Il regista svedese si spegne a 89 anni, lasciando in eredità un patrimonio inestimabile.
di Chiara Renda
Ha perso la sua partita a scacchi
Se ne va uno dei massimi rappresentanti del cinema d'autore europeo: Ingmar Bergman, regista svedese vincitore di tre Oscar (nel '61 per La fontana della vergine, nel '62 per Come in uno specchio e nell'84 per Fanny e Alexander), è morto all'età di 89 anni dopo un'assenza di dieci anni dal grande schermo.
Abbandonato il cinema per il teatro e la tv, Bergman si era infatti ritirato nella sua casa di Karlaplan a Stoccolma, dove ultimamente scriveva soprattutto per il teatro (eccezione è la sceneggiatura del film diretto da Bille August Con le migliori intenzioni, Palma d'Oro a Cannes).
Figlio di un pastore della corte reale svedese, era nato il 14 luglio 1918, e prima di arrivare alla macchina da presa, aveva scritto diversi film per registi come Molander e Sjoberg. È infatti l'approccio intimista, da scrittore, che caratterizza tutta la sua produzione filmica, così intensa, profonda e problematica: nessun regista è riuscito a esprimere questioni religiose (Il settimo sigillo) o esistenziali (Il posto delle fragole, Il volto) con la stessa profondità, attraverso uno spirito critico metaforico e allo stesso tempo suggestivo ed emozionante. La partita a scacchi tra Antonius Bloch e la Morte rimarrà una delle scene più importanti e geniali della storia del cinema. Questa volta la partita l'ha persa lui. E la Morte si è presa quest'uomo inquieto e travagliato, lasciandoci però in eredità il suo lavoro, un patrimonio visivo poetico e ineguagliabile.