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Rassegna stampa di Pietro Germi

Pietro Germi è un attore italiano, regista, produttore, scrittore, sceneggiatore, co-sceneggiatore, musicista, assistente alla regia, è nato il 14 settembre 1914 a Genova (Italia) ed è morto il 5 dicembre 1974 all'età di 60 anni a Roma (Italia).

GIAN LUIGI RONDI
Il Tempo

Pietro Germi in questi ultimi anni è andato sempre più precisando i suoi temi e il suo linguaggio, rivelando un'attenzione particolarmente approfondita per i fatti d'ogni giorno, ma studiati anche dal di dentro in una atmosfera che, -in taluni momenti, potè essere definita addirittura romantica.
Dopo l'esperienza rigorosamente letteraria, ma asciutta e nervosa di Gelosia, eccolo così tentare nell'Uomo di paglia e nel Ferroviere uno studio di costumi borghesi che, soprattutto nel primo sembrava quasi discendere da una certa tradizione culturale e cinematografica francese, ma che in lui rivelava anche una personalità forte e decisa, pronta a mettere in luce dell'animo italiano gli aspetti più tipici, con una analisi minuta, una vigorosa fedeltà e nello stesso tempo una calda passione. Piegando il proprio linguaggio a una perfezione formale, a uno splendore visivo, a una ricchezza figurativa che mai però rimanevano fini a se stessi data la loro sicura aderenza ai temi trattati.

ALDO FITTANTE
Film TV

Avesse avuto la scorza di (un) De Oliveira sarebbe ancora qui a raccontarcela. O forse, come nel suo stile, i novant’anni li avrebbe consumati in silenzio, appartato, bofonchiando nell’angolo preferito di casa. Se ne andò troppo presto Germi (il 5 dicembre 1974), mentre preparava Amici miei: curiosa coincidenza con un altro autore della sua generazione riscoperto quanto lui nel corso del tempo, Antonio Pietrangeli (che morì sul set di Come quando perché). Carattere difficile, ombroso, chiuso, nervoso (un suo tic ispirò Mastroianni per il ruolo del barone Fefé Cefalù di Divorzio all’italiana, la cui sceneggiatura ricordiamolo firmata assieme a Ennio De Concini e Alfredo Giannetti, vinse l’Oscar; il film, invece, fu premiato a Cannes), come se avesse saputo e conosciuto in anticipo le difficoltà e le incomprensioni di un percorso cinematografico davvero singolare e controcorrente, paradossalmente “antitaliani”. Perché Pietro Germi ha realizzato western (In nome della legge), noir (dall’esordio Il testimone a Un maledetto Imbroglio), melodrammi ( II ferroviere), commedie grottesche in pieno boom “all’italiana” (oltre a Dlvorzio... ‚ Sedotta e abbandonata, Signore & Signori e Alfredo Alfredo), cavalcando i generi e tenendosi ben lontano dai salotti. Antitaliano e dunque ferocemente attratto dai molti vizi e dalle poche virtù del Belpaese. Roma e la romanità, la Sicilia, la provincia di cui si racconta(va) poco (si pensi, altresì, a Serafino), il Veneto “bianco” e ipocrita via via fino a quella toscanità che tento di raccontare e che purtroppo fu costretto a depistare su Mario Monicelli. Il suo non appoggiarsi ai dogmi della sua ~ ‘ epoca gli costò caro. La critica che contava era di formazione marxista e non gli perdonò il suo individualismo anarchico, il suo ridere sotto i baffi politicamente poco corretto (L’immorale, una commedia da rivalutare, fu scritta pensando alle “doppie vite” di Vittorio De Sica...). Come al solito dobbiamo ringraziare i francesi, che sulla Croisette e nelle redazioni parigine delle riviste che segnano e indicano le strade, lo hanno premiato e celebrato non poco. Tipica latitanza italica: di fronte a un autore che anticipa i tempi, che vanta orgoglioso la sua (a)tipicità, si risponde sempre come se ci si trovasse a interagire con un qualcosa e un qualcuno che non si riesce a definire bene e quindi meritevole di distanze. Ma chiedete, per esempio, ai film di Billy Wilder o Woody Allen quanto rivelatore per loro sia stato il grottesco di Divorzio all’italiana e Sedotta e abbandonata, e quali germi abbia seminato nell’immaginario. Germi poco raccolti dai colleghi italiani e molto “copiati” negli anni successivi, sia nello stile volutamente sopra le righe (quegli ottoni di banda paesana siciliana così simili alle cadenze con cui Goran Bregovic ha ritmato molto cinema di Kusturica...), sia nel coraggio di un cinema che osava tutto (il primo Celentano non Celentano, addirittura un Moranti in Le castagne sono buone lontano mille miglia dal suo cliché) e non si faceva mancare niente: saturo, sudatissimo, erotico (vogliamo parlare della doppia Sandrelli dei dittico più volte citato?), ironico («Tumore?». «Onore!!!», chiosa uno dei suoi attori feticcio, Saro Urzì, in Sedotta e abbandonata). Anche ottimo attore, Germi aveva la rara maestria di sapere dirigere benissimo se stesso, i suoi commedianti e, al contempo, la (sua) macchina cinema, con uno stile che oggi, giustamente, chiamiamo germiano.

