Lillian Gish (Lillian Diana de Guiche) è un'attrice statunitense, è nata il 14 ottobre 1893 a Springfield, Ohio (USA) ed è morta il 27 febbraio 1993 all'età di 99 anni a New York City, New York (USA).
Nata a Springfield in Ohio il 18 ottobre 1896, Lillian Diana De Guiche, dopo aver calcato le scene teatrali da bambina (danzò tra l'altro in uno spettacolo di Sarah Bernhardt), fu presentata dall'amica d'infanzia Mary Pickford alla Biograph, la società newyorkese di David Griffith. Nel 1912 apparve in una dozzina di film (da un rullo), in sei dei quali era già protagonista - in Un nemico invisibile era insieme alla sorella Dorothy. Griffith, che allora usava come attrici preferite Blanche Sweet e Mae Marsh, finì per trovare in Gish una interprete ideale - anche se poi i rapporti tra i due furono molto conflittuali. La Gish ha così un ruolo nel kolossal Nascita di una nazione (1915), mentre in Intolerance (1916) ha la funzione di raccordo tra i vari episodi storici, nelle vesti allegoriche di una madre che dondola una culla. Seguirono altre splendide interpretazioni, tutte per Griffith: la sposa folle di Cuori nel mondo (1918), che si aggira per il campo di battaglia col vestito delle nozze; una commovente e risoluta ragazza di campagna nell'incantevole True Heart Susie (1919); la fanciulla, poco più che una bambina, di Giglio infranto (1919), forse il ruolo espresso con maggiore efficacia e intensità drammatica. Nel 1920 interpretò Agonia fra i ghiacci (1920), giustamente ricordato per la scena sulla banchisa del ghiaccio, mentre l'ultimo film girato dalla Gish per Griffith fu Le due orfanelle (1921), una delle poche volte in cui l'attrice si trovò a recitare sullo schermo accanto alla sorella Dorothy.
Lasciato Griffith, la Gish fu scritturata dalla Metro Goldwyn Mayer con la quale ottenne tre grandi successi: La bohème (1926), Lettera rossa (1926) e Il vento (1928), nei quali l'attrice approfondì in senso realistico la propria recitazione meritando di essere accostata alle grandi del teatro di allora, da Eleonora Duse a Sarah Bernhardt.
La società hollywoodiana, tuttavia, non sembrava più aver bisogno di attrici tragiche complesse, e così la Gish fu così costretta a tornare al teatro, mentre Sjöström, regista del contrastato Il vento, se ne tornò a Stoccolma, colpito anche lui dall'ostracismo hollywoodiano. Come attrice di teatro Lillian Gish recitò con successo in commedie e tragedie del teatro classico: fu Ofelia in un memorabile Hamlet messo in scena da John Gielgud a Broadway nel 1936; Tennessee Williams scrisse per lei Ritratto di madonna, che modificato divenne Un tram che si chiama desiderio. Nel secondo dopoguerra tornò al cinema, ma solo con ruoli di caratterista: fu ad esempio moglie di Lionel Barrymore in Duello al sole (1947) di King Vidor, per cui ricevette anche l'Oscar come miglior attrice non protagonista.
In seguito la Gish ebbe ruoli anche in La tela del ragno (1955) di Vincente Minnelli, ne Gli inesorabili (1959) di John Huston, in Ordine di uccidere (1958) dell'inglese Anthony Asquith, ne I commedianti (1967) dell'inglese Peter Glenville, ne La morte corre sul fiume (1955) dell'inglese Charles Laughton. Fra i suoi ultimi film vanno citati Un matrimonio (1978) di Robert Altman e Le balene d'agosto (1987) del britannico Lindsay Anderson, accanto a un'altra 'vecchia gloria' del cinema hollywoodiano, Bette Davis. Lillian Gish è morta a 96 anni a New York il 27 febbraio 1993.
Gli inizi della leggendaria carriera artistica di Lillian Gish, una delle attrici più brave del cinema muto americano, somigliano a tante altre. Anche qui v'è un padre quasi inesistente, una madre che si arrabatta per mantenere due figlie, Lillian e Dorothy. Dapprima gestiscono un chiosco di dolci, poi cominciano a recitare in compagnie che attraversano un'America ancora nella sua infanzia, con melodrammi strappacuore che commuovono gli ingenui spettatori. Poi eccole a New York dove entrano, grazie alla presentazione di Mary Pickford, nella troupe della Biograph. E subito Lillian si fa notare perché si innamora del cinema, si entusiasma per questa nuova forma d'arte, vi lavora a pieno ritmo, interessandosi anche alla tecnica della realizzazione. Nel 1920 si cimenterà nella regia, dirigendo la sorella nel divertente Remodeling Her Husband. È del 1913 una sua prima intervista in cui dichiara: «Lavorare per il cinema è una questione di faccia: devi quindi imparare a pensarci dentro quella faccia e sapervi esprimere i sentimenti».
