Gianni Puccini, dopo varie opere in collaborazione esordì in modo autonomo nella regìa con il Carro armato dell'8 settembre, un modesto film sui giorni turbolenti dell'armistizio, visti in una chiave solo in parte realistica.
Realizzò quindi L'impiegato tentando di instaurare anche nel nostro cinema quella formula fantasiosa dei sogni strettamente connessi alla realtà che tanto successo aveva raccolto nel cinema americano, ma finì per restare vittima del suo stesso gioco, sempre vanamente sospeso tra contraddizioni di stile e scompensi narrativi.
Così, più tardi, nell'Attico, pur avendo cercato di darci un ritratto compiuto di una «arrampicatrice sociale», partita veramente dal sottoscala prima di arrivare trionfalmente all'attico, si è lasciato prendere la mano da figure di contorno e, anziché una storia omogenea e compatta, percorsa da personaggi saldamente congegnati, ha costruito una vicenda ineguale e poco armonica, animata da tipi e macchiette più vicini alla maschera che non al carattere.
Più convincente, invece, pur nei suoi limiti, l'episodio che egli diresse nei Cuori infranti, Vissero contenti e felici, sempre a mezza via fra la caricatura e il paradosso, ma sorretto con garbo da un umorismo fine e leggero, senza stonature eccessive; anche se, forse, qua e là abbastanza semplice e ingenuo.