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La politica degli autori: Werner Herzog

Un regista con una marcia in più: la sintesi tra pensiero e azione.
di Mauro Gervasini

In foto Werner Herzog.
Werner Herzog (Werner Stipetic) (81 anni) 5 settembre 1942, Monaco di Baviera (Germania) - Vergine.

martedì 30 luglio 2013 - Approfondimenti

Primo aneddoto. Il regista tedesco Dennis Gansel (L'onda, 2008) ci raccontava di essere andato a trovare Werner Herzog a casa sua a Los Angeles, dove vive con la fotografa russa Lena Pisetski, sua moglie dal 1995. In una stanza al pianoterra aveva uno strano container di grosse dimensioni, una camera "di ibernazione" dove soggiornava alcune ore al giorno per abituare il proprio fisico alle temperature rigide. Sempre più rigide. Tutto questo accadeva pochi anni fa, nel 2007, e Herzog, classe 1942, si stava preparando a una spedizione in Antartide. Non importa che avesse o meno intenzione di girare un film tra i ghiacci (in effetti sì: è Encounters at the End of the World) perché già lo spirito di avventura, scoperta e perlustrazione che lo anima da sempre è... cinema. Secondo aneddoto. Presentando alla Mostra di Venezia il suo non eccelso Il cattivo tenente - Ultima chiamata New Orleans (2009), quando gli è stato chiesto se preferisse realizzare documentari o film di fiction, Herzog ha risposto seccamente: «Mai girato un documentario in vita mia». Frase balzata alla mente in queste ore pensando a Sacro GRA, realizzato sul Grande raccordo anulare di Roma da Gianfranco Rosi e in concorso a Venezia. A una domanda simile, Rosi ha risposto di avere addirittura paura della parola documentario.

Non esiste un prima e un dopo nell'opera di Werner Herzog, che appare a chi ama il suo cinema come un unicum artistico dove storie, avventure, conflitti, estetiche, alterazioni fisiche e della mente confluiscono per uno scopo sempre identico. Raccontare l'uomo. Anche se non c'è, anche se è sopraffatto, cancellato, travolto, spazzato via dalla natura. Forse potremmo azzardare un divario tra periodo tedesco (parliamo di uno dei fondatori del Nuovo cinema tedesco) e americano ma anche qui, inciamperemmo. Il suo film più "americano" è senza dubbio La ballata di Stroszek, capolavoro del 1977, drammatico viaggio dalla Germania opaca al Wisconsin; mentre il suo ultimo lavoro, la miniserie televisiva Death Row dedicata ai "bracci della morte" di alcuni penitenziari Usa, e che si vedrà al Festival di Locarno dove Herzog sta per ricevere il Pardo d'oro alla carriera, è l'attualizzazione geografica di un lavoro in realtà cominciato in Germania agli inizi degli anni 70. Uno di quei suoi sogni folli, tipo raccontare anno dopo anno la vita di un uomo condannato all'ergastolo.

Scrivere del cinema di Herzog in poche righe è impresa altrettanto folle. Troppi percorsi, storie, personaggi. Certo non è difficile classificarlo come figlio illegittimo e forse anacronistico del Romanticismo, addirittura delle sue derive estreme tipo Sturm und Drang, data la cocciutaggine con cui persegue (a modo suo) il conflitto uomo-natura, risolvendolo però in chiave estetica. «Per me - dice Herzog - un autentico paesaggio non è solo la rappresentazione di un deserto o di una foresta. Mostra uno stato interiore della mente, letteralmente paesaggi interiori, ed è l'animo umano ad essere presente nei paesaggi dei miei film» (dal libro-intervista "Incontri alla fine del mondo. Conversazioni tra cinema e vita" di Paul Cronin, Minimum Fax). Herzog però ha una marcia in più rispetto a qualunque altro grande maestro della settima arte, per lo meno moderno, ed è la sintesi tra pensiero e azione. L'impresa del cinema è la stessa dell'uomo (lui), che si appassiona di salto con gli sci fino a quasi rimetterci il collo prima di girare La grande estasi dell'intagliatore Steiner (1974), viene più volte imprigionato durante le riprese di Fata Morgana (1971), vive con Klaus Kinski una simbiosi/rivalità violenta e viscerale (ma la tesi di Kinski, il mio nemico più caro, film del 1999, è: il vero pazzo sono io, non lui), si fa congelare o bruciare solo per vedere su se stesso l'effetto che fa.

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