
Anno | 2011 |
Genere | Drammatico |
Produzione | Corea del sud |
Durata | 100 minuti |
Regia di | Kim Ki-Duk |
Tag | Da vedere 2011 |
MYmonetro | 3,06 su 1 recensioni tra critica, pubblico e dizionari. |
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Ultimo aggiornamento venerdì 20 maggio 2011
Il film è in gara al Festival di Cannes 2011, nella sezione Un Certain Reagard.
CONSIGLIATO SÌ
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Kim Ki-duk vive da solo in una disordinata casa di campagna al cui interno ha installato una tenda in cui dorme. Ha lasciato il cinema dopo che, nel corso delle riprese di Dream la protagonista ha rischiato di morire impiccata. Ora Kim vive una vita di afflizione lontano dal set in cui per lui urge il bisogno di riflettere sul senso del fare cinema. Decide allora di riprendere se stesso realizzando così una lunga dichiarazione in cui si mette totalmente a nudo.
Kim Ki-duk, il prolifico regista sudcoreano che ha realizzato 15 film in 13 anni ottenendo prestigiosi riconoscimenti a Venezia, a Cannes e a Berlino, era scomparso da 3 anni. Le voci lo davano come malato e comunque ormai fuori dalla produzione di film. Stava invece realizzando questa disperata confessione che è al contempo una richiesta di aiuto. Con il solo supporto di una camera digitale Kim mette in scena tutto il suo travaglio interiore. Il termine 'messa in scena' è quello che maggiormente si addice a questo film che documenta il precipitare di un'artista nella depressione più cupa. Perché la telecamera rivela l'artificio di alcune scene (campi e controcampi in primis) ma è anche utilizzata per riprendere lunghi e drammatici sfoghi del regista. Il quale urla a se stesso e dalla Croisette al mondo, ("Dormivo. Cannes mi ha risvegliato" come ha detto dinanzi a un pubblico commosso quanto lui) l'urgenza di comprendere fino in fondo la vita e la sua rappresentazione giungendo alla pessimistica conclusione che il nostro passaggio sulla terra non sia altro che una commistione di sadismo, masochismo e autoflagellazione. Certo, il suo cinema aveva colpito il mondo (ottenendo invece scarso riconoscimento in patria) proprio per la profonda commistione tra bisogno d'amore e crudeltà degli istinti. Ed è quanto ci ripete ora, utilizzandola quasi come un mantra, con la struggente canzone che dà il titolo al film.
Ma c'è un momento rivelatore più di altri in questa inusuale e avvincente spoliazione in video. È quando Kim rivede se stesso nella sequenza finale di Primavera, estate, autunno, inverno e primavera ancora. È un monaco buddista che, legatasi alla vita una macina la trascina su un ripido pendio portando con sé una statua del Buddha in meditazione. Giunto sulla cima il monaco può vedere dall'alto la sua casa monastero raccogliersi in preghiera. Il conflitto tra la carne e lo spirito che ha percorso tutto il suo cinema si rivela in questo sguardo su se stesso carico di nostalgia ma anche della consapevolezza che, come ricordava un classico del cinema, "solo chi cade può risorgere".
Arirang è una canzone che i coreani cantano quando sono depressi. Arirang... Arepigliate Kim. Dopo un incidente che stava per costare la vita ad una sua attrice sul set di Dream e dopo esser stato tradito da alcuni suoi collaboratori Kim decide di isolarsi per tre anni sulle colline di un freddo paese coreano. Crisi esistenziale, crisi creativa, il fantomatico blocco del regista.
Dopo l’incidente occorso durante la lavorazione di Dream, quando l’attrice protagonista ha rischiato di morire impiccata, Kim Ki Duk è entrato in un profondo conflitto esistenziale. La sua vena creativa inarrestabile è interrotta da difficoltà proprie e da un mondo esterno che ha scoperto come traditore. Vive solo in una casetta ai margini della città, dorme [...] Vai alla recensione »
ho visto e rivisto arirang da quando è passato su rai3: ho anche riguardato tutti i film di kim ki-duk e niente come questo documento poteva aiutarmi a gustarli come fossero nuovi: forza kim
ho visto e rivisto arirang da quando è passato su rai3: ho anche riguardato tutti i film di kim ki-duk e niente come questo documento poteva aiutarmi a gustarli come fossero nuovi: forza kim
Non credo che ci siano da dare stelle a questo documentario sulla disperazione di un uomo che non si sente più regista: la fatalità accaduta durante le riprese del bellissimo"dream" rischia di averci sottratto uno dei più grandi stilisti del cinema. Le parole di Cannes sono state, probabilmente, il risultato di un' empatica condivisione del dolore.