SERGIO DONATI

Nella brochure ufficiale dl festival di Cannes non trovo menzione di Pietro Germi, che pure si aggiudicò due Palmares d'Oro prestigiosissimi: uno per il miglior film con Signore e Signori, e l'altro con Sedotta e abbandonata (per il miglior protagonista maschile: ma era Saro Urzì, un non professionista 'inventati’ da Germi.) Anche su Tele+1,che sta presentando un ciclo “storico” di vincitori del Festival, ieri s'é visto il modesto Per grazia ricevuta di Manfredi (premio opera prima...), ma di Germi nessuna traccia, neppure nella memoria di Irene Bignardi che ha curato l'articolo di presentazione. Questo processo di rimozione perfino nel ricordo di uno dei più grandi registi italiani è tutt'altro che inconscio.

PIER PAOLO PASOLINI

Scusatemi, comincio con un po' di Freud. La psicologia di Germi è molto interessante, direbbe un clinico in laboratorio. Tutti avrete notato come per almeno tre quarti di ogni film di Germi (da In nome della legge al Cammino della speranza al ferroviere si respiri un'aria da androceo, da doccia di palestra o di caserma, o per intenderci meglio, da bottega di barbiere: posti dove son tutti uomini, maschi. Però si parla sempre di donne, bevendo il fiasco di vino o sollevando la cofana. Questo sodalizio maschile, quest'aria di alleanza di mariti o di giovanotti, nei luoghi dove la donna non usa metter piede, si attua generalmente, e proprio per definizione, in un clima popolaresco, o piccolo-borghese ma sano. E si capisce: il culto della virilità implica quello della salute.
Spia di tutto questo è, nell'ultimo film di Germi, l'episodio dello «strano» commendatore, tipo che, nelle osterie, tra maschi, non beve. Tanto che l'Ingravallo-Germi, quando gli da la mano, ha l'impressione di ritirarla sporca di non so che materia vagamente mefitica, davanti alla quale egli arriccia, con virile ingenuità, il naso, incerto. Quel povero commendatore è quasi il simbolo di tutto ciò che non è sano, normale, morale. (Ma io penso che stupendo Ingravallo sarebbe stato, uno dei tanti attori americani, che si dicono «strani» almeno quanto quel commendatore.) Odio verso tutto ciò che si presenta corrotto alla morale corrente, dunque. Ma in compenso, il Germi attore si mostra piuttosto ricco di tutte quelle civetterie che, messe assieme, stanno a testimoniare, anche a un non clinico, un forte contingente narcissico-esibizionista (direbbe Gadda).

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