All’origine del lavoro di uno dei registi più barocchi, visivi, visionari del cinema americano contemporaneo c’è, curiosamente, l’incontro con i Monty Python, il gruppo inglese che ha fatto dell’umorismo verbale la sua cifra più riconoscibile. Allora - nel 1974, ai tempi di Monty Python, che diresse con Terry Jones -, Gilliam era un disegnatore di cartoons. L’incontro con John Cleese, che era in tournée in America, lo inglobò nella banda in qualità di inventore di gag e di effetti.
La stagione con i Monty Python durò un paio di film. Poi Gilliam sterzò verso una visione molto più personale ed estrema, che non deve aver reso molto felici i suoi produttori. Brazil (1985) è un film dalle atmosfere orwelliane su un mondo claustrofobico, terrorizzante e terrorizzato, dove l’unica speranza è la fuga d’amore: un’invenzione di grande ricchezza fantastica, affascinante ed eccessivo, che divenne immediatamente un oggetto di culto compreso in quasi tutti gli elenchi dei grandi film di questi anni, ma che resta un film più bello da guardare che toccante. Che quella fosse la strada presa da Gilliam lo si è potuto constatare meglio tre anni dopo, con il lussuoso flop costituito da Le avventure del Barone di Munchausen, che della fantasia visiva fece il proprio unico punto di interesse.
Diverso è il caso di La leggenda del Re Pescatore (1991), ugualmente eccessivo e spinto in direzione visionaria, ma con una cuore e una nuova capacità di emozionare. Ora, con L’esercito delle dodici scimmie, Gilliam è tornato alla ricchezza ridondante e dispersiva di Munchausen, dimostrando ancora una volta dì non avere sulle idee il controllo che ha sulle immagini.
Da Irene Bignardi, Il declino dell’impero americano, Feltrinelli, Milano, 1996