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Rassegna stampa di Gianni Amelio

Gianni Amelio (Gianni Amèlio) è un regista, produttore, scrittore, sceneggiatore, montatore, assistente alla regia, è nato il 20 gennaio 1945 a San Pietro Magisano (Italia). Oggi al cinema con il film Campo di battaglia distribuito in 308 sale cinematografiche. Gianni Amelio ha oggi 79 anni ed è del segno zodiacale Capricorno.

LIETTA TORNABUONI
La Stampa

Gianni Amelio, calabrese, 59 anni, è il regista più ammirato del momento: il suo bellissimo film Le chiavi di casa, storia del rapporto tra un giovane padre e un figlio quindicenne handicappato, ha toccato il cuore degli spettatori alla Mostra del Cinema di Venezia e altrove, ha ricevuto le maggiori lodi critiche. Non sorprende: il legame tra un adulto e un ragazzino (tra cultura e innocenza) sta alla base del suo cinema Nel 1979 Il piccolo Archimede, tratto da una novella di Aldous Huxley, raccontava di un inglese abitante in una villa nei dintorni di Firenze che scopre in un bambino contadino di sette anni orfano di mamma una straordinaria vocazione alla matematica e alla musica. Nel 1982 Colpire al cuore narrava, negli anni del terrorismo italiano, di un padre professore universitario e intellettuale di sinistra che viene denunciato ai carabinieri dai figlio quindicenne che lo sospetta di indulgenza verso i terroristi. Nel 1992 Il ladro di bambini, film importante molto bello, segue il confronto tra un giovane carabiniere e i due bambini che egli ha il compito di accompagnare in viaggio sino a un orfanotrofio. Nel 1998 in Così ridevano il tormentato e complesso rapporto tra due fratelli siciliani, uno adulto e uno ragazzo, emigrati a Torino in cerca di lavoro, è in realtà un rapporto di paternità in cui come sempre, come ne Le chiavi di casa, è il più giovane a dare una lezione di vita.

LIETTA TORNABUONI
Specchio

«Questa è la prima volta che ho raccontato un amore che non uccide», dice Gianni Amelio del suo nuovo film La stella che non c'è. Ma racconta molto altro e, come sempre, per primo. Nel 1994 fu il primo a vedere l'immigrazione in Italia (degli albanesi, allora) come un complesso fenomeno etnico, culturale, politico. E diresse Lamerica. Quasi dieci anni prima, nel 1982, fu l'unico regista italiano a comprendere le conseguenze, i condizionamenti che il terrorismo avrebbe potuto portare in Italia nelle famiglie, tra padri della sinistra romantica e figli della sinistra assennata, e diresse Colpire al cuore. Non per magia né per visionarietà: per pura intelligenza. Ora, con l'aneddoto di un operaio specializzato cinquantenne in viaggio attraverso la Cina per vedere di mettere a posto una centralina malfunzionante delle acciaierie di Pozzuoli vendute ai cinesi, affronta i temi essenziali del nostro tempo. La Cina ricca e invadente che è ancora divisa tra ricchi e poveri, ricchissimi e poverissimi. Il mondo diviso tra penuria e consumo, La mescolanza necessaria di culture, identità. La fine di quel «lavoro ben fatto» che ha rappresentato l'orgoglio, l'aristocrazia, il linguaggio universale operaio: finito perché pochi lo fanno e nessuno lo chiede, la quantità sopraffa la qualità. L'amore che vince tutto, il viaggio interiore: quando l'operaio parte per la Cina, sì capisce che viaggia anche alla scoperta di sé, del risultato della propria vita, della solitudine avara.

BARBARA PALOMBELLI

«La questione morale esiste e deve lottare insieme a noi. La politica deve tornare a essere un po’ sacra, un po’ una missione per pochi, senza scadere però nelle esagerazioni. Siamo onesti. La sinistra trinariciuta esiste ancora, eccome. Lo posso dire io, che ho sempre votato per il Pci, che voterò per tutte le sue diramazioni, io che ho amato il pragmatismo di Togliatti, io che ero diessino già allora, io che avvertivo la luce di Berlinguer, io che mi sento orfano di quella forza, di quella guida insostituibile. Lo posso dire senza paura perché sono stato un vero sottoproletario, figlio e nipote di generazioni di emigranti, io che mangiavo carne una volta al mese, io che quando da bambino chiesi a mia madre: “Chi sono i poveri?”, mi sentii rispondere: “Noi”. La sinistra che ha ancora tre narici è quella che non perdona a Massimo D’Alema di avere una barca e di divertirsi a usarla. E quella che pensa di essere ancora una chiesa in grado di scomunicare la televisione di massa, quella che ha insegnato ai nostri padri la lingua italiana. E quella che non capisce che per gli extracomunitari fa più Maria De Filippi, con il suo Kiedi, valorizzando ragazzi che diventano idoli dei nostri figli, di cento convegni seriosi sull’immigrazione. Se dire albanese in Italia oggi non è solo un insulto, lo dobbiamo a lei, a Canale 5, al suo programma dove si mescolano le etnie, le religioni, nella passione comune per lo spettacolo. La sinistra col cilicio la sperimentai a cazzotti, nel Sessantotto, quando ero un giovane aiuto regista e riuscii a pagarmi un attico a Roma, sopra la piazza di Santa Maria in Trastevere. Un compagno mi urlò contro: “Non puoi vivere qui, devi prendere una casa più modesta, devi aprirla a tutti quelli che hanno bisogno. Solo i fascisti abitano negli attici come questo”. A questo punto partì un pugno. Non ho mai capito perché, per essere di sinistra, devo privarmi di una cosa bella. Viva gli attici! Viva le barche! Dobbiamo batterci perché tutti abbiano il meglio».

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