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Rassegna stampa di Gualtiero Jacopetti

Gualtiero Jacopetti è un regista, scrittore, sceneggiatore, montatore, è nato il 4 settembre 1919 a Barga (Italia) ed è morto il 17 agosto 2011 all'età di 92 anni a Roma (Italia).

BARBARA PALOMBELLI

«Quando Silvio Berlusconi ha stravinto le elezioni politiche, gli amici mi hanno chiamato per dirmi: “Finalmente, potrai tornare a fare film”. E invece, nessuno ha pensato a me e davvero io non l’ho mai cercato... Lo chiamerò adesso, che è caduto un po’ in disgrazia. Era inevitabile, è un antipolitico, uno che fa il suo mestiere, i soldi, era chiaro che sarebbe finita così. Quando lo conobbi, era il 1981, lo trovai un seduttore, un uomo gradevole, generoso. All’epoca, collaboravo al Giornale del mio grande amico Indro Montanelli, di cui lui era editore. Voleva offrirmi la direzione delle sue televisioni: mi aveva promesso carta bianca. Andai al Grand Hotel. Lui arrivò, la faccia era cambiata, mi disse: “Sa, Jacopetti, i socialisti non la vogliono”. Chiuso».
Via Monte delle Gioie è una stradina che si arrampica su una collina che fronteggia il parco di villa Ada, che tutti i romani meno giovani chiamano ancora villa Savoia. Quassù, all’ultimo piano di una palazzina anni Cinquanta, in un piccolo attico con una terrazza piena di fiori e di nidi di merli che il padrone di casa sorveglia attentamente, in questo rifugio lontanissimo dal cuore cinematografico della città abita Gualtiero Jacopetti: un regista che ha rivoluzionato l’uso delle immagini e dei documentari, cercando sempre il sensazionale, l’eccezionale. Odiato e dimenticato, scomodo, è stato cancellato da anni dalle cronache e snobbato dalle enciclopedie. «Sulla Garzantina, tutto il mio cinema è stato definito come trash, spazzatura. All’estero, Mondo cane e Africa addio sono oggetto di culto e di studio, i dvd sono venduti ovunque. In Italia, invece, mi hanno detto di tutto: razzista, fascista, mi hanno accusato perfino di strage per le riprese di Africa addio. Fui calunniato, perseguitato, denunciato: infine impiegai un anno per dimostrare la mia totale innocenza, tornai in Africa con un cancelliere del tribunale, portai decine di testimonianze a mio favore, dimostrai di aver salvato tante persone, fui assolto con sentenze che uscirono a pagina ventisette sui giornali che mi avevano distrutto. Ripensandoci oggi, forse ero invidiato, un bell’uomo, piacevo alle signore, ero bravino come giornalista e come cinematografano, me ne fregavo delle mode, giravo con una Fiat 850 mentre i miei colleghi compravano spider a rate... In un Paese di provinciali, di conformisti e di cornuti tutto questo non poteva essere accettato. Sia chiaro: rifarei tutto quello che ho fatto. E mai stato fascista, vuole che le mostri le lettere dei partigiani a cui ho salvato la vita? Ho fatto sei anni di guerra, sono partito volontario come soldato semplice nel 1940, dopo l’8 settembre prima andai con i partigiani e poi il 25 aprile 1945 ero in piazzale Loreto su una jeep americana, vidi quei corpi martoriati e presi a calci. Appeso a quella pensilina c’era l’uomo che quasi tutti gli italiani avevano venerato... Sapevo l’inglese e fui incaricato dai servizi Usa di rintracciare il carteggio fra Churchill e Mussolini. Si trattava di frugare fra i cadaveri.., ma lei è qui per parlare di politica, la cosa più noiosa che esista. Vuole la mia etichetta: sono un liberale alla Ostellino, che leggo ma non ho il piacere di conoscere. Contenta?»

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