mercoledì 27 dicembre 2006 - News
Doveva essere il ruvido
Clive Owen, poi il licantropo
Hugh Jackman, o ancora il replicante
Pierce Brosnan, ma poi è stato il pusher
Daniel Craig a incarnare James Bond, la spia con licenza di uccidere e di innamorarsi. Niente gadget fantascientifici, niente Q, niente Moneypenny, niente motoscafi, niente fumo, niente sesso premio, eppure il Bond di
Craig fa impazzire i fans e ricredere il mondo con la sua faccia da pugile, gli occhi di ghiaccio, il corpo massiccio, le mani armate che impugnano pistole, volanti, carte da gioco, corpi da Bond-Girl. Aplomb inglese dentro un corpo da azione che ama una donna sotto la doccia e insegue i nemici a cinquanta metri da terra. E tutto per la prima volta. Perché la spia bionda di
Martin Campbell è all'inizio della sua carriera, è al suo primo smoking, alla sua prima Aston Martin, al suo primo Martini, al suo primo e unico amore, una Bond-Girl che gli defribrillerà (letteralmente) il cuore.
I suoi amici, Hugh Jackman e Clive Owen, dicono che lei sia il miglior Bond del XXI secolo. È la nascita di un nuovo eroe, riconosciuto anche dai suoi colleghi. Spirito sportivo o un modo per scaricare la coscienza?
Sì, lo so e sono davvero contento della loro partecipazione. Decisamente penso si tratti di spirito sportivo. Molto spesso è la stampa a travisare e a riferire male le informazioni, a ingigantirle, a gonfiarle. Tra noi non c'è mai stata questa rivalità di cui tanto si parla. Nella maggior parte dei casi, gli attori non hanno questi problemi. Io personalmente spesso ignoro l'identità degli altri concorrenti. Non è che ogni volta che devi interpretare un ruolo cerchi di sapere chi sono gli altri, altrimenti diventi matto. Insomma è una cosa molto più tranquilla, mi creda. Anzi, molto spesso gli attori tendono a incoraggiare i colleghi, perché esiste una cosa fantastica che si chiama Karma.
Il suo James Bond è il più aderente al personaggio letterario creato da Fleming. Merito degli sceneggiatori, di una sua personale lettura del romanzo o una coincidenza di idee?
Una combinazione di tutte queste cose. In realtà la sceneggiatura è molto vicina al romanzo originale, il gusto, il sapore, il feeling, l’atmosfera. Il libro l’ho letto ma è passato molto tempo e non lo ricordo nei dettagli, tuttavia posso dire con certezza che la sceneggiatura è simile. Quello che abbiamo cercato di fare è di creare un personaggio umano, fallibile, che viene ferito. Noi lo troviamo a un crocevia, in un momento delicato della sua vita, non sa se cambiare vita o proseguire nella stessa direzione. In questo film, Bond è un uomo che reagisce al mondo, che interagisce col mondo, un uomo che viene ferito e colpito, un uomo che soffre e mostra delle emozioni. Questa era la nostra intenzione e questo era il mio compito come attore, cercare di fare del mio meglio per mostrare tutte le mille sfaccettature di questo personaggio. Era importante mostrarne le difficoltà, i dubbi, i pensieri, le incertezze, perché sono questi movimenti interiori a rendere il personaggio più complicato e interessante. Se invece cogli un personaggio in una fase noiosa della sua vita e la mostri in un film, otterrai soltanto un film noioso. Non c’è dubbio che anche Bond attraversi momenti noiosi, ma evitiamo di metterli sullo schermo.
Casino Royale concilia amore e azione, sequenze intime con sequenze spettacolari. Come si raggiunge questo equilibrio perfetto.
I responsabili di questo equilibrio sono Martin Campbell, il regista, e Alexander Witt, il regista della seconda unità. Quello che hanno cercato di fare è di rendere le scene d’azione quanto più realistiche possibili, naturalmente sempre nel rispetto del genere, in Casino Royale c’è tutto il "fantastico" alla James Bond.
Hanno cercato di mantenere le scene d’azione realistiche perché fossero il più credibili possibile, solo in questo modo potevano combinarle con il vero dramma, perché se l’azione è fuori dalla realtà non ci puoi infilare il dramma. Dovevano trovare l’equilibrio e ci sono riusciti con estrema maestria. Quello che ho tentato di fare anch’io con la recitazione. Non so se questa sia la chiave ma sicuramente ci abbiamo lavorato duro e sodo.
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