Sarebbe lungo l'elenco dei film in una o due bobine che, a partire da The Unseen Enemy (1912), Lillian ha interpretato alla Biograph, tanto più se si tien conto del fatto che gli attori di Griffith - che gira uno o due film alla settimana - sono interscambiabili: un giorno protagonisti, l'altro semplici comparse. Ed infatti in Judith of Bethulia (1914) occorre una lente di ingrandimento per riconoscere Lillian che in The Birth of a Nation, dello stesso anno, è invece la protagonista, mentre in Intolerance (1916) ha un ruolo piccolo ma importante: è la donna che, dondolando una culla, fa da trait-d'union tra le quattro storie.
Questa fragile creatura dai capelli biondocenere e dagli occhi chiari si era rivelata particolarmente dotata per dar vita a figure di donne gentili e prive di difesa di fronte alla durezza delle vicissitudini da cui venivano investite - ingenua, romantica, eroina d'amore, spesso nobile, più spesso sfortunata. Divenuta ormai un'attrice apprezzata e anche imitata, Lillian accettò spesso ruoli apparentemente non congeniali al suo tipo per disorientare le sue plagiarie e anche dimostrare la propria versatilità: si pensi a film come Diane of the Follies (1916) dove interpreta una ballerina di Broadway The House Built Upon Sand (1917) , nei panni di una capricciosa e viziata mocciosetta.
Nel 1918 arrivò a Londra con Griffith per Hearts of the World, un film di guerra molto crudo, cui seguirono in patria The Greatest Thing in Life (1918), A Romance of Happy Valley e True-Heart Susie (entrambi del 1919), prima di interpretare quella che può essere considerata la sua più bella prova attoriale, Broken Blossom (1919): nel personaggio della fragile fanciulla martirizzata e infine uccisa dal bestiale patrigno, il volto emaciato di Lillian veniva ripreso con commovente fedeltà, in ogni struggente sfumatura.
Lillian fu anche protagonista di Way Down East (1920), melodramma d'origine teatrale con un movimentato finale sui ghiacci; fu poi, insieme alla sorella - sembravano due uccellini spauriti sullo stesso ramo, così le ricorda Roberto Paolella - una delle due Orphans of the Storm (1921). Fu l'ultimo film che Lillian girò con Griffith; scritturata dalla Inspiration Picture se ne venne in Italia in due riprese, per The White Sister (1923) e Romola (1924) che, all'epoca accolti con rispetto, rivisti oggi appaiono insopportabili. Nemmeno la Gish ne fu contenta allora e questo fu il motivo che la spinse a sciogliere il contratto con la Inspiration e accettare gli 800.000 dollari che la Metro Goldwyn Mayer le aveva offerto per sei film in due anni, con soggetti e regista di sua scelta.
A parte The Scarlet Letter (1928) di Sjöström, che conobbe un vasto successo, gli altri cinque film, tra cui vi sono una delicatissima versione di La Bohème (1926), regia di King Vidor e con John Gilbert nel ruolo di Rodolfo, e il bellissimo The Wind (1928), anche questo di Sjöström, lanciato con troppo ritardo e in pieno delirio per il sonoro, non incontrarono il favore del pubblico ed anche le critiche si mostrarono freddine.
Lillian comprese la lezione e se ne tornò al teatro, dove già da tempo alternava la sua presenza con gli impegni sul set, e vi rimarrà per sempre. Al cinema ritornerà sporadicamente - nel 1948 ritrovò Vidor e Griffith in Duel in the Sun - per qualche sapida e talvolta caustica caratterizzazione.
Da Le dive del silenzio, Le Mani, Genova, 2001.
«Sarò felice quando diventerò una grande diva come Lillian Gish. Allora non avrò più bisogno di pubblicità o di farmi ritrarre stringo la mano a un pugile professionista». Così disse (creta Garbo da poco assunta negli studios Metro-Goldwynayer e il cui primo film americano, Il torrente, per quanto mediocre fosse, già superava nei favori del pubblico, nel corso di quel 1926, La Bohème interpretata, sotto la direzione di King Vidor, dalla celebre attrice di Griffith.
