l'indipendenza della regione mentre «una città piena di risorse naturali» sembra invece adombrare motivazioni economiche al conflitto ed altri accenni possono far immaginare a moventi religiosi. Non importa: le luci dell'autobus illuminano solo la devastazione dello scontro tra due fazioni che sembrano assetate solo di violenza, mentre la natura rigogliosa serve solo a nascondere il prossimo pericolo.
Lo spettatore è volutamente lasciato alla deriva tanto quanto i protagonisti sulle vicende, senza informazioni ulteriori che possano dargli qualche forma di speranza o la coscienza d'un prossimo attacco.
I passeggeri dell'autobus rappresentano spaccati di vita e la buona interpretazione degli attori permette a tutti loro di svelare le loro storie e le loro ferite naturalmente, senza rivelazioni forzate ma mantenendo invece la tensione tra lo svelamento delle stesse ed il contesto: per quanto queste siano importanti, infatti, hanno un'importanza relativa, se non nulla davanti alla violenza generalizzata, diventando preziose nel loro essere ormai vane, nel loro scontrarsi davanti alla devastazione ed alla morte che le circonda. L'ambientazione notturna permette tanto di percepire la fragilità del piccolo autobus con le sue lucine multicolori sul parabrezza posteriore quanto di dare risalto ai visi dei guerriglieri attorno ai focolari o alle luci delle torce dei governativi.
«C'è qualcosa di molto più importante della sovranità: la sicurezza» dice un combattente prima di morire e la sua affermazione fa il paio con quella dell'aiuto conducente, che non sa nemmeno chi incolpare di tanta distruzione, senza principio e senza ragione. Nelle sue oltre due ore questo lungometraggio riesce, con rara sapienza, a mostrare il dolore che provoca lo scoppio d'un conflitto nei confronti della popolazione civile, le cui vite diventano merce di scambio e pedine sacrificabili di un gioco che ha perso senso.