Titolo originale | Bulg-eun gajog |
Anno | 2013 |
Genere | Drammatico |
Produzione | Corea del sud |
Durata | 99 minuti |
Regia di | Ju-hyoung Lee |
Attori | Kim Yu-mi, Byung-ho Son, Woo Jung, So-young Park . |
MYmonetro | 1,96 su 1 recensioni tra critica, pubblico e dizionari. |
|
Ultimo aggiornamento martedì 26 novembre 2013
Una commedia politica via via sempre più cupa e tragica, sullo strappo insanabile tra Corea del Sud e Corea del Nord.
CONSIGLIATO NÌ
|
Un gruppo di spie nordcoreane, camuffato da famiglia-modello, viene inviato nel Sud per eliminare i disertori che hanno attraversato il confine. Il contrasto con il modello di vita sudcoreano porterà la famiglia posticcia ad abbandonare l'iniziale disprezzo per invidiare sempre più pregi e difetti dei vicini di casa.
Non è dato sapere quanto l'intento originario di Kim Ki-duk sia stato disatteso o rispettato dal risultato finale di Red Family, ma, considerato il triplo ruolo dell'autore - qui sceneggiatore, montatore e produttore - si è portati a propendere per la seconda. Il che rende evidente, a ogni passo, il declino inesorabile del regista di Bad Guy e La samaritana ieri, di Moebius oggi. In Arirang Kim combatteva i propri demoni e accusava i cineasti di Rough Cut di aver capitalizzato sulla sua idea, ma il prosieguo di carriera sta rivelando sempre più il bluff insito nella stessa operazione Arirang, che ci ha tolto un autore in crisi per restituirci un provocatore.
In Red Family anche l'intento provocatorio, però, conosce una battuta di arresto. Uno script così elementare al servizio di una trama (e di una estetica) da soap opera è figlio di un'operazione voluta? Uno sberleffo ai festival e/o al pubblico sudcoreano? Oppure il tentativo, fallito in toto, di rivolgersi a un nuovo target, riproponendo in chiave commerciale le dinamiche di tensione tra Nord e Sud care a tanti titoli della New Wave sudcoreana (tra cui The Coast Guard dello stesso Kim)? E immancabile l'autocitazione, altro tema ricorrente dell'ultimo Kim, con i protagonisti che si ritrovano in una sala cinematografica a vedere Poongsaan, film sulle due Coree sceneggiato da Kim; ma l'effetto è solo quello di suscitare un paragone oltremodo ingeneroso.
Ancora una volta la fedeltà cieca agli ideali del Nord che trascolora nella comprensione e quindi nell'invidia per il Sud, nonostante i suoi evidenti difetti. Assunto già raccontato (e meglio) in più di un'occasione. Ma se poteva avere un senso rileggere il tema ad uso e consumo di un pubblico differente, in chiave di cinema per famiglie, Red Family manca il colpo anche qui, prediligendo il pessimismo e l'ambiguità, in cerca di una riflessione morale che non ha i mezzi né il linguaggio per poter sostenere. Mentre di Kim rimane solo l'assenza di autocensura (che lo porta a inscenare un infanticidio), non più supportata da uno stile unico.
Red Family non può essere cinema d'autore, non riesce ad essere cinema popolare. Un'operazione inspiegabile, misteriosa come il verdetto del pubblico al Tokyo Film Festival, che ha tributato al film un sorprendente riconoscimento.