Chi riferisce la dichiarazione alla rivista "Photoplay" della nuova recluta svedese, in seguito cosi parca di interviste, è Louise Brooks in un capitolo del suo libro Lulù a Hollywood intitolato appunto Lillian Gish e Greta Garbo. Dove tra l'altro si racconta anche la sorpresa provata nel 1956 quando la Brooks vide in cineteca il film del 1923 Il vento, capolavoro americano di Sjöström ribattezzato Seastrom, di cui non aveva mai sentito parlare sebbene a quel tempo essa stessa lavorasse alla vicina Paramount. Dopo il «periodo Griffith», durato dal 1912 al 1921, la Gish raggiungeva un altro vertice di arte interpretativa con un film «così carico di sesso e violenza - scrive Louise - che la Mgm rinviò la programmazione finché l'Oscar non fu felicemente assegnato a Janet Gaynor». Si trattava del primo Oscar della storia di Hollywood e l'industria cinematografica «licenziava» la vecchia star per la nuova.
Lillian Gish (di vero cognome De Guiche) era nata a Springfield, Ohio nel 1896. Fu subito in palcoscenico da bambina, e nel 1912 esordì in cinema con la sorella minore Dorothy in un breve film di David Wark Griffith, Un nemico invisibile. Leggenda vuole che le due sorelle, che Griffith non riusciva a distinguere, irradiassero una luce speciale, tanto che l'operatore Billy Bitzer poteva rinunciare all'illuminazione con lampade e riflettori. Secondo lo storico Gian Piero Brunetta, il puritano regista che creò in Lillian la donna angelicata «forse amava le fanciulle in fiore in modo assai simile a quello del reverendo Lewis Carroll». Si sa infatti - e lo dimostra l'elegante album Lewis Carroll fotografo vittoriano edito nel 1980 da Franco Maria Ricci - che l'autore di Alice nel paese delle meraviglie si dedicò anche alla fotografia per fissare le sembianze delle sue piccole modelle.
Comunque Lillian divenne l'interprete ideale per Griffith, e in tale veste cominciò a passare alla storia del cinema. Il suo candore liliale (e ci si scusi l'assonanza) era quello che occorreva al padre del cinema americano, il quale aveva proprio bisogno di una ragazza dal volto puro di vergine, dal corpo fragile e apparentemente indifeso, per metterla al centro delle sue vicende drammatiche e farne oggetto d'ogni tipo di pericolo naturale e di violenza umana, da cui regolarmente essa usciva salva all'ultimo minuto, in quei «finali alla Griffith» che vedevano l'arrivo dei buoni e dei giusti. Nel cortometraggio-gioiello I moschettieri di Vicolo del Porco, uno dei molti. girati nel 1912, la sedicenne attrice già disegnava un ritrattino di moglie oppressa, la cui disarmante innocenza si trasformava in invincibile forza interiore.
Poi vennero i colossi, La nascita di una nazione (1915), Intolerance (1916), e Lillian Gish, anche in parti brevi, calamitava su di sé l'attenzione del pubblico, in quanto la sua femminilità dolce e combattiva diventava un simbolo del film, come in Intolerance in cui Griffith le affidava la funzione di raccordo tra i vari episodi storici e attuali, nelle allegoriche vesti di una mamma che dondola una culla. Nel 1918 "Photoplay" scrisse, nel linguaggio retorico dell'epoca ma in fondo cogliendo nel segno, che per Griffith la Gish era «la neve, su cui cade il sangue delle sue battaglie». Per il film di propaganda Cuori del mondo l'attrice era appena stata in Europa e aveva conosciuto i disastri della guerra. Ricordava: «Ho visto una donna i cui tre bambini erano stati dilaniati dalla nitroglicerina tedesca. Non piangeva, non diceva nulla. Ma se esiste un inferno, io l'ho visto nel profondo dei suoi occhi asciutti e incavati». E questo inferno tentò di rendere nello sguardo della sposa impazzita che si aggira per il campo di battaglia.
Ecco come giunse alla sublime creazione drammatica di Giglio infranto (1919). Ventitreenne, affrontava il ruolo d'una tredicenne terrorizzata dal padre, un brutale pugile alcolizzato (Donald Crisp), in un sordido quartiere di Londra. Un giovane cinese povero (Richard Barthelmess) è la prima persona che le dimostra tenerezza, che cerca di proteggerla, che di nascosto la adora come un idolo. E quando il padre la massacra di botte, il timidissimo amico lo uccide. Sul letto di morte, in una sequenza indimenticabile, la fanciulla fa l'ultimo sforzo d'amore: alzando con due dita a «v» gli angoli della bocca, lo saluta con un estremo, straziante sorriso.
Lillian era sì un simbolo di innocenza e di romanticismo vittoriano, sbattuto tra le tempeste della storia e le malvagità del genere umano. Ma era soprattutto un'attrice sensibilissima, nata por la recitazione e religiosamente devota al suo lavoro. Quando Kng Vidor la diresse nella già citata Bohème, provò un attimo di sgomento nella scena della morte, perché gli sembrava che la sua protagonista, preparatasi con estrema cura a questo finale, avesse dato davvero l'ultimo respiro. Si era nel 1926. Sessant'anni dopo, cioè ai nostri giorni, questa nonagenaria s'impegnava a Hollywood, anche in piccoli ruoli, esattamente con la stessa dedizione, con gli stessi patemi d'animo che all'inizio della sua lunghissima carnera.
Nel suo soggiorno americano negli anni Venti, Victor Sjöström, il grande regista e attore svedese del muto - colui al quale lngmar Bergman renderà omaggio nel 1958 con Il posto delle fragole, facendone il vecchio protagonista - offrì le ultime due occasioni importanti a Lillian Gish. La prima nel 1926: l'adultera del romanzo di Hawthorne La lettera scarlatta, personaggio atto a soddisfare un'attrice che sempre più sognava d'interpretare figure complesse della letteratura. La seconda nel 1928 e fu Il vento, un classico che si può accostare a Greed di Stroheim per l'ambientazione in un implacabile deserto. Sebbene l'opera fosse ancora muta (e solo in un secondo tempo sonorizzata), attraverso le immagini «si sentiva» il soffio del vento che spingeva la donna al delitto: uno straniero penetrava nella sua capanna, ed essa lo uccideva per difendersi dallo stupro. Quando il marito rientrava (un marito soltanto pro forma, perché il matrimonio non era stato consumato), capiva tutto e aiutava la moglie a seppellire il cadavere. E da questa «solidarietà nel delitto» scoccava, finalmente, la scintilla di amore tra i due.
Il dramma era sobrio e sensuale, la geometria delle psicologie e dell'azione era perfetta. Era un film straordinario, ma anche così «immorale» e «perverso» per il codice dei moralisti hollywoodiani. E venne l'ostracismo, che colpì imparzialmente sia il rinomato ospite svedese, sia la famosa attrice americana. Alla Gish non restò che tornare al teatro, e illustrarsi in esso come aveva fatto nel cinema. Sui palcoscenici d'America e d'Europa recitò Cechov e Dostoevskij, Shakespeare e moderne commedie brillanti, con esiti spesso sensazionali: come quando impersonò Ofelia nel memorabile Amleto messo in scena da John Gielgud a Broadway nel 1936. Si sa che Tennessee Williams aveva scritto per lei il suo primo dramma, Ritratto di madonna, che poi fu modificato e divenne Un tram che si chiama desiderio.
Nel secondo dopoguerra riapparve sullo schermo come caratterista. Era la moglie di Lionel Barrymore in Duello al sole (1947) di King Vidor, lei che dello stesso attore era stata nipote in un lontano film del 1912, Il cappello di New York, e in seguito figlia. Confidò spiritosamente al New York Times nel 1983:
«Lionel Barrymore è stato: prima mio nonno, poi mio padre, infine mio marito. Se non fosse morto, sono certa che gli avrei fatto io da madre. Cosi van le cose a Hollywood, gli uomini ringiovaniscono e le donne invecchiano»:
Bisogna dire che Lillian Gish è invecchiata bene, anzi benissimo. La richiesero registi americani come Dieterle, Minnelli, Huston, inglesi come Asquith, Glenville e Charles Laughton. Sì, perché quest'ultimo, il gigantesco attore inglese, girò negli Usa un solo, eccellente film come regista. La morte corre sul fiume (1955). E la volle nei panni dell'intrepida signora con fucile, la quale salva i ragazzini dal viscido e allucinante mostro (Robert Mitchum) che li insegue quali testimoni da eliminare di un suo delitto.
Quando nel 1977 l'attrice apparve in Un matrimonio di Robert Altman - era la nonna che muore prima della festa di nozze - aveva alle spalle qualcosa come settant'anni di spettacolo. Ottanta, quando nel 1986 recitò accanto alla più giovane vegliarda Bette Davis come co-protagonista di un film psicologico su due anziane sorelle, Le balene d'agosto, realizzato negli Stati Uniti dal regista inglese Lindsay Anderson. Una carriera e una vitalità incredibili, assolutamente uniche.
Nel 1980 era stata anche madrina alla cerimonia degli Oscar e Mike Bongiorno, in una delle sue papere televisive non programmate, l'aveva scambiata allegramente per la «vecchina dei gialli». Ahimè, il poveretto non s'era accorto di avere davanti agli occhi nientemeno che il Cinema Americano.
Da Alfabetiere del cinema, a cura di L. Pellizzari, Falsopiano, Alessandria, 2006